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Condotta, evento e nesso di causalità secondo la teoria generale del reato In relazione all’elemento della “condotta” o “azione” in senso lato, si può osservare che essa

4.I presupposti soggettivi del divieto: l’ eadem personam

5.2 Condotta, evento e nesso di causalità secondo la teoria generale del reato In relazione all’elemento della “condotta” o “azione” in senso lato, si può osservare che essa

indica, dal punto di vista generale, ogni comportamento dell’uomo che abbia il suo principio nel soggetto. Secondo questa nozione, è facile comprendere come anche gli atti che si volgono nell’ambito della coscienza, siano essi pensieri, desideri propositi o violazioni, costituirebbero, appunto, “condotta”. Ma al diritto penale tali atti non interessano: il reato è sempre un avvenimento che si realizza nel mondo esteriore e dal momento che l’atto meramente interno o psichico non si traduce in un comportamento esterno, esso non è mai punibile. “Condotta”, quindi, per il diritto penale non è un qualsiasi comportamento ma solo quello che si manifesta esteriormente; la “condotta”, poi, può assumere due forme, una positiva e l’altra negativa, ossia può consistere in un fare o in un non fare, quindi può essere una condotta attiva oppure una condotta omissiva. La condotta attiva, o più semplicemente “azione”, consiste in un movimento del corpo del soggetto percepibile dall’esterno; chiaramente, occorre osservare che l’azione, molte volte, si presenta nella forma di un procedimento complesso, ossia come una serie o molteplicità di movimenti del corpo che

sono denominati “atti”. Ne consegue che l’insieme degli atti costituisce l’azione134

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Per quanto riguarda, invece, l’omissione, è opportuno ricordare almeno due teorie che sono state ipotizzate sulla questione. La prima è la cd. teoria dell’aliud agere, secondo la quale il momento centrale dell’omissione sta in un’azione positiva che il soggetto compie nel momento in cui si astiene dal compiere quell’azione che da lui ci si attendeva. L’omissione,

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Cass. Sez. I, 13-10-1992, Malorgio, in CED, Cass., n. 195092; Cass. Sez. V, 03-12-1992, Bellicoso, Cass., n. 194324; Cass. Sez. I, 10-06-1986, Porgi; nello stesso senso, in dottrina, vedi G. Guarnieri, Regiudicanda,

dir.proc.pen., in Noviss. Dig. It., vol. XV, Torino, 1968, p. 230.

134 Tuttavia, affinchè si abbia unità di azione sono necessarie due condizioni. Innanzitutto, occorre che essi siano

guidati da un unico scopo: per fare un esempio, pensiamo a colui che colpisce più volte una persona con un pugnale al fine di ucciderla. In questo caso l’agente non compie tante azioni quante sono le ferite inferte, ma, bensì, compie un’unica azione. Questo, tuttavia, non è sufficiente: occorre, infatti, che esse si svolgano in un unico contesto. Pensiamo a colui che, in diverse occasioni, diffonde notizie calunniose per screditare una persona: in questo caso, perché si abbia unità di azione, è necessario, oltre all’unicità dello scopo, anche la contestualità perche se tra gli uni e gli altri atti dovesse trascorre un determinato lasso di tempo non si avrebbe più unità di azione, ma, al contrario, si verificherebbe una molteplicità di azioni.

90 pertanto, secondo questa teoria, non consiste in un quid vacui, in un nulla, e ciò proprio perché l’omittente non rimane inerte, ma fa altro rispetto a quello che avrebbe dovuto fare, quindi egli non compie l’azione che da lui ci si aspettava, ma, bensì, ne compie una diversa. L’altra teoria, al contrario, afferma che la vera essenza dell’omissione sta proprio nel non avere agito in un determinato modo, nel non aver compiuto una determinata azione, l’omissione, in altri termini, non è altro che il mancato compimento dell’azione che ci si attendeva da un determinato soggetto.

Per quanto concerne l’“evento”, anche per esso risulta doveroso menzionare almeno due teorie interpretative. La prima è quella che comunemente viene definita come “concezione naturalistica”, secondo la quale “evento” è sinonimo di “effetto”, “risultato”. L’“evento” richiama uno stato di fatto, una situazione in rapporto al principio di causalità; “evento” non è, perciò, propriamente ogni fatto, ma solo quell’avvenimento che si presenta congiunto ad un altro fatto mediante un nesso causale e, dal momento che nell’ambito del diritto penale viene in considerazione la condotta dell’uomo, per “evento” si intende il risultato della condotta medesima. L’“evento” è, quindi, l’effetto della condotta che il diritto penale prende in considerazione, in quanto connette al suo verificarsi conseguenze di natura penale; tale effetto può essere fisico (la distruzione di un oggetto), fisiologico (la morte di un soggetto) o psicologico (la percezione di un espressione calunniosa o diffamatoria). Si tratta, comunque, di un effetto naturale della condotta umana, effetto che, per tale qualità, si distingue nettamente dalla condotta medesima, cioè dal movimento corporeo.

