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normalmente assegnato dalla legge, l’ordinamento italiano prevede pene accessorie che «conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa» (art. 20 cod. pen.)269.

Siccome derivano automaticamente dalla condanna, per esse manca

tout court

il momento della commisurazione discrezionale del giudice che, invece, caratterizza le pene principali270.

Tale automaticità riguarda sia l’

an

sia il

quantum

della pena accessoria. Sotto il primo profilo, infatti, la pena accessoria è una pena che «accede» e si aggiunge,

ope legis

, alla pena principale. Con riferimento al

quantum

, la durata delle pene accessorie temporanee, qualora non sia specificamente determinata dalla legge, è pari a quella della pena temporanea inflitta (c.d. principio di equivalenza

ex

art. 37 cod. pen.). In nessun caso la durata della pena accessoria può superare i limiti, minimo e massimo, stabiliti dalla legge per ciascun tipo di pena271.

269 Nel disegno originario del codice Rocco le pene accessorie sono considerate sanzioni che, «per il loro intrinseco carattere mancano di un’efficienza tale, per cui possano riuscire, per sé medesime, sufficienti a realizzare gli scopi intimidativi ed afflittivi della repressione. Di qui l’evidente necessità di comminarle sempre congiuntamente ad altre pene, rispetto alle quali esse sono complementari e accessorie». Cfr. Relazione al progetto definitivo, in Lavori preparatori del codice penale e di procedura penale, V, Roma, 1930, 64. In argomento, in ordine alfabetico, S. ARDIZZONE, Illegittimità costituzionale dell’applicazione provvisoria di pene accessorie ex art. 140 c.p., in Il Tommaso Natale, 1976, 603; G.CERQUETTI, voce Pene accessorie, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 819; P.DE FELICE, Natura e funzione delle pene accessorie, Milano, 1988; R.A.FROSALI, voce Pena accessoria, in Noviss. Dig. it., XII, Torino, 1965, 836; A.GAITO, In tema di provvisoria applicazione di pene accessorie, in Cass. pen. Mass. ann., 1976, 1218; S.LARIZZA, Le pene accessorie, Padova, 1986; ID., Sulla provvisoria applicazione di pene accessorie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, 872; A.MENGHINI, Le sanzioni penali a contenuto interdittivo. Una proposta de iure condendo, Torino, 2008; F.PALAZZO, Le pene accessorie nella riforma della parte generale e della parte speciale del codice, in Studi Musotto, IV, Palermo, 1981, 36; ID., Le interdizioni nella prospettiva delle misure alternative alla pena, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, 190; P.PISA, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, Milano, 1984; ID., Pene accessorie e principio di tassatività, Milano, 1979; V.SCORDAMIGLIA, L’applicazione provvisoria di pene accessorie, Napoli, 1980; L.VIOLANTE, Contenuto e funzioni delle pene accessorie: conseguenze in tema di applicabilità al concorso di persone nel reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1969, 263; A.VIRGILIO, Le pene accessorie nel momento attuale, Napoli, 1991. Si vedano altresì F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 777; G. FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 734; D.PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2015, 588.

270 Cfr. F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 777 ss. G.FIANDACA,E.MUSCO, Diritto penale, cit., 735. Questi ultimi ritengono che l’opinione della automaticità di applicazione sia smentita dall’esistenza di casi in cui l’applicazione delle pene accessorie è rimessa alla discrezionalità del giudice della cognizione. In questo senso, ad esempio, le ipotesi previste dall’art. 32, terzo comma, cod. pen. o dell’art. 229, secondo comma, della legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942). Più corretto sembra allora riconoscere che l’unica caratteristica comune delle pene accessorie è la loro «complementarità astratta», l’essere cioè accessorie rispetto ad altre sanzioni nella fase della loro comminazione. Per approfondimenti, P. PISA, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, cit., 8; G.CERQUETTI, voce Pene accessorie, cit., 819.

271 Si segnala che la c.d. legge Orlando, approvata il 14 giugno 2017, delega il Governo a riformare il sistema delle pene accessorie, definendo, all’art. 1, comma 85, lett. u), quale unico (e generico) criterio direttivo, che la revisione deve improntarsi «al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato ed esclusione di una loro durata superiore alla durata della pena principale». Il testo della legge è reperibile su www.penalecontemporaneo.it, dove si possono consultare anche le prime note di commento.

