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Quanto finora visto ci consente di affermare che già a livello costituzionale esistono disposizioni dalle quali si evince la necessità di «individualizzare» la pena in relazione al singolo caso e al singolo reo. Da ciò l’esigenza di riconoscere il potere discrezionale al giudice penale.

Nondimeno, questa prima conclusione a cui è possibile giungere - ancorché ponga un importante limite al legislatore (in sede normativa) e al giudice (in sede applicativa) - non ci dice ancora nulla circa il fine di tale necessaria individualizzazione. Esso, in effetti, assume significati e contenuti diversi a seconda della teoria della pena che si predilige53.

51 La crescente europeizzazione della intera area penale rappresenta un potente motore di espansione del principio di proporzionalità, che costituisce una colonna portante di tutto l’edificio europeo, e in particolare di quello dell’Unione europea. Cfr. M.CAIANIELLO, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, cit., 148. In argomento, C. SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena nel diritto dell’Unione europea dopo Lisbona, in Dir. pen. cont., 2012, 1, 111; D.VOZZA, Le tecniche gradate di armonizzazione delle sanzioni penali nei recenti interventi dell’Unione europea, in Dir. pen. cont., 2015, 3, 16 e riferimenti, anche giurisprudenziali, ivi richiamati.

52 Cfr. C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 9 luglio 2013, Vinter e a. c. Regno Unito, ric. n. 66069/09, 130/10 e 3896/10, in www.penalecontemporaneo.it, 26 luglio 2013, § 102: «The Chamber found that a grossly disproportionate sentence would violate Article 3 of the Convention». Nel caso di specie, si affrontava il problema della conformità della disciplina nazionale inglese in materia di ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata con l’art. 3 Cedu. Il diritto inglese prevede un’unica possibilità di cessazione della detenzione: la norma di riferimento è la Section 30 del Crime (sentence) Act 1997, che attribuisce al Segretario di Stato il potere di liberazione anticipata dei detenuti a vita nel solo caso in cui si verifichino circostanze eccezionali che possano giustificare il rilascio del detenuto «on compassionate grounds». Tale disposizione legislativa, poi, è specificata da un atto di natura regolamentare emesso dallo stesso Segretario di Stato (Indeterminate sentence manual, c.d. Lifer manual). Esso fornisce criteri più precisi per l’individuazione delle «circostanze eccezionali» in cui il rilascio è consentito, in base ai quali, in buona sostanza, i condannati cui è stato imposto un «whole life order» possono ottenere la libertà solo se in fin di vita. In argomento, R. NUZZO, L'ergastolo ostativo: prospettive di riforma e recenti orientamenti della giurisprudenza europea, in Dir. pen. cont., 2015, 3, 42; F.VIGANÒ, Ergastolo senza speranza di liberazione condizionale e art. 3 Cedu: (poche) luci e (molte) ombre in due recenti sentenze della Corte di Strasburgo, in www.penalecontemporaneo.it, 4 luglio 2012.

53 Cfr. E.DOLCINI, La commisurazione della pena, cit. 35;R.SATURNINO, voce Discrezionalità (Diritto penale), cit. In argomento, G. CASAROLI, Funzione e commisurazione della pena tra «Grundgesetz» e «Strafrechtssystem», in A.PIZZORUSSO,V.VARANO (a cura di), L’influenza dei valori costituzionali sui sistemi

Diversa può essere, infatti, la misura della pena considerata «adeguata». E così, ad esempio, una pena elevata, se può giustificarsi sulla base di esigenze retributive o general preventive, potrebbe non comprendersi in termini special preventivi qualora non emerga un pericolo di recidiva da parte del reo.

Occorre, pertanto, comprendere a quali risultati il giudice deve guardare quando esercita la sua discrezionalità. Una chiara definizione dei fini della pena, se può non essere sufficiente a garantire la «razionalità» nella commisurazione, è pur sempre il presupposto necessario per stabilire quali dati di fatto rilevino nel caso concreto e come debbano essere valutati54.

Lungi dall’affrontare il vastissimo tema degli scopi della pena, ci si limiterà, qui, ad un richiamo, in chiave prettamente funzionale all’obiettivo del presente lavoro, delle finalità tradizionali della pena.

In via generale, queste sono riconducibili a tre macro-categorie: la funzione retributiva, quella general preventiva e quella special preventiva55.

