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La preoccupazione circa il «protagonismo» che sembra oggi aver assunto la dimensione giudiziale del diritto e il ruolo sempre più «poliedrico» del giudice in materia penale sono alla base di innumerevoli critiche alla discrezionalità giudiziale163.

La prima critica che spesso si muove ai sistemi attuali è quella della apparente disparità fra sentenze formulate da giudici diversi - intesi come persone fisiche, quindi anche nell’àmbito di uno stesso Tribunale - ma per casi che a prima vista non sembrano tra loro sostanzialmente dissimili164. Anche a voler obiettare che nessuna situazione concreta può dirsi propriamente identica ad un’altra, bisogna riconoscere che quello appena menzionato è un inconveniente che si deve tendere a ridurre al minimo.

Nel fare questo occorre partire da una duplice constatazione: colui che esercita il potere discrezionale è un essere umano; in ogni operazione valutativa che questi effettua vi è una «componente irrazionale» ineliminabile, propria di tutti procedimenti di applicazione delle norme165.

163 In argomento, V.MANES, Il ruolo «poliedrico» del giudice penale, tra spinte di esegesi adeguatrice e vincoli di sistema, cit.

164 T.DELOGU, Potere discrezionale del giudice penale e certezza del diritto, cit., 381. L’Autore ricorda che questa è una critica ampiamente studiata dalla dottrina non soltanto nostrana. Menziona, in particolare, gli studi di Sellin, McGuire, Holzoff, Gaudet che avevano confrontato un certo numero di sentenze emesse dai giudici statunitensi negli anni Trenta del Novecento.

165 In argomento, F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 787.

Non si può sottovalutare l’eventualità che il giudice sia condizionato nelle sue decisioni da personali vedute di politica criminale ovvero dal peso delle spinte emotive della pubblica opinione. In argomento, T.DELOGU, Potere discrezionale del giudice penale e certezza del diritto, cit., 383. L’Autore ricorda le parole di Shoham che nel 1966, dopo aver confrontato un certo numero di sentenze di giudici israeliani, scriveva: «esistono grandi variazioni fra un giudice e l’altro circa i metodi del sentencing ed il grado di severità; e queste variazioni non possono essere imputate ai primi due fattori, quelli relativi al reo ed al reato, ma devono essere messe in conto ad un terzo fattore, quello relativo all’atteggiamento nel sentencing o alla disposizione del singolo giudice». Con riferimento alle decisioni della magistratura di sorveglianza, A. MARGARA, Il problema della discrezionalità nelle decisioni della magistratura di sorveglianza, cit., 214, ammette «nella nostra materia c’è un forte rischio di approccio ideologico, in qualsiasi direzione esso sia». Tale componente irrazionale è particolarmente evidente quando si tratta di dare un contenuto a generiche espressioni quali «capacità a delinquere». F.BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, cit., 116. L’Autore parla, in questo senso, di un «regno di intuizioni e impressioni».

A questo proposito, ci si lamenta dell’inadeguatezza della strumentazione processuale a supportare l’indagine giudiziale; inadeguatezza che conduce a un deficit di verificabilità che accentua il rischio di un ineffabile intuizionismo giudiziario. In argomento, G. CARUSO, La discrezionalità penale. Tra «tipicità classificatoria» e «tipologia ordinale», Padova, 2009, 244.

Si veda altresì J.ESSER, Precomprensione e scelta del metodo nel modello di individuazione del diritto, Napoli, 1983. In forza della c.d. pre-comprensione di Esser, il giudice è inevitabilmente condizionato dalla propria «concezione del mondo» che a sua volta è inevitabilmente influenzata anche dalla pressione derivante dal mondo esterno, dalle emozioni e dai sentimenti. In argomento, G.FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti religiosi nella genesi e nelle applicazioni delle leggi penali, in O.DI GIOVINE (a cura di), Diritto penale e neuroetica, Padova, 2013, 205; G.FIANDACA, Diritto penale, tipi di morale e tipi di democrazia, in G.