A ben vedere, qui, alla problematica che coinvolge gli automatismi si somma la questione della «fissità» che connota l’applicazione della pena accessoria, con conseguente tensione rispetto alle esigenze di personalizzazione del trattamento sanzionatorio e della sua necessaria finalizzazione rieducativa.

Sono proprio i caratteri di automaticità e fissità delle pene accessorie a sollevare perplessità in relazione ai princìpi costituzionali visti. La questione è stata affrontata più volte tanto dalla Corte di Cassazione, quanto dalla Corte costituzionale.

Qualche apertura alla discrezionalità delle pene accessorie si è ottenuta con riguardo alla pena accessoria della perdita della potestà genitoriale prevista nell’art. 569 cod. pen.272 come conseguenza automatica della condanna per uno dei delitti contro lo stato di famiglia puniti agli articoli precedenti273. Per come formulata, la norma introduce un automatismo

de iure

che non consente al giudice alcuno spazio di discrezionalità nell’applicare la citata pena accessoria.

Nel rimettere la questione alla Corte costituzionale, il giudice

a quo

osserva come, con riguardo alla specifica pena accessoria in parola, all’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva - nonché all’interesse dell’imputato alla celebrazione del giusto processo -, rileva anche l’interesse del figlio minore a vivere nell’àmbito della propria famiglia. Anzi, proprio quest’ultimo interesse assume rilievo primario. Se è vero che il reato è posto a protezione dell’interesse di questi – interesse alla verità dell’attestazione ufficiale circa la propria ascendenza -, è altrettanto vero che la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale incide direttamente sul suo diritto a crescere ed essere educato all’interno della famiglia naturale.

Stante l’applicazione automatica della pena accessoria, al giudice verrebbe totalmente impedita la possibilità di bilanciare i diversi interessi implicati nel processo e, in particolare, proprio l’interesse del minore. È, quest’ultimo, «un interesse complesso, articolato in diverse

272 La pena accessoria della decadenza o sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori è disciplinata, in via generale, nell’art. 34 cod. pen. Sulle modifiche introdotte con l’art. 122 e con l’art. 146 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si veda, per tutti, S. VINCIGUERRA, La riforma del sistema punitivo nella L. 24 novembre 1981, n. 689: infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, 410.

273 Corte cost., sent. 15 - 23 febbraio 2012, n. 31, in Foro It., 2012, 7-8, 1, 1992. Per un commento, cfr. M. MANTOVANI, La Corte costituzionale fra soluzioni condivise e percorsi ermeneutici eterodossi: il caso della pronuncia sull'art. 569 c.p., in Giur. cost., 2012, 377; G.LEO, Illegittimo l'automatismo nell'applicazione della sanzione accessoria della perdita della potestà del genitore per il delitto di alterazione di stato, in www.penalecontemporaneo.it, 27 febbraio 2012; A.TESAURO, Corte costituzionale, automatismi legislativi e bilanciamento in concreto: «giocando con le regole» a proposito di una recente sentenza in tema di perdita della potestà genitoriale e delitto di alterazione di stato, ivi, 2012, 4909; R.GIOVAGNOLI, I c.d. automatismi sanzionatori al vaglio del principio di ragionevolezza in materia penale: le sentenze della Corte costituzionale n. 31 del 2012; 251 del 2012; 183 del 2011 e 68 del 2012, in Giurisprudenza penale 2014, Milano, 2014, 61.

situazione giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale sia in quello interno»274.

La Consulta afferma che è ben possibile che il legislatore disponga interventi sostitutivi nel caso in cui uno o entrambi i genitori si rivelino incapaci di assolvere i loro compiti. Parimenti, è altrettanto possibile che il legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalità, ritenga che, in caso di condanna di uno o entrambi i genitori, si debba rendere applicabile la pena accessoria della perdita della potestà.

Nondimeno, proprio perché la pronunzia di decadenza va ad incidere sull’interesse del minore, «non è conforme al principio di ragionevolezza, e contrasta quindi con il dettato dell’art. 3 Cost., il disposto della norma censurata»275. Quest’ultimo, ignorando il detto interesse, statuisce la perdita della potestà sulla base di un «mero automatismo». Automatismo che preclude al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l’interesse stesso e la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso276.