Tradizionalmente alla pena viene assegnata una funzione retributiva, in forza della quale la sanzione penale trova la sua ragione in conseguenza del disvalore del fatto compiuto. Essa non è altro che il «corrispettivo» del male commesso con il reato56.

giuridici contemporanei, I, Milano, 1985, 617. Per una sintetica ma efficace analisi degli scopi della pena, si veda M.PAVARINI, Lo scopo della pena, in AA.VV., Introduzione al sistema penale, I, Torino, 2006, 356; P.P. EMANUELE, La funzione rieducativa della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in E.D’ORLANDO, L.MONTANARI (a cura di), Il diritto penale nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 2009, 73.

54 Cfr. F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 785.

55 Il problema della giustificazione della pena conosce una letteratura sterminata e risalente nel tempo. Sul punto esistono concezioni giuridiche, filosofiche, psicologiche, etc. Per puntuali riferimenti si veda G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, cit., 695 e 710; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 705 e 785. In argomento, G.GAVAZZI, voce Sanzione (Teoria generale), in Enc. giur., XXVIII, Roma, 1992; A.PAGLIARO, voce Sanzione (Sanzione penale), in Enc. giur., XXVIII, Roma, 1992; R.SATURNINO, voce Discrezionalità (Diritto penale), cit.; P. TRONCONE, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2015, 11. Sulle finalità della pena pecuniaria, E. DOLCINI, voce Potere discrezionale del giudice, cit., 756 e riferimenti ivi riportati. Si badi, inoltre, che è possibile parlare di «individualizzazione» anche con riferimento alle risposte sanzionatorie definite su basi riparative, ossia sulla valutazione degli effetti che l’illecito penale ha prodotto sulla vittima. Per approfondimenti, G.MANNOZZI, Pena e riparazione: un binomio non irriducibile, in E.DOLCINI,C.E.PALIERO

(a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano, 2006, 1140.

56 Nel contrapporsi alle concezioni preventive o finalistiche del diritto penale, l’idea della pena retributiva intende additare il fondamento del punire in un’esigenza di giustizia «assoluta»: absoluta, cioè sciolta da scopi ulteriori. Citatissima è la frase di Kant: «Anche quando la società civile si dissolvesse col consenso di tutti i suoi membri, l’ultimo assassino che si trovasse ancora in prigione dovrebbe prima venire giustiziato, affinché ciascuno porti la pena della sua condotta e il sangue versato non ricada sul popolo che non ha reclamato quella punizione» (cfr. I.KANT, Metafisica dei costumi). Nella dottrina penalistica italiana dei primi decenni della Repubblica, l’idea retributiva è stata sostenuta con particolare impegno da Giuseppe Bettiol. La pena «trae la sua forza etica e la sua giustificazione dal fatto di essere espressione di quella esigenza naturale viva nel cuore di ogni uomo e operante in tutti i settori della vita morale, per la quale al bene deve seguire bene e a male deve seguire male». L’idea retributiva non esclude che la pena possa avere ed abbia in concreto un’efficacia di guida del comportamento e di prevenzione di comportamenti indesiderati, ma «della prevenzione generale la concezione retribuzionistica della pena non si occupa direttamente. La prevenzione

Carattere distintivo della pena, secondo la teoria retributiva, è – oltre alla personalità - la proporzionalità. L’individualizzazione della pena, infatti, viene intesa, nel senso di una risposta penale quanto più proporzionata alla gravità del reato e alla colpevolezza del reo57.

Detto rapporto, in origine, era soddisfatto dalla regola del taglione («occhio per occhio, dente per dente») che giustificava una reazione materialisticamente identica all’offesa. Nella secolare evoluzione storica, la corrispondenza fra delitto e reazione non concerne più il contenuto materiale, ma sta in rapporto di proporzione o adeguatezza della reazione rispetto al delitto.

In questa prospettiva l’idea retributiva ha un’indubbia valenza di garanzia per il reo contro i possibili deterioramenti e degenerazioni dell’autoritarismo penale58. Essa sconta però un limite: sembra dare per scontato ciò che non è, ossia che possa sussistere un rapporto di «necessaria implicazione» tra il fatto commesso e la pena comminata. Lo schema retributivo, nella sua astrattezza formale, non dice che cosa sia delitto e quale sia la pena giusta per esso. In altri termini, la retribuzione non risolve in assoluto il problema di quantificare il disvalore sociale di un determinato comportamento59. Questa valutazione dovrà essere compiuta, prima, da chi pone la norma penale e, poi, in relazione al singolo caso, dal giudice: ciò implica sempre un certo margine di discrezionalità in quanto non è possibile affermare che una determinata pena sia matematicamente rispondente al reato e alla pericolosità del suo autore.

