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tipologie di reato, irrigidisce il regime penale e penitenziario può apparire a prima vista una normale applicazione del principio della differenziazione dell’intervento penale.

In realtà, siamo qui di fronte a un modo di intendere la differenziazione diverso rispetto a quello introdotto dalla riforma del 1975. E, infatti, in questo caso, la differenziazione non è fondata sulla valutazione della persona e del suo modo di porsi di fronte al proprio comportamento e alla collettività, ma riguarda una categoria di reati e l’utilità materiale che si può trarre, in relazione ad essi, da attività di delazione468.

467 Cfr. A. PUGIOTTO, C. MUSUMECI, Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell'ergastolo ostativo, cit., 100: si tratta di «una prova negativa, quindi di ardua produzione come sempre accade quando si tratta di dimostrare l’inesistenza di un fatto che si presume tutt’ora esistente, costringendo il soggetto gravato dall’onere probatorio a una operazione gneseologica estremamente problematica, ai limiti, per l’appunto, dell’impossibilità». Cfr. F. DELLA CASA, Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della «scommessa» anticustodialistica agli insidiosi programmi del «doppio binario», cit., 102. Sul punto anche F.P.C.IOVINO, Osservazioni sulla recente riforma dell’ordinamento penitenziario, cit., 1246. La norma configura, inoltre, un’inversione dell’onere probatorio, gravante sul condannato, cfr. M.CANEPA,S.MERLO, Manuale di diritto penitenziario, cit., 498.

Il problema è reale e impone la ricerca di una soluzione interpretativa ragionevole. In questo senso, alcuni pronunciamenti giurisprudenziali, per riconoscere l’assenza del legame tra il reo e il sodalizio criminale, ritengono sufficiente un apprezzabile grado di attendibilità fondato sulla «prova positiva contraria». Così Cass., sez. fer. pen., 15 settembre 2011, n. 34746, citata da A.RICCI, «Collaborazione impossibile» e sistema penitenziario. L’ammissibilità di misure premiali ed alternative per i non collaboranti condannati per delitto ostativo, Padova, 2013, 74. Allo stato, però, non sembra trattarsi di un orientamento qualificabile come un vero e proprio diritto vivente giurisprudenziale. Cfr. A.PUGIOTTO,C.MUSUMECI, Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell'ergastolo ostativo, cit., 102.

468 Si è osservato, in dottrina, che l’esecuzione della pena finisce per essere usata come strumento di pressione diretto all’ottenimento della collaborazione, trasformando, in tal modo, l’apparato carcerario in «ingranaggio attivo dell’azione investigativa». Cfr. L.CARACENI,C.CESARI,Sub Art. 4-bis, cit., 53; F.DELLA

CASA, Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della «scommessa» anticustodialistica agli insidiosi programmi del «doppio binario», cit., 117. In termini analoghi, A.BERNASCONI, Le immunità occulte. Fase dell’esecuzione penale ed ideologia premiale tra razionalizzazione e garantismo, in Politica del diritto, 1997, 2, 194; V.GREVI, Verso un regime penitenziario progressivamente differenziato: tra esigenze di difesa sociale ed incentivi alla collaborazione con la giustizia, cit., 14; G.INSOLERA, Diritto penale e criminalità organizzata, Bologna, 1996, 35; M.PAVARINI, Lo scambio penitenziario, Bologna, 1996, 253; A.PRESUTTI, «Alternative» al carcere, regime delle preclusioni e sistema della pena costituzionale, cit., 91; L. FILIPPI, La «novella» penitenziaria del 2002: la proposta dell’Unione delle Camere penali e una «controriforma» che urta con la Costituzione e con la Convenzione europea, in Cass. pen., 2003, 30; C.A. ESPOSITO, Aspetti problematici delle misure alternative alla detenzione, in A.SCALFATI (a cura di), Giurisdizione di sorveglianza e tutela dei diritti, Padova, 2004, 35; L. DEGL’INNOCENTI,F. FALDI, I benefici penitenziari, Milano, 2014, 381; L.FILIPPI,G.SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, cit., 237.

La disciplina in esame non intacca il sistema della pena flessibile ma lo sgancia dal suo naturale referente costituzionale (art. 27, terzo comma, Cost.): la concessione di forme attenuate rispetto alla detenzione piena discende da un comportamento valutato positivamente ai fini della lotta investigativa alla criminalità organizzata469.

