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«passaggio» additato come «normale» dal principio di legalità, ovvero, se si vuole, la «logica prosecuzione» del provvedimento giudiziale e la concreta attuazione della norma sostanziale. All’interno di questa fase, infatti, si compiono tutte le attività necessarie a consentire che il comando contenente la sanzione divenga operativo e possa essere eseguito in concreto.

Proprio perché considerata attività di completamento del comando, questa fase veniva in passato fortemente sottovalutata. Al suo interno si recuperava, sia pure in via del tutto incidentale e limitata, l’opera e la figura del giudice. Ad egli veniva affidata la cognizione delle eventuali controversie circa l’esatta interpretazione del contenuto del comando o circa l’esatta capacità dello stesso di essere eseguito, nei termini e limiti in esso originariamente delineati127.

Tale impostazione può considerarsi superata.

L’esecuzione penale, lungi dall’essere considerata solo un’appendice del processo di cognizione, assume oggi un rilievo determinate sotto plurimi profili128.

Innanzitutto, vi possono essere casi in cui, pur essendo stata pronunciata in sentenza una pena coerente con i criteri legali di commisurazione, sembra più giusto e preferibile rinunciare

perdono a fronte di reati di gravità non particolarmente elevata. Sul piano processuale, vi è poi la competenza del Tribunale per i minorenni. Una riorganizzazione del diritto penale minorile, sia sostanziale che processuale, è stata attuata dal decreto legislativo n. 448 del 1988. Per approfondimenti sugli istituti menzionati, D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., 592.

126 Per approfondimenti, cfr. D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., 597; L.PICOTTI,G.SPANGHER (a cura di), Verso una giustizia penale «conciliativa», il volto delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace, Milano, 2002.

127 Cfr. G.CANZIO, La giurisdizione e la esecuzione della pena, in www.penalecontemporaneo.it, 26 aprile 2016, 2.

128 In argomento, T.TRAVAGLIA CICIRELLO, La resistibile ascesa della sospensione condizionata nel panorama dei benefici penitenziari, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, 4, 1618. L’Autrice scrive «Gli affanni legati all’ultimo anello della catena punitiva non sono, tuttavia, marginali o peregrini: qui giungono e da qui ripartono arterie che, secondo un flusso costante e onnipresente, penetrano negli snodi critici del sistema penale, svelandone fatalmente i troppi nervi scoperti. (In)effettività e flessibilità della sanzione criminale, allarme sociale e necessità di sicurezza collettiva, collasso dell'apparato sanzionatorio, carenze organizzative ed incapacità di fornire risposte decisive costituiscono le multiformi e preoccupanti sfaccettature di uno scenario che non appare eccessivo definire inquietante e fanno del sistema sanzionatorio-penitenziario l’autentico banco di prova della tenuta complessiva dell’intero assetto penale».

ad eseguirla, in tutto o in parte129. Ciò in quanto la funzione rieducativa assegnata alla pena si realizza soprattutto – ma non solo - attraverso le sue modalità di esecuzione. Si è soliti, a tal proposito, affermare che «la pena è nella sua esecuzione»130: a nulla vale assegnare ad essa determinati compiti e concepirla in un determinato modo se poi, attraverso l’esecuzione, il suo fine viene disatteso.

L’art. 1 della legge n. 354 del 1975, conformemente a quanto sancito negli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., statuisce espressamente che il trattamento richiede di essere «improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni». Lo stesso deve essere attuato, nei confronti di condannati e internati, «secondo un criterio di individualizzazione» in rapporto alle specifiche condizioni e ai bisogni dei soggetti e deve tendere al «reinserimento sociale» degli stessi131.

Ai detenuti, quindi, devono essere offerte,

in primis

, uguali possibilità di rieducazione e quindi di reinserimento, senza alcuna discriminazione132. Con questo, tuttavia, non si vuole affermare che il trattamento debba essere indifferenziato. Occorre, anzi, una diversificazione dei programmi risocializzanti e l’adozione di strumenti vari correlati alle singole situazioni e all’impegno manifestato dal condannato durante l’esecuzione.