Nella seconda concezione che si esamina - quella general preventiva - la pena ha, nei confronti di tutti i consociati, uno scopo deterrente e intimidatorio. Essa è volta a dissuadere, grazie alla minaccia della sua inflizione, coloro che intendono delinquere dal porre in essere comportamenti delittuosi60. Secondo questa teoria, una pena troppo mite sarebbe criminogena; altrettanto lo sarebbe una pena connotata da una bassa probabilità di applicazione: «una minaccia può essere efficace soltanto se il male in essa contenuto viene rappresentato come un male che si verificherà effettivamente»61.

generale potrà risultare una conseguenza del modo di essere della pena; ma non un fine, o il fine principale, della pena retributiva» (cfr. G.BETTIOL,Diritto penale, Padova, 1986, 782 e 800).

57 Sul punto G.BETTIOL, Colpevolezza normativa e pena retributiva, in Scritti giuridici, II, Padova, 1966, 617. 58 G.BETTIOL,Diritto penale, cit., 797: «la pena retributiva salva il diritto penale da ogni eccesso e garantisce i diritti fondamentali dell’uomo. Essa ha per eccellenza una funzione garantistica».

59 Che la sanzione penale rappresenti l’espressione del disvalore del reato è concetto espresso in tempi lontani da Cesare Beccaria quando affermava che «l’unica vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione». Cfr. C.BECCARIA, Dei delitti e delle pene, 1764, ed. a cura di F.VENTURI, Torino, 1994, 22.

60 In argomento, V.MILITELLO, Prevenzione generale e commisurazione della pena, cit.; A.PAGLIARO, La riforma delle sanzioni penali tra teoria e prassi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1979, 1189; ID., Verifica empirica sulla prevenzione generale: una interpretazione dei risultati, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 447; M.ROMANO,F. STELLA (a cura di), Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, Bologna, 1980.

61 Cfr. A.FEUERBACH, Anti-Hobbes ovvero i limiti del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il sovrano, trad. it. a cura di M.A.CATTANEO, Milano, 1972, 108: la minaccia di pena, che collega alla possibile commissione di un atto antigiuridico la prospettiva di un male sensibile, può funzionare a condizione «che il male minacciato sia così grande, che il timore di esso superi il desiderio di quell’atto, che la rappresentazione del male superi quella del bene da ottenere».

Anche questo approccio, al pari dell’idea retributiva, ha radici antiche62. Non si tratta semplicemente di rispondere con la pena a reati già commessi, ma di assicurare, nella misura più ampia possibile, l’osservanza dei precetti da parte della generalità dei destinatari. L’applicazione rigorosa ed utilitaristica di questa teoria rischia di rendere il reo un vero e proprio «strumento» per il perseguimento di finalità estranee all’effettiva gravità del reato commesso e alla sua colpevolezza.

Ora, non si nega che la pena, nello stadio dell’irrogazione, sia finalizzata anche e soprattutto alla prevenzione generale: la pena –

rectius

, la sua severità - rafforza l’efficacia motivante del precetto. Si dubita, invece, che possa essere affidato al giudice il compito di perseguire - per esigenze di prevenzione generale legate all’andamento complessivo della criminalità - detta finalità, attraverso un incremento della sanzione non corrispondente al grado di colpevolezza individuale63.

Da ultimo, l’individualizzazione della pena può essere associata alla prevenzione speciale: lo scopo della pena sarebbe, qui, la rieducazione del condannato; essa mira a minimizzare la possibilità che il reo sanzionato ricada nel delitto64. Secondo questa impostazione, la sanzione penale (specie, misura, durata) deve essere proporzionata alle esigenze della personalità del soggetto (e alla sua evoluzione) e non alla gravità del reato65. L’esigenza di differenziazione delle risposte sanzionatorie è, quindi, più marcata.

Nondimeno, si osserva che il giudice non è normalmente in grado di predeterminare,

a priori

e una volta e per tutte, l’entità della pena necessaria a «rieducare» il condannato66. Ecco perché,

62 Si rammentano le parole di PLATONE, Protagora, 324: «Chi cerca di punire secondo ragione, non punisce a motivo del delitto trascorso - infatti non potrebbe certo ottenere che ciò che è stato fatto non sia avvenuto - ma in considerazione del futuro, affinché non commetta ingiustizia né quello stesso che viene punito, né altri che veda costui punito».