Nella prassi, in particolare, si denuncia il ricorso a criteri extralegali di commisurazione, estranei all’art. 133 cod. pen. Tra i più comuni, si rammentano: il confronto che il giudice opera con giudizi precedenti e con le proprie esperienze professionali; il ricorso a usi giudiziali, ossia consuetudini sanzionatorie invalse nelle varie circoscrizioni giudiziarie e inevitabilmente influenzate dal contesto di riferimento166.

Questi molteplici fattori, più o meno ineliminabili perché connaturati all’essenza umana, spesso finiscono per diventare i veri e propri «protagonisti della commisurazione»167. Quando ciò avviene, in effetti, vi è il concreto pericolo di creare irragionevoli disparità di trattamento e incertezze in sede applicativa.

Occorre, pertanto, «fare i conti razionalmente con l'irrazionale»168.

Un modo per fare questo è valorizzare l’obbligo di motivazione (art. 111 Cost., art. 132 cod. pen., art. 544 cod. proc. pen.): un giudice obbligato a fornire una spiegazione argomentata dell’applicazione, nel caso concreto, dei criteri di legge, difficilmente potrà dar seguito agli «impulsi emotivi» e alle «folgorazioni intuitive» che rivelerebbero, di contro, l’aperta violazione di detti parametri169. L’esplicitazione trasparente del ragionamento svolto dal giudice consente di attutire il limite dell’impossibilità di garantire una matematica proporzione tra

quantum

del reato e

quantum

della pena.

Diviene necessario analizzare in che modo la prassi applicativa assolva detto obbligo di specifica motivazione. Ebbene, anche sotto questo profilo non sono mancate le critiche ad una giurisprudenza troppo «sbrigativa» che appiattisce sul piano processuale il significato e la rilevanza dell’obbligo di motivazione, svuotandolo di contenuti sostanziali e della sua valenza di garanzia170.

FIANDACA, G.FRANCOLINI (a cura di), Sulla legittimazione del diritto penale, Torino, 2008, 153; G.FIANDACA, Punire la semplice immoralità? Un vecchio interrogativo che tende a riproporsi, in A.CADOPPI (a cura di), Laicità, valori e diritto penale, Milano, 2010, 207; O.DI GIOVINE, Un diritto penale empatico?, Torino, 2009, 151; V.VIGLIOTTI, Dove passa il confine?, Torino, 2011, 29-149.

166 T.DELOGU, Potere discrezionale del giudice penale e certezza del diritto, cit., 383. 167 E.DOLCINI, La commisurazione della pena tra teoria e prassi, cit., 68.

168 Cfr. C.FIORE, Presentazione degli studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2007, 30, che richiama il noto adagio di W.HASSEMER, Theorie und Soziologie des Verbrechens, 1973, 244.

169 Sulla difficoltà di conciliare fattori emozionali con la predeterminazione di vincoli giuridici, F.BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, cit., 111.

170 All’affermazione dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione in ordine alla motivazione del procedimento logico che ha portato il giudice alla determinazione della pena in concreto, fa, infatti, da contraltare la tendenza a ritenere che la commisurazione della pena, in sede di controllo di legittimità, sia censurabile soltanto per vizio processuale (mancanza o illogicità della motivazione, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.) e non per erronea applicazione delle norme penali sui criteri commisurativi, ossia per violazione di legge P.NUVOLONE, Il ruolo del giudice nell’applicazione della pena, in Trent’anni di diritto e procedura penale, cit., 1563. L’impossibilità di far valere un’erronea applicazione dei criteri sostanziali di commisurazione finisce per sottrarre l’art. 133 cod. pen. al vaglio della giurisprudenza, creando una sorta di incompatibilità tra potere discrezionale e applicazione del diritto.