L’altra concezione è quella che è stata definita “concezione giuridica”, secondo la quale l’evento consiste nell’offesa (lesione o esposizione al pericolo) dell’interesse giuridico protetto.

La differenza tra le due concezioni è netta perché ‹‹ l’evento, inteso come modificazione del mondo esteriore rilevante per il diritto penale, è un’entità che si aggiunge alla condotta dell’uomo: è un’entità naturale, distinta e diversa dal comportamento del soggetto, mentre l’offesa del bene protetto è lo stesso fatto umano dal punto di vista della tutela giuridica. E anche le conseguenze delle due concezioni sono diverse, perché mentre per quella naturalistica l’evento può mancare del reato, la concezione giuridica, al contrario, lo considera

come dato essenziale››135

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91 L’ultimo elemento da esaminare è il nesso di causalità. Affinchè una modificazione del mondo esteriore (evento) possa essere attribuita all’uomo, è necessario che si sia verificata in conseguenza di una sua azione: occorre, in altri termini, che tra l’una e l’altra sussista un nesso di causalità, quindi l’evento verificatosi deve presentarsi come ‹‹ conseguenza dell’azione o dell’omissione›› compiuta dal soggetto ( art. 40 comma 1 c.p ).

In relazione al rapporto di causalità, sono state formulate diverse teorie, tra le quali le due principali sono quella della condicio sine qua non e la teoria cd della causalità adeguata. Secondo la prima teoria, affinchè si abbia rapporto di causalità è sufficiente che il soggetto abbia realizzato una condizione qualsiasi dell’evento: basta, in altri termini, che il soggetto abbia posto in essere un antecedente indispensabile per il verificarsi del risultato. Questa teoria può essere riassunta nella formula “la condotta è causa dell’evento se, senza di essa, l’evento non si sarebbe verificato”, oppure, in senso negativo, “la condotta non è causa dell’evento se, senza di essa, l’evento si sarebbe verificato ugualmente”.

Secondo la teoria della causalità adeguata, invece, ai fini dell’esistenza, giuridicamente rilevante, del rapporto di causalità, occorre che il soggetto abbia determinato l’evento con un’azione proporzionata, adeguata. Quanto appena detto pone, tuttavia, un problema: si tratta di capire quando un’azione possa considerarsi adeguata. E’ adeguata l’azione che risulta idonea a determinare l’effetto, cioè l’azione che si presenta idonea a determinarlo sulla base dell’id quo plerumque accidit. Chiaramente, l’idoneità dovrà stabilirsi in astratto ex ante, alla stregua dell’esperienza di casi simili (tale idoneità altro non è che la probabilità); la conseguenza di questa teoria è che non si considerano causati dall’uomo gli effetti che, al momento dell’azione, si presentavano improbabili, vale a dire gli effetti staraordinari o atipici dell’azione medesima.

In relazione a questo punto, Antolisei136 ha fatto una precisazione: egli sostiene che ‹‹ per

giungere ad una causalità che risponda alle esigenze del diritto, bisogna, innanzitutto, partire dalla considerazione che la causalità a cui partecipa l’uomo, cioè la causalità umana, presenta delle caratteristiche speciali ››. ‹‹ Esiste -aggiunge l’Autore- un campo più o meno largo in cui l’uomo può dominare gli effetti con i suoi poteri conoscitivi e volitivi e solo i risultati che rientrano in questa sfera possono considerarsi come causati dall’uomo, perché, se anche egli non li ha voluti, era in grado di impedirli. Essendo dominabili dall’uomo, tali risultati vanno,

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92 pertanto, imputati a lui. Per contro, gli altri effetti, che si svolgono al di fuori del raggio di azione dell’uomo, non possono essere a lui ascritti ››.

Da quanto appena detto, emerge che, ai fini dell’esistenza del rapporto di causalità, sono necessari due elementi, uno positivo e l’altro negativo: quello positivo consiste nel fatto che l’uomo con la sua azione deve aver posto in essere una condizione dell’evento, cioè un antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe verificato, mentre quello negativo consiste, invece, nel fatto che il risultato non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali.