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Com’è noto, il nostro ordinamento opta per il bilanciamento delle circostanze eterogenee (art. 69 cod. pen.), attraverso l’attribuzione al giudice di un potere discrezionale che non lo costringe a compiere una sorta di «calcolo aritmetico» - di somme e sottrazioni - predefinito dal legislatore, ma gli consente di valutare complessivamente il fatto e il suo autore332.

All’interno di questo giudizio sul «valore globale del fatto», il giudice ha un amplissimo potere discrezionale. Egli è libero di valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la

quantitas delicti

, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono (prevalenza o soccombenza).

L’attuale formulazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. costituisce il punto di arrivo di un’evoluzione legislativa dei criteri di bilanciamento iniziata con l’art. 6 del decreto legge 11 aprile 1974, n. 99 (convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220) che ha esteso il giudizio di comparazione alle circostanze autonome o indipendenti e a quelle inerenti alla persona del colpevole, in primo luogo la recidiva333.

330 Cfr. G.LEO, Sul riconoscimento di attenuanti generiche a recidivo reiterato (nota a Corte cost., 10 giugno 2011, n. 183), cit.; G.L.GATTA, Attenuanti generiche al recidivo reiterato: cade (in parte) un irrazionale divieto, cit.

331 G.LEO, Sul riconoscimento di attenuanti generiche a recidivo reiterato (nota a Corte cost., 10 giugno 2011, n. 183), cit.; G.L.GATTA, Attenuanti generiche al recidivo reiterato: cade (in parte) un irrazionale divieto, cit.

332 In argomento, G. CONTENTO, Note sulla discrezionalità del giudice penale, con particolare riguardo al giudizio di comparazione fra le circostanze, in Il Tommaso Natale, 1978, 657; G.DE VERO, Circostanze del reato e commisurazione della pena, cit., 199; T.PADOVANI, voce Circostanze del reato, cit., 215; A.M.STILE, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza tra le circostanze, cit., 200. Si vedano altresì G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 429; F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 428.

333 R.BERTONI, La riforma penale dell’aprile 1974 nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, cit., 1365; V. VALIGNANI, Sui limiti di efficacia dell’art. 69 c.p. alla luce del D.L. 11 aprile 74, n. 99, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, 1112; G.VASSALLI, La riforma penale del 1974: lezioni integrative del corso di diritto penale. Precedenti e contesto, cit., 50.

L’effetto è stato quello di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma anche quello di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali. Si sono notevolmente ampliati i margini della discrezionalità giudiziale, in vista dell’irrogazione di pene proporzionate - ancorché, a volte, anche senza un vero e proprio legame con la finalità rieducativa -.

A fronte di una simile apertura nei confronti del giudice penale, è sorto il delicato problema della scelta dei criteri che dovrebbero guidarlo. Si sottolineava, da un lato, come fosse difficile prevedere criteri generali ed astratti a fronte di un bilanciamento che deve necessariamente avvenire in concreto. Al tempo stesso, si osservava come la prassi successiva al 1974 avesse mostrato, in questo àmbito, l’affermarsi di una discrezionalità giudiziale sostanzialmente incontrollata - specialmente in relazione alle circostanze comportanti autonomi limiti di pena – che doveva essere, pertanto, in qualche modo orientata334. Dal punto di vista del principio di legalità, la disciplina in esame era – ed è tuttora - , infatti, tutt’altro che soddisfacente.

Preso atto dell’eccessivo spazio di discrezionalità offerto al giudice dall’art. 69 cod. pen., il legislatore è intervenuto, con legge n. 251 del 2005, inserendo, al comma quarto, un inedito

Il casus belli della novella citata fu rappresentato da alcune pronunce di merito in cui, dovendosi applicare l’aggravante dell’art. 625 cod. pen. a furti pluriaggravati, ma in concreto «bagatellari», e non potendosi bilanciare tale aggravante con le eventuali circostanze generiche (art. 62-bis c.p.) o del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4, cod. pen.), si era giunti all’irrogazione di «pene draconiane» manifestamente sproporzionate e ingiuste. A fronte di tale puntuale distonia del sistema, tuttavia, il legislatore, invece di mitigare puntualmente le eccessive pene detentive previste dall’art. 625 cod. pen., ritenne di modificare il generale regime di bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen., sottoponendo ad esso, inter alia, anche le circostanze ad effetto speciale. Proprio la riforma del 1974, nel risolvere, almeno in parte, le incongruenze di un’applicazione irragionevole dell’art. 625 cod. pen., aprì al contempo uno sconfinato fronte teorico-applicativo: si pensi solo, a titolo meramente esemplificativo, alla possibilità che l’aggravante del patricidio (art. 577, primo comma, n. 1, cod. pen.), comportante l’applicazione dell’ergastolo, soccomba rispetto alle prevalenti circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., con la conseguente possibilità di applicare una pena minima di anni quattordici di reclusione. In altri termini, l’estensione del bilanciamento alle circostanze indipendenti e ad effetto speciale ha comportato la devoluzione al giudice penale di un potere ai limiti dell’arbitrio, talvolta scardinando le scelte di politica criminale impresse dal legislatore all’atto della definizione della cornice edittale. Cfr. G. CIVELLO, Recidiva reiterata e limiti al bilanciamento ex art. 69 c.p.: due nuove conquiste nella battaglia contro «il divieto di prevalenza», in Arch. pen., 2014, 2, 12.

334 Cfr. D.PULITANÒ, Diritto penale, cit., 546. G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 431. Sull’impossibilità di rinvenire criteri vincolanti da utilizzare nel giudizio di comparazione, M. BOSCARELLI, La disciplina del concorso complesso di circostanze nel quadro dei «vizi tecnici» del codice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, 1258. Sulla possibilità di usare gli stessi parametri forniti dall’art. 133 cod. pen., A.SANTORO, voce Circostanze del reato, cit., 72; G.VASSALLI, Il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena, in AA.VV., Conferenze - Primo corso di perfezionamento per uditori giudiziari, II, Milano, 1958, 736. Sul confronto reciproco delle circostanze secondo la loro specifica intensità accertata in concreto, G. CONTENTO, Note sulla discrezionalità del giudice penale, con particolare riguardo al giudizio di comparazione fra le circostanze, cit., 667; R.PASELLA, Appunti in tema di giudizio di bilanciamento fra circostanze, in Riv. pen., 1977, 247.

divieto di prevalenza delle attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.335.

Invero, già prima del 2005, il legislatore dell’emergenza, per non indebolire la risposta repressiva nei confronti di gravi fatti (

in primis

, quelli di terrorismo ed eversione), aveva escluso espressamente dal giudizio di bilanciamento alcune circostanze aggravanti336. Erano così comparse le prime deroghe alla libertà di bilanciamento delle circostanze, ancorché esse non escludevano

in toto

l’applicazione delle attenuanti337.

335 Le innovazioni introdotte sul terreno del giudizio di bilanciamento della c.d. legge ex Cirielli – in parallelo con le modifiche, dello stesso segno, alla disciplina della recidiva – erano state criticate da più parti in dottrina: S.CORBETTA, Il nuovo volto della recidiva: «tre colpi e sei fuori»?, in A. SCALFATI (a cura di), Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva. Analisi della legge 5 dicembre 2005 n. 251 («ex Cirielli»), Padova, 2006, 64; E.DOLCINI, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, cit., 545; A.MAMBRIANI, La nuova disciplina della recidiva e della prescrizione: contraddizioni sistematiche e problemi applicativi, in Giur. merito, 2006, 837; A.MELCHIONDA, Art. 3 legge 5 dicembre 2005 n. 251, in Leg. pen., 2006, 436; D. POTETTI, Osservazioni in tema di recidiva, alla luce della l. n. 251 del 2005 (c.d. «ex Cirielli»), in Cass. pen., 2006, 2467; F.PULEIO, Tanto tuonò che piovve. La legge 5 dicembre 2005 n. 251, in Cass. pen., 2005, 3697; E.ROSI, Effetti della recidiva reiterata su attenuanti generiche e comparazione, cit., 5.

336 Così non sono, ad esempio, bilanciabili né l’aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 1, co. 3, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, conv. in l. 6 febbraio 1980, n. 15; art. 280, co. 5, cod. pen.) né l’aggravante della finalità di discriminazione o di odio razziale (art. 3, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv. in l. 25 giugno 1993, n. 205) né l’aggravante delle modalità o delle finalità mafiose (art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203), sebbene sia fatta salva talora l’attenuante della minore età. A.NAPPI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2010, 853.