La centralità dell’apporto collaborativo del detenuto costituisce di per sé uno «scompenso»470 rispetto ad un sistema ispirato alla funzione rieducativa della pena471. In fase esecutiva, la valutazione degli atteggiamenti collaborativi può ben costituire uno degli elementi di valutazione per la concessione di benefici. Nondimeno, una iper-valutazione di tale elemento non può finire per svalutare

in toto

le condotte rilevanti sul piano della risocializzazione del condannato. Benché sintomatica della frattura con un passato criminoso, la collaborazione non si rivela da sola idonea a garantire, anche per il futuro, l’astensione del condannato da ulteriori comportamenti delittuosi472.

469 L.CARACENI,C.CESARI,Sub Art. 4-bis, cit., 69; M.PAVARINI,B.GUAZZALOCA, Corso di diritto penitenziario, cit., 185; L.DEGL’INNOCENTI,F.FALDI, I benefici penitenziari, cit., 382; L.EUSEBI, Ergastolano «non collaborante» ai senso dell’art. 4-bis, comma 1, ord. penit. e benefici penitenziari: l’unica ipotesi di detenzione ininterrotta, immodificabile e senza prospettabilità di un fine?, in Cass. pen., 2012, 4, 1222; L.FILIPPI,G. SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, cit., 238.

470 Cfr. M.PAVARINI,B.GUAZZALOCA, Corso di diritto penitenziario, cit., 182.

471 «Collaborazione» e «rieducazione» non si implicano vicendevolmente, per la chiara caratterizzazione fenomenica della prima, a fronte della dimensione squisitamente interiore che connota la seconda. Cfr. L. CARACENI, C. CESARI, Sub Art. 4-bis, cit., 53; F. DELLA CASA, Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della «scommessa» anticustodialistica agli insidiosi programmi del «doppio binario», cit., 124; M.PAVARINI,B.GUAZZALOCA, Corso di diritto penitenziario, Bologna, 2004, 182; C. RUGA RIVA, Il premio per la collaborazione processuale, Milano, 2002, 348.

472 Come osservato in dottrina, la loro rifunzionalizzazione in chiave di strumento di pressione verso la scelta collaborativa porta alla luce una configurazione impropria del trattamento alternativo propiziandone una gestione indulgenziale. Misure alternative e benefici penitenziari diventano da strumenti utili alla risocializzazione del condannato, tarati sulle sue esigenze di personalità, a rimedi per le inadempienze dello Stato sul fronte del controllo delle più gravi manifestazioni del fenomeno criminoso, applicabili quale pretesto per il conseguimento di finalità estrinseche al soggetto, ma proprie degli apparati investigativi. Cfr. A.PRESUTTI, «Alternative» al carcere e regime delle preclusioni, cit., 94.

L’obiettivo perseguito dal favor per la collaborazione processuale può essere identificato, in ultima analisi, nella prevenzione di futuri delitti, resa possibile da informazioni fornite dal collaboratore, e in via immediata in una maggiore produttività del sistema processuale, in termini di accertamento di reati e di affermazioni di responsabilità degli autori di reati. Si tratta di obiettivi di sicura rilevanza, anche costituzionale. Sullo sfondo c’è un problema di tutela dei beni giuridici aggrediti dalle forme di criminalità in relazione alle quali viene sollecitata la collaborazione, nonché l’efficienza nell’accertamento e nella repressione di dati delitti. Cfr. D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 551. Se siffatto favor per il pentitismo, sul piano dei princìpi del diritto sostanziale, produce un «paradossale capovolgimento di un classico principio garantista: quello della proporzionalità della pena alla gravità del reato e al grado di colpevolezza», nell’ottica tendenzialmente special preventiva, la collaborazione processuale può essere apprezzata come sintomo – uno tra i tanti - di minore bisogno di pena, nella misura in cui possa in concreto considerarsi indice di ravvedimento soggettivo, o comunque base di una prognosi positiva sul futuro comportamento del condannato. Eppure, a ben vedere, la giustificazione di tecniche premiali «spinte» va ricercata nella prevenzione generale: in primis, nel funzionamento della giustizia penale e, mediatamente, nel raggiungimento di obiettivi di prevenzione di futuri delitti. In argomento, L.FERRAJOLI, Ravvedimento processuale e inquisizione penale, in Quest. giust.,