Il momento di risocializzazione - ponendosi come fattore di rottura nei confronti della logica meramente retribuzionistica - esige «flessibilità» nell’attuazione del contenuto della condanna, postulando, di conseguenza, una pluralità di garanzie sconosciute ad un assetto improntato all’applicazione del

dicutm

giudiziale nella sua rigida immutabilità133.

129 Sulla crisi della pena detentiva e sui «sistemi sanzionatori differenziati», si veda F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 746. In argomento, E.DOLCINI,C.E.PALIERO, Il carcere ha alternative?, Milano, 1989; G.D.PISAPIA, Una strategia differenziata per la difesa sociale dal delitto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1975, 209.

130 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 795. In argomento, V.BAROSIO, voce Esecuzione penale, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 490; F.CORBI, voce Esecuzione penale, in Dig. pen., IV, Torino, 1990, 286.

131 In argomento, F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 797; G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 707. In argomento F.BRICOLA (a cura di), Il carcere riformato, Bologna, 1977; V.GREVI (a cura di), Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981; ID. (a cura di), Alternative alla detenzione e riforma penitenziaria, Bologna, 1982; P. COMUCCI, Lo sviluppo delle politiche penitenziario dall’ordinamento del 1975 ai provvedimenti per la lotta alla criminalità organizzata, in A.PRESUTTI (a cura di), Criminalità organizzata e politiche penitenziarie, Milano, 1994, 3.

132 La Costituzione non preclude a nessuno una possibile risocializzazione, così A.PUGIOTTO, Una quaestio sulla pena dell’ergastolo, in www.penalecontemporaneo.it, 5 marzo 2013. Sul punto, G.M.FLICK, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale, in www.dirittopenitenziarioecostituzione.it; M.RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002.

133 G.GIOSTRA, Tre settori da differenziare nei rapporti tra giurisdizione ed esecuzione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 1348: «Il provvedimento giurisdizionale sull’applicabilità di una misura rieducativa non può che dar luogo ad un «giudicato aperto», rebus sic stantibus, e per ciò stesso suscettibile di modificazioni fin quando la pena non sia estinta o la misura di sicurezza revocata».

A.MARGARA, Il problema della discrezionalità nelle decisioni della magistratura di sorveglianza, in Quaderno n. 46. La magistratura di sorveglianza e il nuovo codice di procedura penale, Roma, 1989, www.csm.it, 211: «Esiste la possibilità astratta di un altro sistema: quello di una pena rigida. Vi sono pro e contro. Si può rilevare soltanto che quel sistema è stato nostro fino al Nuovo ordinamento penitenziario del 1975 e che questa nuova legislazione è nata dal rifiuto, consapevole e meditato, del sistema di pena rigida, sistema

Se la gestione della individualizzazione della pena significa applicazione degli strumenti di flessibilità ai casi concreti, è inevitabile l’attribuzione al giudice di un certo margine di discrezionalità134. Nello specifico, è compito della magistratura di sorveglianza verificare che i programmi risocializzanti, oltre a non comportare lesioni ai diritti della persona, siano adeguati alla realizzazione della funzione rieducativa135. Evidentemente, si è dinanzi a un giudizio in prevalenza prognostico. Quest’ultimo non solo tollera, bensì richiede una continua verifica che, avvalendosi di nuovi elementi di valutazione, adegui costantemente la situazione giuridica all’evoluzione del soggetto136.

ingiusto e ceco, temperato soltanto da strumenti altrettanto ingiusti e cechi quali i ricorrenti provvedimenti generali di clemenza». Secondo l’Autore «il sistema di pena flessibile è voluto dalla Costituzione, il legislatore può solo scegliere il quadro di condizioni in cui il sistema deve operare».

134 G. MOSCONI,M. PAVARINI, Discrezionalità e sentencing penitenziario. La flessibilità della pena nella fase esecutiva nell’attività dei tribunali di sorveglianza (1987-1990), in Dei delitti e delle pene, 1993, 149. In argomento R.ZANNOTTI, Le misure alternative alla detenzione (in particolare l’affidamento in prova al servizio sociale) e la crisi del sistema sanzionatorio, in Ind. pen., 2000, 707.