Il giudizio viene, quindi, condotto non dall’angolazione di chi subisce effettivamente la pena accessoria, ma da quella di coloro sui quali si irradiano le conseguenze delle restrizioni imposte. La Corte si sofferma, a questo punto, sulla specificità della situazione concreta, osservando che la violazione del principio di ragionevolezza deve essere affermata anche alla luce dei caratteri propri del delitto per il quale si stava procedendo.

Il caso sotteso concerneva un processo a carico di una donna, imputata del reato previsto e punito dall’art. 567, secondo comma, cod. pen., dichiarata colpevole di aver alterato lo stato civile della figlia al momento della formazione dell’atto di nascita, mediante false attestazioni: la donna, coniugata con marito detenuto, aveva dichiarato la neonata come figlia naturale, ancorché fosse ben consapevole che la piccola era stata concepita in costanza di matrimonio e quindi era legittima.

Diversamente da altre ipotesi criminose in danno di minori, il reato appena menzionato non reca in sé una «presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minore», tale da indurre a ravvisare sempre l’inidoneità del genitore all’esercizio della potestà genitoriale. Anzi, vi possono essere casi in cui la falsità dell’attestazione sia motivata da esigenze volte a preservare il neonato da pregiudizi che potrebbero derivargli dall’altro genitore.

274 Cfr. Corte cost., sent. n. 31/2012, cit., § 3 del Considerato in diritto. La questione rileva anche sul versante della necessaria conformazione del quadro normativo agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese sul versante specifico della protezione dei minori. La Corte richiama la Convenzione su diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 (art. 3), la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (art. 6), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000.

275 Cfr. Corte cost., sent. n. 31/2012, cit., § 3.1 del Considerato in diritto. 276 Ibidem.

In siffatte ipotesi, nel caso in cui il genitore penalmente responsabile abbia sempre adempiuto ai suoi doveri, il minore non potrà che subire nocumento dall’applicazione della sanzione di cui si tratta.

Pertanto, è ragionevole «affermare che il giudice possa valutare, nel caso concreto, la sussistenza di detta idoneità in funzione della tutela dell’interesse del minore»277. Ne consegue, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 569 cod. pen., nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato di cui all’art. 567, secondo comma, cod. pen., debba conseguire automaticamente la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto278.

Nella decisione ora analizzata, il giudizio è condotto tutto all’interno del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.). I parametri formali presenti nella decisione, vale a dire gli artt. 2, 30 e 31 Cost., infatti, sono funzionali solo a far emergere quel preminente interesse del minore che va a premere sulla formulazione legislativa, al fine di determinarne la sua flessibilizzazione. Nel caso in cui siano coinvolti interessi ritenuti dall’ordinamento prevalenti, quale quello del minore, è necessario che le regole diventino elastiche ed adattabili alla situazione concreta che sono chiamate a disciplinare.

È il giudice il soggetto che deve valutare quale soluzione corrisponda all’interesse del minore, una volta che l’automatismo è venuto meno.

Sulla scia di questa pronuncia, la Corte di Cassazione ha sollevato - in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 117 Cost. - questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 569 cod. pen. stavolta in relazione al delitto di soppressione di stato di cui all’art. 566, secondo comma, cod. pen.279.

Il caso sotteso riguardava la condanna per il delitto menzionato pronunciata nei confronti dei genitori di una bambina della quale era stata dichiarata la nascita oltre il termine di legge e nei confronti dei quali era stata disposta l’applicazione, a norma dell’art. 569 cod. pen., della pena accessoria della perdita della potestà genitoriale sulla minore.

La Corte costituzionale ribadisce qui la

ratio decidendi

della sentenza appena esaminata: «l’automatismo che caratterizza l’applicazione della pena accessoria risulta compromettere gli stessi interessi del minore che la richiamata sentenza della Corte ha inteso salvaguardare»280.