337 Invero, come confermato anche dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. 7 – 13 febbraio 1985, n. 38, in Giur. cost., 1985, I,152) a proposito dell’aggravante di terrorismo o eversione (art. 1, co. 3, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, conv. in l. 6 febbraio 1980, n. 15), il legislatore non ha, con tale norma, inteso escludere in assoluto il rilievo di circostanze attenuanti, ma ha soltanto sostituito l’ordinario meccanismo di cui all’art. 69 cod. pen. con altro meccanismo. In forza della norma speciale il giudice ha due strade: (a) adottare il giudizio di bilanciamento (ex art. 69 cod. pen.) ma allora può solo applicare gli aumenti dipendenti dalle aggravanti, oppure (b) applicare la regola dell’art. 63, terzo comma, cod. pen. (valevole per le c.d. circostanze autonome e, ora, anche per le aggravanti introdotte dal legislatore dell’emergenza). Nel primo caso, il giudice optando per il giudizio di bilanciamento, si trova, in effetti, di fronte alla regola della prevalenza assoluta delle aggravanti. Nel secondo caso, invece, non gli è preclusa in alcun modo la possibilità di applicare le attenuanti: le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante, secondo la regola dell’art. 63, terzo comma, cod. pen. La nuova norma, quindi, non esclude radicalmente le circostanze attenuanti. Ed, infatti, secondo la Corte costituzionale «(l)’autentica preoccupazione del legislatore» era di non consentire che l’aggravante di terrorismo o eversione «potesse essere posta nel nulla dal potere discrezionale del giudice mediante il suo dissolvimento nel giudizio di equivalenza o addirittura di prevalenza delle attenuanti»: ed è questo appunto ciò che si è inteso evitare. La Corte osserva che la nuova regola rappresenta già di per sé una «grave limitazione, che non avrebbe potuto sopportarne una ancora più ampia senza alterare in modo irragionevole l’integrità del giudizio di valore dell’illecito nei suoi criteri e nella sua globalità» (§ 2 del Considerato in diritto). Il giudice rimettente, infatti, aveva sostenuto che la nuova norma avesse in toto escluso la possibilità di tener conto delle attenuanti. Se ciò fosse stato vero, la norma sarebbe risultata incostituzionale. Ma così non è, secondo la Corte. Ne consegue la dichiarazione di non infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, così come convertito nell'art. 1 della l. 6 febbraio 1980 n. 15, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.: «(u)na corretta interpretazione della norma consente, infatti, l'applicazione delle circostanze attenuanti qualora il giudice non intenda esercitare quel giudizio di bilanciamento che la legge consente solo a favore dell'aggravante de qua. In tal caso, le

Limitazioni a siffatto potere discrezionale del giudice penale non sono di per sé illegittime: spetta al legislatore ampia discrezionalità nella commisurazione della misura delle pene e dei loro aggravamenti. Eppure, tali scelte possono essere sindacate ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, giungendo a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale.

Si osserva che, se le deroghe antecedenti al 2005 possono giustificarsi in quanto legate ad elementi del fatto e non totalmente preclusive dell’applicazione delle attenuanti338, più problematico è il generalizzato divieto di subvalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., inserito nella parte generale del codice ed avente ad oggetto non una specifica fattispecie di reato, bensì una particolare tipologia soggettiva339.

Innanzitutto, si evidenzia, come mediante il rigido meccanismo della norma in esame, il giudice si trova, di fatto, a non poter distinguere, sul piano sanzionatorio, la posizione di chi meriti le circostanze attenuanti da quella di chi ne è immeritevole. Il fenomeno della recidiva reiterata verrebbe sanzionato in sé, a prescindere dalla gravità dei fatti commessi e dalla personalità dell’autore.

Alla base di questo automatismo sanzionatorio vi è una presunzione di assoluta pericolosità. Presunzione che prescinde tanto dalla natura dei delitti cui si riferiscono le precedenti condanne, quanto dall’epoca della loro commissione e dall’identità di indole rispetto al nuovo reato. Proprio per questo, l’automatismo andrebbe a riguardare situazioni tra loro profondamente diverse e difficilmente riconducibili all’

id quod plermuque accidit

.

Si consideri, altresì, che il divieto di subvalenza della recidiva reiterata è previsto in rapporto a tutte le attenuanti e, dunque, anche a quelle a carattere oggettivo, non omogenee rispetto alla recidiva, in quanto non riferite alla personalità dell’autore, ma espressive del minor disvalore del fatto.

Da qui le plurime perplessità sollevate con riguardo alla nuova «blindatura».