Il dato emergente dall’elaborazione giurisprudenziale, infatti, è quello della persistente tendenza a minimizzare il significato e l’importanza dell’obbligo di motivazione, mediante la «riduzione all’osso» del grado di analiticità e di specificità di quest’ultima, nella convinzione della superfluità di una puntuale valutazione di tutti i criteri dell’art. 133 cod. pen. Attraverso generiche formule orbitanti intorno alla «congruità», «adeguatezza» ed «equità» della pena («si stima equa la pena» o «adeguata al fatto e alla personalità» o «tenuto conto degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.»), si verifica un’evidente elusione e neutralizzazione della disciplina positiva171. Gli artt. 132 e 133 cod. pen. finiscono per risultare così inidonei ad imporre qualsiasi vincolo sostanziale alle scelte del giudice.

La stessa giurisprudenza di legittimità alimenta tra i giudici di merito un’interpretazione riduttiva dell’obbligo di motivazione. Per un verso, la Corte di Cassazione considera spesso questo tipo di motivazioni sufficienti a soddisfare l’obbligo posto dall’art. 132 cod. pen. Ciò accade, ad esempio, quando la pena applicata si aggira in misura prossima al minimo ovvero quando è irrogata una pena intermedia tra minimo e massimo172. Per altro verso, afferma sovente che la valutazione giudiziale sul

quantum

della pena da irrogare, in quanto frutto di una valutazione globale dei fatti accertati e della personalità del reo, costituisce «un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità»173. La Suprema Corte limita il controllo in sede di

171 Si sarebbero costruite «tre o quattro generiche frasi-tipo» che sarebbero servite per ogni caso. In argomento, G.BELLAVISTA, Il potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena, cit., 99. L’Autore parla di «formulette pigre» dietro cui i giudici trincerano le proprie scelte ex art. 133 cod. pen. Per la motivazione implicita nelle suddette formule generiche, Cass. pen., 8 dicembre 1979, in Cass. pen., 1980, 849; Cass. pen., 26 giugno 1980, in Cass. pen., 1982, 272.

172 Cass. pen., sez. VI, 18 novembre 1999, n. 2925, in CED Cassazione n. 217333: «in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale». Negli stessi termini, più recentemente, Cass. pen., sez. VI, 12 giugno 2008, n. 35346, in CED Cassazione n. 241189. Per la non necessaria motivazione espressa nei casi di pena in misura minima o inferiore alla media: Cass. pen., 1 marzo 1980, in Cass. pen., 1981, 273; Cass. pen., 10 ottobre 1980, in Cass. pen., 1982, 272; Cass. pen., 16 febbraio 1984, in Cass. pen., 1985, 890. Per le prassi applicative, S.LARIZZA, La commisurazione della pena. Rassegna di dottrina e giurisprudenza, cit., 596; P.A.SIRENA, Contenuti e linee evolutive della giurisprudenza in materia di sanzioni, in G.VASSALLI (a cura di), Problemi generali di diritto penale, Milano, 1982, 415. 173 Cass. pen., sez. V, 18 febbraio 1987, in Riv. pen., 1987, 856; Cass. pen., sez. VI, 6 marzo 1980, in CED Cass. 1980/145815]. Emblematica, in questo senso, l’affermazione secondo cui, sul presupposto che il potere discrezionale del giudice non deve soffrire di vincoli troppo stretti, il giudizio di commisurazione della pena in concreto costituirebbe «più il risultato di un’intuizione che di un processo logico di natura analitica»: Cass. pen., sez. II, 8 luglio 1992, in Riv. pen., 1993, 294; ancor prima, Cass. pen., sez. V, 16 febbraio 1968, in Giust. pen., 1969, III, 70; Cass. pen., sez. II, 23 gennaio 1980, in Riv. pen., 1980, 886. Lo svuotamento del precetto dell’obbligo di adeguata motivazione delle scelte di commisurazione è indotto dall’enfatizzazione delle componenti intuitivo-emotive del giudizio; l’occasionale affermazione della necessità che il giudice dimostri di aver fatto buon uso del proprio potere discrezionale, affinché esso non degeneri in arbitrio (ex plurimis, Cass. pen., sez. II, 2 febbraio 1978, in Cass. pen., 1979, 1140), non sembra valere in realtà più di una mera enunciazione di principio, di carattere ornamentale, puntualmente contraddetta nella prassi, con l’impossibilità di verificare a posteriori il percorso logico che il giudice ha seguito per quantificare concretamente in questo o in quel modo la sanzione.

legittimità alla motivazione quando questa presenta un vizio processuale e non in caso di erronea applicazione delle norme penali sui criteri commisurativi.