277 Ibidem. 278 Ibidem.

279 Corte cost., sent. 16 - 23 gennaio 2013, n. 7, in Dir. pen. e proc., 2013, 4, 419. Per un commento, cfr. S. LARIZZA, Interesse del minore e decadenza dalla potestà dei genitori, ivi, 554; V. MANES, La Corte costituzionale ribadisce l'irragionevolezza dell'art. 569 c.p. ed aggiorna la «dottrina» del «parametro interposto» (art. 117, comma primo, Cost.), in Dir. pen. cont., 2013, 1, 299.

Anche per la soppressione di stato valgono le stesse considerazioni di non necessaria «indegnità» del genitore che sono state evocate per l’alterazione di stato.

Nella specie, una dichiarazione di nascita, seppure tardiva di oltre quattro anni, vi è stata; quanto agli interessi del minore e alla condotta serbata dai genitori, si osserva, poi, che, pur dovendosi stigmatizzare il fatto addebitato, «non fu presente negli imputati la volontà di privare la nuova nata delle attenzioni materiali e anche dell’affetto e dell’assistenza che certamente non le sono mancate»281.

La problematica che affligge i classici caratteri dell’automatismo assume, qui, una dimensione di particolare acutezza, perché rileva, come necessario termine di raffronto - e, dunque, quale limite costituzionale di operatività della sanzione -, la salvaguardia delle esigenze educative ed affettive del minore: «esigenze che finirebbero per essere inaccettabilmente compromesse, ove si facesse luogo ad una non necessaria interruzione del rapporto tra il minore ed i propri genitori in virtù di quell’automatismo e di quella fissità»282. In sostanza, incidendo la pena accessoria su una potestà che coinvolge non soltanto il suo titolare ma anche, necessariamente, il figlio minore, è evidente che, in tanto può ritenersi giustificabile l’interruzione di quella

relatio

giuridico-naturalistica, in quanto essa si giustifichi proprio in funzione di tutela degli interessi del minore.

All’irragionevole automatismo legale occorre dunque sostituire – quale soluzione costituzionalmente più congrua – una valutazione concreta del giudice, così da assegnare all’accertamento giurisdizionale del reato null’altro che il valore di indice per misurare l’idoneità o meno del genitore ad esercitare le proprie potestà: vale a dire il fascio di doveri e poteri sulla cui falsariga realizzare in concreto gli interessi del figlio minore283.

Per queste ragioni si arriva alla medesima conclusione di incostituzionalità dell’art. 569 cod. pen.

La particolarità dei casi visti esclude la possibilità di estendere, quale effetto generale d’impulso, le medesime conclusioni all’intero àmbito delle pene accessorie.

È significativo che analoghi attacchi mossi riguardo a pene accessorie diverse da quella concernente la potestà genitoriale siano per ora falliti.

Uno di questi ha riguardato il tema della legittimità della quantificazione fissa delle pene accessorie previste per i reati di bancarotta dall’art. 216, ultimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Nello specifico, la questione di legittimità costituzionale ha investito detta norma nella parte in cui si prevede che, per ogni ipotesi di condanna per i fatti di bancarotta previsti nei commi

281 Ibidem. 282 Ibidem.

precedenti del medesimo articolo, si applichino le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni284.

La norma oggetto di censura, nel predeterminare in misura fissa la durata delle pene accessorie (dieci anni), non terrebbe conto del fatto che tali pene accessorie conseguono a comportamenti di gravità assolutamente diversa, essendo profondamente differenziate le varie condotte sussunte nella norma incriminatrice – bancarotta distrattiva, dissipativa, documentale, preferenziale – difformi fra loro sul piano oggettivo e che consentono al giudice di determinare la pena principale in un ampio àmbito che va da tre a dieci anni di reclusione, riconoscendosi in tal modo implicitamente che la fattispecie astratta trova applicazione rispetto a condotte di gravità molto diversa tra loro.

La norma, a detta dei giudici rimettenti, non sarebbe conforme a molteplici princìpi costituzionali: da quello di eguaglianza (art. 3 Cost.), a quelli che riconoscono il diritto al lavoro e che permettono ad ogni cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.), dal principio della finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), a quelli che indirizzano a fini sociali l’iniziativa economica privata e che ne riconoscono la libertà (art. 41 Cost.).