Le conseguenze in punto di sanzione che un simile divieto produce risultano evidenti specialmente quando le circostanze attenuanti «neutralizzate» dalla preclusione legislativa hanno natura autonoma o indipendente. Il divieto di subvalenza, per come formulato, vale, infatti, con riferimento a tutte le circostanze attenuanti: siano esse proporzionali (ad efficacia comune), ossia comportanti una variazione frazionaria (fino a un terzo) della pena prevista per il reato semplice, o non proporzionali (autonome e indipendenti), il cui peso finale sul

quantum

della pena irrogata può essere ben più sostanzioso.

diminuzioni saranno apportate sulla pena risultante dagli aumenti indotti dalle aggravanti, secondo la regola generale». Conclusioni confermate da Corte cost., sent. 28 giugno – 3 luglio 1985, n. 194, in Giur. cost., 1985, I, 1513.

338 Per approfondimenti, si veda la nota precedente.

In certi casi, come si vedrà di seguito, riconoscere la prevalenza di talune attenuanti può comportare una riduzione della sanzione fino a quarantotto volte rispetto alla pena base: qui, a creare problemi non è tanto l’automatismo quando la misura finale della pena. Infatti, in presenza di fatti ugualmente offensivi, vietare la prevalenza delle attenuanti solo per la mera qualità di recidivo reiterato dell’autore, finisce per attribuire più peso al soggetto che non al fatto. E ciò, in palese violazione dei princìpi di colpevolezza ed offensività.

È proprio rispetto a quest’ultimo tipo di circostanze che il divieto generalizzato, introdotto con la modificazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., ha mostrato le maggiori incongruenze. Ed è, proprio in questi casi, che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma.

La deroga al giudizio di bilanciamento, quando rivela il carattere palesemente sproporzionato del trattamento sanzionatorio rispetto all’entità dell’offesa arrecata, è un esempio paradigmatico di illegittimità.

Invero, anziché passare attraverso una pronuncia di incostituzionalità, si era, inizialmente, proposta un’interpretazione adeguatrice della disposizione in esame340. Si diceva, infatti, che il giudice avrebbe potuto eludere il rigido divieto, escludendo

tout court

la recidiva reiterata nel caso concreto. Ciò era consentito dalla natura facoltativa che si riteneva avesse la recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.341. Sicché, in quanto facoltativa, il giudice ben poteva

340 È bene precisare che, proprio con riferimento all’art. 69, quarto comma, cod. pen., l’insofferenza manifestata, sin da subito, dal diritto vivente nei confronti del divieto ivi previsto, ha indotto la giurisprudenza di merito e di legittimità a fornire, della norma, una interpretazione che ne attenuasse il rigore. E così, ferma restando la permanenza del suddetto divieto astratto, le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass., Sez. Un., 27 maggio – 5 giugno 2010, n. 35738, in Giur. cost., 2011, 2103, con nota di F. ROCCHI, Il patteggiamento dei recidivi reiterati: un problema di «discrezionalità bifasica» o di politica legislativa?) hanno avuto modo di precisare come il giudice penale, pur a fronte della rituale contestazione della recidiva reiterata, potesse in ogni caso escluderne in concreto l’applicazione. In questo modo, non si evitava l’applicazione del severo aumento di pena di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., ma si «neutralizzava» la recidiva ad ogni altro effetto, compreso il divieto di prevalenza ex art. 69, quarto comma, cod. pen. Pur nel lodevole intento di temperare le incongruenze di una novella quanto mai problematica, tale soluzione avevano un evidente e inevitabile limite: infatti, al fine di escludere il divieto di prevalenza ex art. 69, quarto comma, cod. pen., il giudice avrebbe dovuto comunque rinvenire, nel caso concreto, elementi o circostanze tali da giustificare la «disapplicazione» della recidiva reiterata, pur regolarmente contestata dall’accusa. Qualora, invece, tali circostanze non fossero emerse dal caso concreto, la «scure» del divieto di prevalenza si sarebbe inesorabilmente abbattuta sulla commisurazione sanzionatoria, impedendo la completa neutralizzazione della recidiva reiterata e del suo regime sostanziale e processuale. Si veda altresì Corte cost., sent. 5 - 14 giugno 2007, n. 192, in Cass. pen., 2007, 4037, e Cass. pen., 2008, 531, con nota di R.VINCENTI,La sentenza della C. cost. n. 192 del 2007: facoltatività della recidiva reiterata e interpretatio abrogans del nuovo art. 69, comma 4, c.p. Per approfondimenti sulla regola della facoltatività della recidiva, si veda infra.