63 Cfr. E.DOLCINI, voce Potere discrezionale del giudice, cit., 754; A.PAGLIARO, Commisurazione della pena e prevenzione generale, cit., 25. Si veda altresì M.ROMANO, Prevenzione generale e prospettive di riforma del codice penale italiano, Milano, 1979, 179: «la prevenzione generale, insomma, indiscutibile quale teoria della pena in quanto istituzione», sarebbe, invece, «inaccettabile se intesa come criterio di commisurazione». 64 L’idea che la pena possa essere strumento di emenda morale del condannato è risalente nel tempo: l’idea del Purgatorio ne è espressione a livello religioso. Sul concetto di rieducazione come «reinserimento» del soggetto nella società e non come «emenda morale», E. DOLCINI, Note sui profili costituzionali della commisurazione della pena, cit., 361. La finalità in parola sarà perseguita se si metterà il reo in condizione, una volta liberato, di «poter vivere secondo la legge». Rieducare il condannato significa «aumentare per lui le chances di vivere nella società libera rispettandone le regole». Cfr. E.DOLCINI, La «questione penitenziaria», nella prospettiva del penalista: un provvisorio bilancio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 4, 1655.

Anche il concetto di «rieducazione» è stato variamente interpretato, poiché esprime significati che rimandando soprattutto alla dimensione intersoggettiva dell’esperienza umana: la rieducazione dice di più dell’emenda ed inclina verso il concetto di «risocializzazione». Cfr. G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 701.

65 In argomento, E.DOLCINI, La commisurazione della pena, cit., 153; L.MONACO, Prospettive dell’idea dello «scopo» nella teoria della pena, Napoli, 1984.

66 Cfr. E. DOLCINI, voce Potere discrezionale del giudice, cit., 756; E. DOLCINI, La disciplina della commisurazione della pena, cit., 51; E.DOLCINI, Appunti sui limiti della colpevolezza nella determinazione

l’applicazione rigorosa di questa teoria, dovrebbe comportare una continua rivisitazione del giudicato, con evidenti ripercussioni in punto di certezza e preordinazione della sanzione. Non si trascuri, infine, di considerare il dato empirico inconfutabile dell’inefficacia del trattamento rieducativo per i c.d. delinquenti incorreggibili.

Il rapido esame delle tre teorie dimostra come le stesse, isolatamente considerate, rischino di rivelarsi insufficienti; non che la loro combinazione escluda tutti i margini di problematicità.

Ciò che interessa, qui, osservare è l’esigenza di prescegliere e definire quale, o quali, siano le finalità della sanzione penale. Così facendo, la commisurazione della pena potrà svolgersi nel rispetto e all’interno della prescritta funzione, con un evidente significato di garanzia, consentendo il controllo sull’esercizio stesso della discrezionalità e, altresì, evitando l’arbitrio giudiziale.

Avendo chiara la finalità della pena, è possibile verificare la rigorosità logica del processo attraverso il quale, dal caso concreto, il giudice ha desunto un certo significato positivo o negativo. Tale controllo avviene sulla motivazione che rappresenta il «guardiano logico» della certezza: la motivazione serve a determinare il grado di osservanza della decisione del giudice, nel senso che, date certe premesse, se esse sono esatte e il giudice si attiene ai parametri-limite che regolano il suo potere discrezionale, la sua argomentazione non può che portare ad una certa decisione67. Tramite la motivazione si dovrebbe, insomma, riuscire a constatare che si è giunti alla pena irrogata in concreto attraverso un

iter

logico e un quadro teleologico rispettoso dei princìpi, vincoli e limiti che –

in primis

, a livello costituzionale – orientano e regolano l’attività giudiziale di quantificazione della sanzione68.

della pena, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1975, 1156; M.ROMANO, Prevenzione generale e prospettive di riforma del codice penale italiano, cit., 180.

67 Cfr. T.DELOGU, Potere discrezionale del giudice e certezza del diritto, cit., 393. L’Autore ricorda le parole di Vincenzo Manzini: «la motivazione non costituisce soltanto una garanzia per l’individuo, ma altresì per lo Stato, in quanto a questo interessa che la sua volontà superiore sia esattamente applicata e che la giustizia sia correttamente amministrata. Il giudice stesso viene assicurato, mediante l’adempimento dell’obbligo della motivazione, contro il sospetto d’arbitrio, di parzialità o d’altra ingiustizia», cfr. V.MANZINI, Trattato di diritto processuale penale, 1972, IV, 545. In argomento, E.AMODIO, voce Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 181; A.ALIBRANDI, Sulla commisurazione e motivazione della pena, in Riv. pen., 1993, 537; D.SIRACUSANO, Problemi attuali della discrezionalità in diritto penale, in Ind. pen., 1976, 437.

68 Cfr. G.VASSALLI, Il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena, cit., 742. Per ulteriori riferimenti, si vedano F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 783; G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 753. In giurisprudenza non mancano prese di posizione volte ad attribuire alla motivazione il ruolo di «controllo della ragione sull’intuizione» che la dottrina ha assegnato all’art. 132 cod. pen. consentendo alle parti una lettura critica del suo operato. Così T.DELOGU, Potere discrezionale del giudice e certezza del diritto, cit., 394.

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