Sull’attività giurisdizionale esecutiva in generale, G.GIOSTRA, Tre settori da differenziare nei rapporti tra giurisdizione ed esecuzione penale, cit. L’Autore ritiene che l’esecuzione della pena comprenda: la giurisdizione esecutiva in senso stretto (procedimento per gli incidenti di esecuzione), la giurisdizione di sicurezza (processo di sicurezza) e la giurisdizione rieducativa (procedimento di sorveglianza). Egli scrive che era inevitabile che l’esecuzione della pena in funzione rieducativa portasse ad una complicazione del quadro delle attività di esecuzione, dei rispettivi organi competenti e delle relative procedure. L’Autore sottolinea, inoltre, il collegamento tra contenuti e modalità di perseguimento del fine rieducativo, da un lato, e l’intervento giurisdizionale, dall’altro.

In argomento, si veda altresì F.BRICOLA, L’intervento del giudice nell’esecuzione delle pene detentive: profili giurisdizionali e profili amministrativi, in Ind. pen., 1969, 267.

A.MARGARA, Il problema della discrezionalità nelle decisioni della magistratura di sorveglianza, cit. L’Autore ricorda che, in astratto, esiste la possibilità di attribuire la gestione della flessibilità ad organi non giurisdizionali, come avviene in altri Paesi. Ciò era previsto originariamente dal Codice penale Rocco per la liberazione condizionale della pena e la revoca anticipata delle misure di sicurezza, attribuite al Ministro della giustizia. E così anche negli ordinamenti di common law, dove la possibilità di incidere sulla pena in concreto scontata dal condannato spetta al c.d. «Parole Board», un organo avente una composizione mista. Attualmente negli Stati Uniti non esiste un unico modello di «parole», ma ogni giurisdizione ne ha uno proprio che differisce dagli altri per: requisiti di accesso all’istituto, condizioni imposte, composizione e discrezionalità del «Parole Board». Il modello «istituzionale», usato prevalentemente nel settore della giustizia minorile, prevede, ad esempio, che a decidere del rilascio del detenuto sia lo «staff correzionale» ossia l’istituzione carceraria che, avendo il più stretto contatto con il detenuto, si trova nella posizione più favorevole per decidere. In altri casi, invece, il «Parole Board» è un organo dipendente dal potere esecutivo, i cui membri sono scelti dal Governatore. Per approfondimenti, S.CIAPPI, A. COLUCCIA, Giustizia criminale. Retribuzione, riabilitazione e riparazione: modelli e strategie di intervento penale a confronto, Milano, 2003, 91.

135 L. CESARIS, Un ulteriore passo verso l’eliminazione dei divieti aprioristici di concessione di benefici penitenziari, in Giur. Cost., 3, 2010, 2250.

136 Quanto appena detto si coglie in alcuni passaggi della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1974, § 2 del Considerato in diritto: «sulla base del precetto costituzionale, sorge, di conseguenza, il diritto per il condannato a che […] il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo». Cfr. Corte cost., sent. 27 giugno - 4 luglio 1974, n. 204, in Giur. cost., 1974, 1707, con nota di G.VASSALLI, La liberazione condizionale dalla amministrazione alla giurisdizione, ivi, 3523. La sentenza ha

Per armonizzare l’esecuzione all’evoluzione della pena e per sottrarla all’arbitrio dell’amministrazione, il legislatore provvede a fissare ed aggiornare le regole di diritto che devono essere osservate in materia. Anche qui, in altri termini, la discrezionalità del giudice è di natura vincolata.

Lo stesso codice penale prevede disposizioni dirette in tal senso, concedibili già dal giudice della cognizione con la sentenza di condanna. Così è, ad esempio, per la sospensione condizionale della pena137. Altri strumenti previsti dall’ordinamento sono le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi (legge n 689 del 1981). Queste ultime si presentano come contemperamento di diverse esigenze: da un lato, esprimono, nella pena inflitta, il peso assegnato al reato dalla «bilancia della giustizia» nell’ottica della prevenzione o della retribuzione; dall’altro lato, vanno incontro ad esigenze che possono far ritenere preferibile la non esecuzione della pena detentiva, avuto riguardo ai suoi costi e alle possibili alternative138.