341 Si diceva che la norma, sotto questo profilo, non prevedeva alcun automatismo sanzionatorio correlato ad una presunzione iuris et de iure di pericolosità sociale del recidivo reiterato. Il giudice avrebbe potuto ritenere sussistente o meno la recidiva. Nel primo caso, la recidiva non rilevava in alcun modo: oltre a non produrre l’aggravamento della pena (effetto diretto della recidiva), non entrava neppure a comporre la materia del giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen. (effetto indiretto della recidiva), né

escludere la recidiva reiterata quando il nuovo episodio delittuoso non appariva concretamente significativo, in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti. Unico caso di recidiva reiterata obbligatoria era previsto dall’art. 99, quinto comma, cod. pen.: solo nei casi ivi previsti, il giudice non avrebbe potuto eludere il divieto di subvalenza della recidiva reiterata.

Questa tesi è stata sostenuta, in un primo tempo, tanto dalla giurisprudenza costituzionale, quanto dalla giurisprudenza di legittimità342. Ciò è avvenuto non senza qualche perplessità.

Detta proposta interpretativa, infatti, ha aperto la strada a decisioni di merito tra loro diverse ancorché per casi sostanzialmente analoghi. In ipotesi di evidente recidivanza ma riguardanti condotte lievemente offensive, si apriva un vero e proprio dilemma per il giudice: egli avrebbe potuto riconoscere la recidiva reiterata, con la conseguenza, però, di trovarsi vincolato dal divieto in esame e di dover comminare una pena sicuramente sproporzionata rispetto alla gravità del fatto, ovvero avrebbe dovuto cercare veri e propri «equilibrismi dialettici»343 per giustificare l’esclusione di una recidiva (evidente), all’unico fine di comminare una pena effettivamente proporzionata alla lieve offensività della condotta.

Ecco perché la soluzione proposta dalla giurisprudenza costituzionale non appariva totalmente soddisfacente.

Il riconoscere o escludere la recidiva reiterata (facoltativa) resta un’operazione valutativa diversa dal bilanciamento di detta aggravante con le concorrenti circostanze attenuanti. Esistono situazioni in cui, giudicando con onestà intellettuale, la recidiva non può essere esclusa e, tuttavia, viene sentito come ingiusto negare la prevalenza di determinate attenuanti.

È proprio il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee a consentire al giudice di valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza) ovvero tenendo contro di quelle che aggravano o diminuiscono la

quantitas delicti

. Precludere la possibilità di adeguare la pena attraverso il bilanciamento è

operavano gli ulteriori effetti costituiti dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale (art. 81, quarto comma, cod. pen.), dall’inibizione all'accesso al cosiddetto «patteggiamento allargato» e alla relativa riduzione premiale (art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen.). Nel secondo caso, il giudice ritenuta sussistente la recidiva reiterata, doveva «dichiararla» ed «applicarla» essendo esclusa la possibilità di esercitare la discrezionalità «bifasica». Ecco perché, sotto questo profilo, si affermava che tutte le forme di recidiva erano «obbligatorie»: così F. MANTOVANI, Diritto Penale, cit., 404 e 655. La «facoltatività» della recidiva, infatti, non può atteggiarsi come parziale o «bifasica» (così Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2007, n. 16750, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 2, 870), nel senso che, consentito al giudice di elidere l’effetto primario dell’aggravamento della pena, l’ordinamento renda viceversa obbligatori gli ulteriori effetti penali della circostanza. In questo senso, Cass. pen., Sez. Un., 27 maggio 2010, n. 35738, cit. Di contro, per un recupero del sistema sanzionatorio a struttura «bifasica» soprattutto in sede di esecuzione: R. BARTOLI, Lettura funzionale e costituzionale della recidiva e problemi di razionalità del sistema, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, 1706.

342 Si vedano i riferimenti della nota 377.

343 Queste le considerazioni del giudice rimettente riportate da Corte cost., sent. 5 - 15 novembre 2012, n. 251, in Giur. cost., 2012, 4057. Si veda, in particolare, il § 1 del Ritenuto in fatto.

ammesso in linea generale, ma ciò a patto di non arrivare ad effetti di manifesta irragionevolezza, come quelli prospettati.

8. SEGUE. LE PRONUNCE DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DEL DIVIETO DI SUBVALENZA DELLA

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