E ciò a maggior ragione se si considera che non esiste una presunzione assoluta in forza della quale la collaborazione processuale esprimerebbe con certezza il distacco del condannato dal circuito della criminalità organizzata e la sua disponibilità alla prospettiva di risocializzazione. Anzi, la condotta collaborativa ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche e, perciò, non significativa di un’avvenuta rieducazione. D’altro canto, non è nemmeno certo che l’assenza di una collaborazione utile e rilevante ai sensi dell’art. 58-

ter

ord. penit. sia per forza espressione di rifiuto al percorso rieducativo.

Il trattamento penitenziario dei soggetti condannati per gravi delitti collegati alle organizzazioni criminali rischia, così, di acquisire una valenza ambigua, diventando un sistema funzionale a ottenere collaborazioni con la giustizia, o, nel caso opposto, un sistema di neutralizzazione dei detenuti non collaboranti, ritenuti inidonei – appunto perché non collaboranti - all’applicazione di misure orientate al loro reinserimento nella società.

Malgrado ciò, in nome dell’asserita polifunzionalità della pena, la Corte costituzionale ha affermato la piena legittimità della scelta normativa di privilegiare finalità di prevenzione generale e di sicurezza della collettività, attribuendo determinati vantaggi ai detenuti che collaborano con la giustizia, anche se ciò può comportare l’affievolirsi della finalità rieducativa della pena473. Ciò spiega perché la Consulta non si sia spinta a pronunciare l’illegittimità di tutto il sistema di preclusioni di cui all’art. 4-

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ord. penit.474, limitandosi soltanto «ridimensionare» l’attuale formulazione della norma. Si è visto, in questo senso, la giurisprudenza costituzionale in tema di collaborazione impossibile, irrilevante o comunque oggettivamente inesigibile475.

Eppure, quegli argomenti e quelle ragioni di comprensibile perplessità rilevati dalla dottrina e, in parte, riconosciuti dalla Corte costituzionale avrebbero potuto colpire l’impianto dell’intera riforma introdotta dall’art. 4-

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ord. penit.476: l’accesso ad un trattamento penitenziario viene a dipendere dalla sussistenza di un dato, come la collaborazione processuale, che non è indicativo, in sé e per sé, di un’avviata risocializzazione, denotando piuttosto una situazione di

1982, 217. Si veda altresì, A.BERNASCONI, La collaborazione processuale, Milano, 1995, 102; ID., I sistemi di protezione per i collaboratori della giustizia nella prospettiva premiale dell’ordinamento italiano e nell’esperienza statunitense, in A.PRESUTTI, Criminalità organizzata e politiche penitenziarie, Milano, 1994, 139.

473 Corte cost., sent. 306/1993, cit., § 10 del Considerato in diritto.

474 Cfr. C.CESARI,G.GIOSTRA, Sub Art. 4-bis, in V.GREVI,G.GIOSTRA,F.DELLA CASA (a cura di), Ordinamento penitenziario. Commento articolo per articolo, Padova, 2011, 103.

475 La Corte ha chiarito che, ancorare alla collaborazione la stessa astratta possibilità di fruire di fondamentali strumenti rieducativi, ha un senso solo ove si versi in ipotesi di «collaborazione oggettivamente esigibile», giacché un comportamento che il legislatore presupponga come condizionante l’applicazione di istituti costituzionalmente rilevanti, non può che essere frutto di una libera scelta dell’interessato e, quindi, essere in sé naturalisticamente e giuridicamente «possibile». Si è così distinto la «volontà» di collaborare dalla «possibilità» di collaborare, riconoscendo la necessità di valutare il requisito della collaborazione in termini più realistici e non soltanto nell’ottica di una sua effettiva utilità per lo sviluppo delle indagini.

cessata pericolosità sociale. Un meccanismo premiale – il c.d. pentitismo – che, nella logica del legislatore penitenziario della «seconda emergenza» torna a costituire la soluzione principale per fronteggiare il crimine organizzato, diviene l’elemento chiave per accedere a un trattamento penitenziario ispirato alla rieducazione. In altre parole, un dato che costituisce unicamente il riflesso di un’istanza di tipo general preventivo - e che, nei fatti, finisce spesso per figurare come il portato di una scelta puramente utilitaristica - diviene viceversa la chiave di volta per poter beneficiare di un trattamento penitenziario rieducativo.

