Nella dimensione originaria delineata dal codice penale (art.12 c.p.), l’istituto del riconoscimento delle sentenze penali straniere non manifesta finalità cooperative. La pronuncia resa da un giudice straniero può essere riconosciuta a limitati fini esecutivi o sanzionatori per evitare, da un lato, che sia valicato il limite del ne bis in idem sostanziale e, dall’altro, per evitare che il soggetto già condannato all’estero possa usufruire sul territorio
dello Stato del trattamento giuridico dell’incensurato248. La corretta applicazione della legge
penale italiana, in altri termini, è condizione essenziale per l’attivazione del meccanismo dell’art.12 c.p., all’interno del quale la sentenza straniera costituisce ‹‹ premessa storica per statuire giudizialmente determinate situazioni giuridiche in modo del tutto indipendente da
quelle che essa abbia già prodotto nel proprio ordinamento››249
.
Nell’intento del legislatore del 1930, il giudicato estero non produceva una specifica efficacia esecutiva in Italia; tuttavia, il crescente e graduale sviluppo della cooperazione internazionale in campo penale ha mostrato negli ultimi decenni i limiti di un sistema chiuso. Appare di imprescindibile valore simbolico, pur non essendo mai entrata in vigore per il mancato deposito degli strumenti di ratifica, la Convenzione europea sulla validità dei giudizi repressivi adottata a l’Aja nel 1970, primo vero strumento pattizio nell’evoluzione dell’idea di un mutuo riconoscimento, per la quale l’obbligo di eseguire le sentenze penali straniere si sarebbe dovuto estendere a tutte le pronunce che applichino pene o misure di sicurezza limitative della libertà personale, pene pecuniarie o sanzioni interdittive, fatte salve le
eccezioni previste espressamente all’art.6 dell’accordo250
.
La mancata entrata in vigore dell’accordo in questione ha fatto emergere un dato essenziale: la creazione di uno spazio giudiziario europeo comune, all’interno del quale venga operato il
248 Per un inquadramento dell’istituto, nella letteratura, D. Manzone, sub art.12, in Codice penale, a cura di T.
Padovani, 2011, p.90 ss.
249
G. Salvini, Riconoscimento delle sentenze straniere, in Enc.giur.Treccani, Roma, 1992; in senso parzialmente difforme, S. Vinciguerra, Diritto penale italiano: concetto, fonti, validità,interpretazione, Milano, 1999, p.442, secondo cui ‹‹ nell’eterogenesi dei fini a cui si prestano molti istituti giuridici››, le eccezioni quali previste dall’art.12 c.p.‹‹ possono essere considerate anche espressione della solidarietà internazionale nella lotta contro il crimine e ritenute altrettante forma di assistenza giudiziaria offerta allo Stato straniero mediante il rafforzamento delle sanzioni penali da esso già irrogate››.
250 Si fa riferimento alla Convenzione europea sulla validità dei giudizi repressivi adottata a l’Aja il 28 maggio
150 mutuo riconoscimento delle sentenza rese in altro Stato membro, ha richiesto uno sforzo culturale e giuridico maturato nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso. Il fallimento del tentativo convenzionale, determinato da precise scelte di politica giudiziaria contrarie all’abdicazione alla sovranità, è stato seguito, sul finire degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, dalla ratifica dell’Accordo di Schengen prima e dalla ratifica del codice di rito poi. In questa direzione, un impulso fondamentale verso l’affermazione della cooperazione giudiziaria internazionale è provenuto dalle disposizioni del titolo IV, libro XI, c.p.p., titolo interamente dedicato al riconoscimento delle sentenze penali straniere: questa disciplina si caratterizza per un ampliamento sensibile delle ipotesi di riconoscimento, rispetto alle anguste deroghe poste dall’art.12 c.p. Sono, infatti, contemplati nel codice dell’88 quattro distinte ipotesi di riconoscimento: il riconoscimento agli effetti del codice penale (art.730 c.p.p), il riconoscimento del titolo straniero agli effetti civili (art.732 c.p.p), il mero riconoscimento delle disposizioni civili della pronuncia estera (art.741 c.p.p) ed, infine, il riconoscimento a norma di accordi internazionali (art.731 c.p.p). L’ultima ipotesi citata costituisce una rilevante novità da ricondurre nell’ambito del ‹‹ progressivo affermarsi di forme di cooperazione internazionale alternative rispetto ai tradizionali strumenti dell’estradizione e della rogatoria
internazionale››251
. Le novità introdotte dalla disciplina dell’88 sono il segno dell’intervenuta presa di coscienza dell’insufficienza e dell’inadeguatezza della legislazione interna a disciplinare compiutamente le nuove forma della cooperazione internazionale.
Alcuni hanno dubitato della finalità cooperativa della disciplina di nuovo conio, riconducendo la ratio delle nuove ipotesi di mutuo riconoscimento all’esigenza di rafforzare il potere repressivo dello Stato ‹‹ in relazione a fatti che esulano, o sono estranei, alla sua sfera di
giurisdizione››252. Il riconoscimento, operato dall’art.731 c.p.p, della finalità del
riconoscimento in ossequio agli accordi internazionali consente, al contrario, una lettura di segno diverso: il riconoscimento si eleva a strumento di collaborazione internazionale in tutte
251
D. Vigoni, Sub art. 730, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A.Giarda- G.Spangher, Milano, 2010, p.8335.
252 G. Dalia, L’esecuzione delle sentenze penali straniere, cit, p.742, il quale prosegue, sulla falsariga di risalente
dottrina, affermando che il riconoscimento codicistico debba essere visto più come ‹‹ mera esecuzione della pena o, almeno, di alcuni effetti ad essa legati››.