In questo modo, si finisce, a ben vedere, per attribuire al giudice di merito una sorta di «zona franca», ossia di una sfera di «sovranità intangibile», cosicché il binomio di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. si risolve in una «copertura di comodo» per qualsiasi arbitraria scelta del giudice174.

La commisurazione della pena si trasforma da «occasione applicativa di norme giuridiche» in un «terreno soggetto al sovrano apprezzamento del giudice», ispirato a criteri meramente equitativi, con il rischio di motivazioni artificiali costruite a posteriori per dare un’apparenza di legittimità a scelte del giudice in realtà svincolate dal diritto positivo. La tendenza a impostare la scelta commisurativa su basi irrazionali e intuitive, a eludere l’obbligo di dar conto dell’

iter

logico che ha portato il giudice a trarre la regola dal caso concreto, sottraendolo a qualsiasi vaglio o verificabilità, fa sì che la «discrezionalità vincolata» diventi una vera e propria «discrezionalità libera».

Il piano fenomenologico presenta altri profili di criticità che trascendono i confini del residuo irrazionale insito in ogni operazione valutativa.

Tra questi, assume rilievo una denunciata supplenza del potere legislativo: il difetto di criteri legislativi di commisurazione viene, infatti, sfruttato per correggere verso il basso le spesso anacronistiche valutazioni legislative espresse negli spazi edittali175.

A questo proposito, si critica la tendenza dei giudici a irrogare la pena sempre in prossimità del minimo edittale, la larga utilizzazione delle attenuanti generiche e la concessione pressoché automatica della sospensione condizionale176: tendenza che si spiega probabilmente proprio in ragione dell’immobilismo che il legislatore manifesta nel rivedere oggetti e modalità di tutela penale177. Altre volte, il giudice, partendo proprio dalla considerazione del

quantum

di pena

Per una presa di posizione giurisprudenziale in senso critico verso l’orientamento dominante nella prassi, Cass. pen., sez. I, 28 aprile 1987, in Riv. pen., 1988, 631, che condanna il riferimento a folgorazioni intuitive, troppo affini a pulsioni psichiche sottratte per loro natura ad ogni regolamentazione normativa e d’indiscutibile natura irrazionale, dovendo invece configurarsi come una pura essenziale operazione intellettuale, disciplinata dai canoni della logica e della razionalità, i soli praticabili nei comportamenti applicativi delle prescrizioni normative. In senso analogo, si veda altresì Cass. pen., sez. I, 14 settembre 1990, in Riv. pen., 1991, 666.

174 E.DOLCINI, Note sui profili costituzionali della commisurazione della pena, cit., 371.

175 A.M.STILE, Discrezionalità e politica penale giudiziaria, cit., 283. Quest’ultimo ricorda come le scelte dei giudici si ispirino, nel nostro ordinamento, a una logica unitaria, nel senso che la prassi rivela una modesta applicazione dei criteri legislativi talora precisi ed univoci, in favore in una valutazione complessiva del fatto. 176 Sulla discrezionalità come generico potere di indulgenza (benignitas) e la conseguente tendenza a convertire il «discrezionale» in «obbligatorio», se favorevole al reo, F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 789. 177 A.M.STILE, Discrezionalità e politica penale giudiziaria, cit., 283; E.DOLCINI, voce Potere discrezionale del giudice, cit., 768: «(a)nche ai fini di un corretto esercizio della discrezionalità, la riforma della parte speciale del codice si conferma dunque quale problema nodale della politica legislativa penale». G.MARINUCCI, Politica criminale e riforma del diritto penale, cit., 483: solo nell’àmbito di un codice penale, nel quale «il contenuto

astrattamente applicabile al caso concreto, finisce per dare una lettura in un senso piuttosto che nell’altro ad istituti di diritto sostanziale, così da arrivare ad infliggere la pena che egli ritiene più rispondente ai bisogni di rassicurazione dell’opinione pubblica178.