E così, osserva ancora la dottrina, la funzione rieducativa della pena ne esce ampiamente svalutata, dal momento che l’applicazione di misure risocializzanti – quali sono le misure alternative alla detenzione –, anziché rapportarsi all’osservazione e alla partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione, va ad agganciarsi ad un elemento estrinseco all’idea rieducativa477.

Si ritiene che sia certamente possibile attribuire un qualche significato alla collaborazione prestata. Nondimeno, un conto è far dipendere dalla collaborazione la stessa astratta possibilità di fruire di fondamentali strumenti rieducativi, altra cosa è la previsione di una diversa modalità di accesso – quale, ad esempio, uno specifico aggravamento del periodo di espiazione richiesto per l’accesso478 – in caso di rifiuto espresso e consapevole della collaborazione. In questo secondo caso, ci si imbatte in una precisa scelta di inasprimento del regime penitenziario - al quale può ben corrispondere, come fenomeno inverso di «attenuazione sterilizzatrice», la condotta collaborativa -, frutto di un non arbitrario impiego della discrezionalità legislativa e, in quanto tale, non censurabile. È evidente che, anche in questo caso, in forza del principio di ragionevolezza, la collaborazione può assumere rilievo solo se naturalisticamente e giuridicamente possibile.

Ma non è soltanto l’art. 27, terzo comma, Cost. a venire in rilievo quale parametro costituzionale che rischia di essere violato dalla disciplina esaminata.

477 Cfr. P.P.EMANUELE, La funzione rieducativa della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit., 89.

478 Nell’attuale XVII Legislatura sono stati presentati in Parlamento tre disegni di legge modificativi del regime speciale dell’art. 4-bis ord. penit. Cfr. A.S. n. 299, Compagna, 26 marzo 2013 («Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di divieto di concessione di benefici penitenziari e di regime penitenziario»); A.S. n. 389, Barani, 4 aprile 2013 («Modifiche agli articoli 4-bis, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 41-bis della legge 26 luglio 1975, 354, in materia di divieto di concessione di benefici penitenziari, di regime di sorveglianza particolare e di soppressione del regime restrittivo con sospensione delle regole ordinarie di trattamento penitenziario per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica»); A.C. n. 3091, Bruno Bossio e altri, 4 maggio 2015 («Modifiche agli articoli 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e 2 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, in materia di revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia»). In questo senso va anche la recentissima legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando), come si vedrà tra le riflessioni conclusive nel prossimo capitolo.

Ulteriore profilo di contrasto della normativa

de qua

concerne, difatti, l’art. 24, secondo comma, Cost. Il diritto di libera scelta di una linea difensiva, infatti, potrebbe risultare compresso dai calcoli sugli effetti che il comportamento processuale dell’imputato è suscettibile di produrre in sede esecutiva479. Costretto nell’alternativa se rendere o meno confessione, l’imputato per uno dei reati di cui all’art. 4-

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ord. penit. subirebbe una riduzione del diritto alla difesa che, declinandosi innanzitutto nel diritto a non fornire elementi a proprio danno, include anche il rifiuto di rispondere o il ricorso alla menzogna480.

Eppure, sinora, la Consulta ha affermato la compatibilità della normativa con il dettato costituzionale sul rilievo che il diritto di difesa sarebbe esercitabile solo entro il perimetro tracciato dalla legge, «sicché se essa vi appone limiti o condizioni è giocoforza che sia solo in quest'àmbito che le ragioni difensive abbiano modo di esplicarsi»481.

Per quanto detto, l’odierno sistema delineato dall’art. 4-

bis

ord. penit. lascia aperte delicatissime questioni e stride in più punti con il dettato costituzionale. Così per l’offuscarsi della tensione rieducativa della pena, per il profilo del pieno esercizio del diritto di difesa, per il problema della c.d. prova negativa dell’insussistenza di collegamenti, per i complessi rapporti tra i differenti «binari trattamentali», per l’implicita sfiducia del legislatore nel ruolo della magistratura di sorveglianza, per la correlata introduzione nel sistema di prove legali legate alla prestata, o mancata, collaborazione.

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