Le sanzioni accessorie in questione non solo sono particolarmente afflittive e incisive nell’ottica della libertà di iniziativa economica del condannato che abbia già eseguito la pena principale, ma la loro applicazione automatica - indipendentemente dalla misura della pena principale irrogata - può generare una frizione con l’obiettivo di rieducazione della pena e con l’esigenza di reinserimento sociale del condannato. In aggiunta a ciò, anche il principio di uguaglianza viene posto sotto

stress

, dato che gli stessi dieci anni di inabilitazione e incapacità possono essere irrogati a seguito della commissione di condotte connotate da diverso disvalore, come testimonia l’ampia forbice sanzionatoria prevista per la bancarotta patrimoniale o documentale (da tre a dieci anni) o, addirittura, una cornice edittale sensibilmente minore nel caso della bancarotta preferenziale (da uno a cinque anni).

La Consulta dà conto del contrasto esistente, in seno alla quinta sezione della Corte di Cassazione, nell’interpretazione dell’art. 216, ultimo comma, del r.d. n. 267 del 1942 e, segnatamente, nella determinazione della durata della sanzione dell’inabilitazione ivi prevista285.

284 Corte cost., sent. 21 - 31 maggio 2012, n. 134, in Cass. pen., 2012, 9, 2931. Per un commento, cfr. E. AMATI, Bancarotta fraudolenta e durata delle pene accessorie: un dibattito ormai superato?, in Filo Diritto, 15 settembre 2014; V.MANES, L'intervento richiesto eccede i poteri della Consulta e implica scelte discrezionali riservate al legislatore, in Guida dir., 2012, 27, 68; L.VARRONE, Sui limiti del sindacato di costituzionalità delle previsioni sanzionatorie, in un caso concernente le pene accessorie interdittive per il reato di bancarotta fraudolenta, in www.penalecontemporaneo.it, 1 giugno 2012.

A fronte di un primo orientamento che ritiene non possibile una rimodulazione della pena accessoria in relazione alla maggiore o minore gravità del fatto - e quindi pari alla durata della pena principale -, esiste un orientamento opposto che ne fornisce un’interpretazione costituzionalmente orientata. A detta del secondo, la fissità della sanzione accessoria contrasterebbe con il «volto costituzionale» dell’illecito penale, giacché il sistema normativo dovrebbe lasciare adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, al fine di permettere l’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete. La norma andrebbe quindi letta nel senso che essa stabilisce solo la durata massima delle pene accessorie (dieci anni), con la conseguenza che esse, di regola, dovrebbero avere una durata identica alla pena principale inflitta.

Sebbene ben motivate, la Consulta, nel caso di specie, si trova costretta a dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in quanto il

petutim

formulato dai rimettenti non consente un intervento della Corte «a rime obbligate».

I giudici rimettenti chiedono, infatti, alla Corte di aggiungere le parole «fino a» all’ultimo comma dell’art. 216 del r.d. n. 267 del 1942. Ciò allo scopo di rendere possibile l’applicazione dell’art. 37 cod. pen. che, come noto, stabilisce l’equivalenza temporale fra pene accessorie temporanee, nel caso in cui la legge non ne preveda espressamente la durata, e pene principali concretamente irrogate. Tale soluzione, però, come osserva la Corte, è solo una tra quelle astrattamente ipotizzabili in caso di accoglimento della questione: «sarebbe anche possibile prevedere una pena accessoria predeterminata ma non in misura fissa (ad esempio da cinque a dieci anni) o una diversa articolazione delle pene accessorie in rapporto all’entità della pena detentiva»286. Una siffatta scelta compete, dunque, esclusivamente al legislatore.

In questo modo, implicitamente, la Consulta si allinea all’orientamento giurisprudenziale che considera la pena accessoria

de qua

in misura fissa. Se avesse ritenuto percorribile

Secondo l'orientamento più risalente la pena accessoria prevista dall'ultimo comma dell'art. 216 l. fall. non è indeterminata, essendo stabilita in misura fissa e inderogabile nella durata di dieci anni, e, di conseguenza, si sottrae alla disciplina di cui all'art. 37 cod. pen. (Cass. pen., sez. V, 20 settembre 2007, n. 39337, in CED Cassazione 238211). Un più recente orientamento, invece, ha ritenuto che la pena accessoria in esame sia

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