In questo modo, lo «svuotamento» dell’obbligo di motivazione e il consolidarsi di una «politica penale giudiziaria» rischiano di aprire la porta al «convitato di pietra» della prevenzione

dei precetti e il dosaggio delle sanzioni minacciate siano il più possibile in armonia con la scala dei giudizi di valore dominanti fra i consociati», non sarà mera utopia concepire la discrezionalità penale come giuridicamente vincolata: pretendere che il giudice non alteri, bensì, prosegua nel caso concreto le valutazioni legislative. M.ROMANO, Prevenzione generale e prospettive di riforma del codice penale italiano, cit., 174, parla di esigenze di giustizia sostanziale e di «ricomposizione dell’ordinamento penale in conformità della Costituzione»: esigenze il giudice penale tiene in considerazione nell’esercizio della sua discrezionalità. V.MANES, Il ruolo «poliedrico» del giudice penale, tra spinte di esegesi adeguatrice e vincoli di sistema, cit.: «l’accresciuta dimensione giudiziale del diritto penale può avere diversi vettori di senso, e non può essere – anche per questo – liquidata con connotazioni squisitamente negative. In altri termini, se talune interpretazioni o flessibilizzazioni dogmatiche calpestano la natura speciale del diritto penale – che era così chiara e cara già ad Arturo Rocco –, travolgendo vincoli di sistema ed argini garantistici che dovrebbero presidiarla, altre percorrono una diversa direttrice»; «istanze di esegesi mitigatrice» hanno «condotto certa giurisprudenza a maturare significativi risultati anche in ambiti dove la gravità della crisi economica ha messo a nudo i ritardi del legislatore e l’eccessiva rigidità delle risposte penali, sino al revirement di orientamenti che apparivano tanto severi quanto consolidati». Sul punto, cfr. M.VIETTI, Crisi economica e diritto penale, in Dir. pen. e proc., 2014, 1, 7.

178 E così, ad esempio, il giudice finisce per qualificare come dolosa (con dolo eventuale) una condotta che è colposa (colpa cosciente) solo per arrivare all’inflizione di una pena più grave che dia nell’immediato una risposta alle esigenze dell’opinione pubblica ma che finisce per scardinare il sistema. In tale senso, tra gli altri, V.MANES, Il ruolo «poliedrico» del giudice penale, tra spinte di esegesi adeguatrice e vincoli di sistema, cit.: «si assiste ad una progressiva (ed ormai esasperata) flessibilizzazione di categorie dogmatiche fortemente permeate dalla ricostruzione (interpretativa) del giudice, se non la loro dissoluzione in esperimenti di politica criminale quotidiana (Kriminalpolitik im kleinen) troppo spesso ratificati anche in sede di legittimità. A testimone della crescente perdita di potere definitorio della dogmatica (Definitionsmacht), basti qui rammentare le recenti ricostruzioni in tema di causalità ed aumento del rischio, ben esemplificate dalla famigerata sentenza sul terremoto dell'Aquila. Ovvero le periodiche fluttuazioni del confine tra dolo eventuale e colpa cosciente (dai diversi casi in tema di circolazione stradale sino al caso Thyssen), dove sulle ambigue intuizioni eticizzanti che periodicamente condizionano il discrimen sembra far premio, appunto, l'istanza di deterrenza volta a volta à la page; così come le innumerevoli ipotesi in cui si contesta la colpa senza (alcun accertamento in punto di) prevedibilità. Tutti casi che dimostrano come la colpevolezza possa diventare un vero derivato della prevenzione generale; un derivato, cioè, di istanze il cui ultimo recettore e decisivo catalizzatore è appunto – ancora una volta – il giudice, il quale può darvi corpo a seconda della propria animadversio e della propria – come usava dire – Weltanschauung, essendosi ormai liberato dai vincoli di sistema ed apparendo sempre meno incline ad osservare i dettami di una dogmatica peraltro sempre più contaminata dalla stessa giurisprudenza». Sul punto, altresì, S. CANESTRARI, Dolus eventualis in re licita: limiti e prospettive, in Ind. pen., 2013, pp. 23, 27 e 31; D.PULITANÒ, I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, 22; ma cfr. anche, in punto di elemento soggettivo del reato di riciclaggio, M.RONCO, Dolo, colpa, responsabilità oggettiva per il delitto di riciclaggio, in Ind. pen., 2013, 11 e 16 (e riferimenti bibliografici ivi citati in nota 12), secondo il quale «L'attivismo contra legem del formante giurisprudenziale ha introdotto invero una distonia nel rapporto tra i poteri dello Stato, in particolare tra l'organo democratico di formazione delle leggi e l'autorità giudiziaria, con una innaturale tendenziale dislocazione su quest'ultima del potere legislativo».