151 le evenienze in cui esso miri al recupero del portato precettivo della pronuncia estera a scopo
di esecuzione o ad altri effetti a essa connessi253.
Il passaggio dal riconoscimento alla fondazione di uno spazio giudiziario comune che impedisce il bis in idem è agevole: la valorizzazione del momento imperativo del decisum rende superfluo un secondo giudizio nei confronti della stessa persona e per il medesimo fatto, in chiave di tutela del ne bis in idem stesso. Il muto riconoscimento delle decisioni penali diviene, in altre parole, uno strumento di conversione piena del valore impositivo e conoscitivo della decisione assunta in conformità ad altro sistema giuridico: lo Stato che riconosce una sentenza penale straniera si impegna a considerare la sentenza oggetto dell’exequatural pari di una decisione emanata dalla proprie autorità giurisdizionali, al punto tale che, come è stato osservato, ‹‹ il principio del mutuo riconoscimento impone che a una
decisione penale sia attribuita efficacia di res iudicata›› negli altri Stati cooperanti254.
In ambito europeo, alla finalità cooperativa appena descritta si uniforma l’esigenza consacrata in uno degli ultimi atti di rilievo elaborati in seno al terzo pilastro ante Lisbona: ci si riferisce alla Decisione Quadro 2008/909/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del libero riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini dell’esecuzione delle stesse negli
Stati membri dell’Unione255. Scopo della Decisione Quadro, secondo l’art.3, è quello di
individuare le norme secondo le quali uno Stato membro, ‹‹ al fine di favorire il reinserimento della persona condannata, debba riconoscere una sentenza ed eseguire la pena››, facendo salvo l’obbligo, tuttavia, di rispettare i diritti fondamentali della persona e i principi sanciti dal Trattato UE. Significativa appare, al riguardo, la previsione contenuta nell’art.9 lett.c), la quale precisa alcuni motivi di rifiuto al riconoscimento della sentenza straniera e all’esecuzione della pronuncia: in questa previsione si stabilisce, infatti, che l’autorità competente dello Stato d’esecuzione può decidere di rifiutare l’exequatur e la conseguente
253
In dottrina, G. Di Chiara, Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Enc.dir.Agg., Milano, 1998, p.894-895; L. Fulci, Sentenza penale straniera, in Enc.dir., Milano,1989, p.1335.
254
A. Pasquero, Mutuo riconoscimento delle decisioni penali: prove di federalismo. Modello europeo e
statunitense a confronto, Milano, 2007, p.78. 255
L’attuazione della Decisione Quadro è stata delegata al Governo con la legge comunitaria per l’anno 2008 (art.52, l.7 luglio 2009, n.88); in materia, L. De Matteis, Sub art.12, in La legge penale e le pene, a cura di E. Calvanese e altri (in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. Lattanzi- E. Lupo), Milano, 2010, p.514.
152 esecuzione della pronuncia laddove l’esecuzione della pena risulti essere in contrasto con il principio del ne bis in idem. L’affermazione di questo principio sembra essere avversata da quanto sancito alla lettera l) della medesima norma, in cui si identifica un’ulteriore causa di rifiuto al riconoscimento della pronuncia per tutti i casi in cui ‹‹ la sentenza si riferisca a reati che, in base alla legislazione dello Stato d’esecuzione, sono considerati commessi per intero o in parte importante o essenziale all’interno del suo territorio o in un luogo equiparato al suo territorio››; in altre parole, con il richiamo alla nozione di “territorio” dell’offesa si vuole rivendicare il diritto sovrano al rinnovamento del giudizio, in piena sintonia con le tradizioni cosi cistiche continentali..
Il legislatore italiano ha recepito le previsioni contenute nella Decisione Quadro 909/2008/GAI con il dlgs. 7 settembre 2010 n.161, riproducendo il contenuto delle norme sovranazionali in punto di condizioni per il riconoscimento e per l’esecuzione (art.10 ss.), misure restrittive della libertà personale8art.14 ss.) e di principio di specialità (art.18). Nell’art.13 dlgs. n.161 del 2010, alla lettera c), si prevede che la competente corte d’appello, chiamata a decidere in ordine al riconoscimento, rifiuta l’exequatur ‹‹ se risulta che la persona condannata è stata giudicata in via definitiva per gli stessi fatti da uno degli Stati membri dell’Unione europea purchè, in caso di condanna, la pena sia già stata eseguita ovvero sia in corso d’esecuzione ovvero non possa più eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna››. Non manca, infine, tra i motivi di rifiuto al mutuo riconoscimento contemplati dal dlgs. 161/2010, la clausola di salvaguardia della territorialità: secondo l’art.13 del decreto in questione, infatti, il riconoscimento e la successiva esecuzione sono rifiutati allorquando la sentenza di condanna si riferisca a reati che, in base alla legge italiana, ‹‹ sono considerati commessi per intero o in parte all’interno del territorio dello Stato o in altro luogo a questo equiparato››.
In conclusione, il ne bis in idem internazionale, costruito sull’esperienza di Schengen, è giungo ad un’affermazione graduale e sistematica sancita dall’art.50 della Carta dei diritti di Nizza, disposizione che costituisce occasione di fondamentale rilievo per la futura costruzione di uno statuto dei diritti dell’accusato affermando fermamente un principio di civiltà generalmente riconosciuto e tutelato negli ordinamenti interni: il diritto a non essere ripetutamente giudicati per il medesimo fatto si innalza, dunque, definitivamente a principio generale del diritto comunitario, in direzione della graduale elevazione del divieto di un secondo giudizio a norma di diritto internazionale generale, approdo ultimo del cammino evolutivo della formula latina bis de eadem re ne sit actio.
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