Nondimeno, gli istituti di maggior rilievo sono, senz’altro, le misure alternative alla detenzione, introdotte nel 1975 e potenziate da leggi successive139. La loro concessione è in vario modo legata al comportamento del condannato: ancorché tutte presuppongano una prognosi favorevole sul comportamento futuro, dette misure hanno natura di premio per un comportamento positivo già tenuto (meccanismo della «premialità progressiva»). Viceversa, la condotta inadempiente tenuta dal condannato durante l’esecuzione comporta, di regola, la

«invertito la rotta» con il configurare il diritto del detenuto a vedere riesaminata la propria posizione. G.M. FLICK, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale, cit. L’Autore parla di «valore positivamente dirompente» assunto dal diritto individuale di ciascun detenuto al percorso rieducativo.

137 Per approfondimenti, A.L.VERGINE, voce Sospensione condizionale della pena, in Dig. pen., XIII, Torino, 1997, 442; F.GIUNTA, voce Sospensione condizionale della pena, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 87. Sulla disciplina si veda anche D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., 557.

138 Le sanzioni sostitutive sono applicate dal giudice con la sentenza di condanna (art. 53, legge n. 689/1981) come le tradizionali pene principali e rientrano, sotto questo aspetto, nella definizione delle pene principali di cui all’art. 20 cod. pen. A differenza, però, delle classiche pene principali, le sanzioni sostitutive non sono previste come pene edittali in norme di parte speciale, né sono oggetto di un autonomo giudizio di commisurazione. La loro applicazione è in sostituzione della pena detentiva che sarebbe stata teoricamente ritenuta applicabile nel caso concreto. La decisione sulla sostituzione della pena è lasciata, secondo le regole generali, alla discrezionalità del giudice, guidata dagli indici fattuali espressi nell’art. 133 cod. pen., secondo quanto dispone l’art. 58 della legge n. 689/1981. D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., 583.

139 Le misure alternative hanno profondamente cambiato «il volto del sistema penale italiano» mediante l’apertura dell’esecuzione della pena al mondo esterno al carcere. D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., 571. Tale apertura, avviata dalla riforma del 1975, ha poi trovato ulteriori sviluppi nella legge n. 689 del 1981 e nelle successive modifiche dell’ordinamento penitenziario: la c.d. legge Gozzini del 1986, la legge n. 296 del 1993 e la c.d. legge Simeone del 1998. Con esse, il legislatore ha preso atto che gli strumenti, fino a quel momento, offerti al giudice per soddisfare esigenze di rieducazione - la pena pecuniaria, non diseducativa, ma nemmeno idonea a risocializzare, e la pena detentiva, in concreto quasi sempre diseducativa - erano inadeguati. Per un quadro d’insieme, di poco successivo all’entrata in vigore della riforma penitenziaria, AA.VV., Pene e misure alternative nell’attuale momento storico, Milano, 1977. Secondo E.DOLCINI, Note sui profili costituzionali della commisurazione della pena, cit., 363, ci troviamo davanti a una «palese contraddizione» tra il principio costituzionale sancito dall’art. 27, terzo comma, Cost. e la realtà di una pena che sortisce effetti opposti. Da ciò l’importanza della riforma dell’ordinamento penitenziario.

revoca delle misure concesse (meccanismo della «punitività regressiva»)140. Il tutto nell’ottica di porre il condannato nella condizione di poter influire, con il suo comportamento, sulle modalità di esecuzione della pena e finanche sulla durata della vicenda sanzionatoria, potendone determinare un’anticipata conclusione rispetto al tempo di espiazione stabilito in sentenza141.

Il trattamento individualizzante varia, dunque, a seconda del comportamento del condannato e può concretizzarsi in termini di terapia (per malati psichici), di rieducazione sociale (per soggetti emarginati, incapaci di frenare gli impulsi antisociali o con acquisita abitudine al delitto, ma che riconoscono la validità delle regole dell’ordinamento), di afflizione con funzione intimidatrice e neutralizzatrice (per delinquenti che continuano a non riconoscere la validità dei precetti legislativi e non ne temono la sanzione; si pensi a certi contesti mafiosi o terroristici)142.