generale179. E, così, specialmente di fronte a casi che destano particolare allarme sociale, il reo finisce per subire aumenti di pena per fattori estranei al suo agire, quali sono appunto certe istanze di «pene esemplari»180.

Se, queste, sono le principali critiche che vengono mosse al riconoscimento di poteri discrezionali al giudice penale della cognizione, non meno contestata è la discrezionalità esercitabile in sede di esecuzione penale181.

La possibilità offerta al giudice dell’esecuzione e alla magistratura di sorveglianza di modificare in varia guisa e misura le pene stabilite dal giudice della cognizione fa sì che la pena stessa si trasformi in un’entità sempre più teorica, incerta e flessibile, con conseguente indebolimento – se non fallimento – della sua funzione preventivo-orientativa.

Questa perdita di certezza della pena inflitta si traduce nella mancanza di fiducia, da parte dei consociati, nell’intero sistema penale e in una rinnovata sfiducia nella magistratura e nel ruolo del giudicante182.

179 A.M. STILE, Discrezionalità e politica penale giudiziaria, cit., 279. Alla «politica penale giudiziaria» fa riferimento, tra gli altri, L.VIOLANTE, Magistrati, Torino, 2009.

180 La scelta del carico sanzionatorio, espressione di esigenze general preventive, dimostra la concezione «termica» del diritto penale, nel senso che laddove il processo è ancora «caldo», cioè influenzato fortemente dalla pubblica opinione, il giudice tende maggiormente alla soluzione più gravosa, mentre laddove il processo penale, soprattutto nei successivi gradi di giudizio, si raffredda sussiste una maggior apertura da parte dell’organo giudicante verso soluzioni meno gravide di effetti stigmatizzanti. In argomento, M. BERTOLINO, Privato e pubblico nella rappresentazione mediatica del reato, in G.FORTI,M.BERTOLINO (a cura di), La televisione del crimine, Milano, 2005, 191; W. HASSEMER, Metodologia giuridica e paradigmatica giudiziaria, in Criminalia, 2007, 73.

181 Cfr. V. MANES, Il ruolo «poliedrico» del giudice penale, tra spinte di esegesi adeguatrice e vincoli di sistema, cit.: «interi plessi disciplinari sembrano oggi affidati ad una totale definizione giurisprudenziale, e fra questi campeggia il settore dell'esecuzione penale, che appare sempre più un autentico rechtsfreier Raum, per lo più affidato a “poteri atipici” riconosciuti al giudice, e da questi via via sensibilizzati e potenziati per cercare una qualche soluzione che in sede di cognizione non si è riusciti a raggiungere».

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