A titolo di chiosa, si segnala che il processo evolutivo che ha interessato la fase dell’esecuzione penale è stato notevolmente inciso dalla tematica della «cedevolezza del giudicato»143. Con questa espressione ci si riferisce alla questione della rideterminazione, in fase esecutiva e pertanto

post iudicato

, della pena, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di norme incidenti sul trattamento sanzionatorio. Non potendo affrontare diffusamente la tematica, è utile soltanto segnalare come essa sia strettamente collegata al potere del giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo, oggi, sembra avvicinarsi sempre di più al giudice della cognizione, proprio sotto il profilo della determinazione della sanzione144.

140 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 745. Con le misure extra murarie, lo Stato pone in essere una sorta di «patto sociale» o «sinallagma rieducativo», così P. COMUCCI, Lo sviluppo delle politiche penitenziario dall’ordinamento del 1975 ai provvedimenti per la lotta alla criminalità organizzata, cit. 5. In argomento, A. MARGARA, La pena perduta e il carcere ritrovato: riflessione sulla crisi di una delle tante riforme incompiute, cit., 382.

141 Ciò rappresenta, a detta di taluno, un primo colpo al principio di intangibilità del giudicato penale.COSÌ

P.P.EMANUELE, La funzione rieducativa della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., 86. 142 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 745. Si consideri che la Corte costituzionale, nell'àmbito di giudizi aventi ad oggetto le disposizioni contenute nella legge n. 354 del 1975, ha costantemente ribadito la necessità che la finalità rieducativa della pena si contemperi con le altre funzioni prima viste, e cioè con quelle della prevenzione generale, della retribuzione e, infine, con la difesa sociale. Ciò in quanto le ragioni che possono opporsi all’esecuzione di una pena «giusta» - da intendersi come quella comminata secondo le regole e a seguito di un regolare processo - acquistano consistenza solo là dove siano consistenti i costi della pena e rilevanti i vantaggi dell’evitarli.

143 Cfr. G.CANZIO, La giurisdizione e la esecuzione della pena, cit., 3. L’Autore scrive «l’orizzonte, insomma, è quello dove la certezza dei diritti sembra invadere prepotentemente la scena, ponendosi in posizione di assoluta centralità, anche a costo di mettere in secondo piano la certezza del diritto».

144 Cfr. G.CANZIO, La giurisdizione e la esecuzione della pena, cit., 12. In argomento, F.CAPRIOLI, Giudicato e illegalità della pena: riflessioni a margine di una recente sentenza della Corte costituzionale, in M.BARGIS (a cura di), Studi in ricordo di Maria Gabriella Aimonetto, Milano, 2013, 263; S.FURFARO, Il mito del giudicato e il dogma della legge: la precarietà della certezza giuridica (a margine di Corte cost., sent. n. 230 del 2012), in Arch. pen., 2013, 2; F.GAITO, L’immutabilità della res iudicata: un attributo (non più) imprescindibile?, in Arch. pen., 2013, 3; G. RICCARDI, Giudicato penale e incostituzionalità della pena, in www.penalecontemporaneo.it, 26 gennaio 2015. Quanto alla giurisprudenza costituzionale, si veda Corte cost., sent. 3 – 18 luglio 2013, n. 210 (in Giur. cost., 2013, 4, 2915) resa nell’àmbito del caso Scoppola. La Corte ha ivi affermato che «in base all’art. 30 comma 4 della legge n. 87 del 1953, il giudicato penale non

In conclusione, stante le riflessioni condotte, si può affermare che la pena, in presenza di determinate condizioni ovvero della presa d’atto del processo di recupero dell’interessato, è suscettibile di essere modificata durante la sua esecuzione145.

11. DALLA «TEORIA» ALLA «PRASSI»: CONSIDERAZIONI SPARSE SUI LIMITI DELLA

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