• Non ci sono risultati.

4.I presupposti soggettivi del divieto: l’ eadem personam

5.3 Medesimo fatto

Dopo una breve premessa volta a comprendere quale significato attribuire alla nozione di “fatto” utilizzata dal legislatore nella disposizione dell’art. 649 c.p.p, possiamo tornare al nostro oggetto di indagine, ovvero il “medesimo fatto”.

Anche per quest’ultimo, risultano ancora valide le interpretazioni già formatesi sotto la vigenza del vecchio codice di procedura penale in relazione all’art. 90 c.p.p. In particolare,

possiamo notare come già nella Relazione al progetto preliminare del c.p.p del 1988137,

veniva confermata la soluzione della inesperibilità dell’azione penale anche per quei casi in cui il ‹‹ fatto oggetto della sentenza divenuta irrevocabile non fosse stato più il medesimo per essere sopravvenuto un evento prima non verificatosi, che lo avesse reso più grave ( ad esempio, il passaggio da un tentativo di omicidio alla consumazione o da un delitto di pericolo ad un delitto di danno) ››. Concludeva su questo punto il Relatore: ‹‹ Ho creduto opportuno conservare il divieto di un nuovo procedimento anche se il fatto-base oggetto del giudizio possa essere diversamente definito per il titolo, grado e circostanze, a cagione di elementi già esistenti, ma ignorati nel momento del giudizio stesso o sopravvenuti dopo che la sentenza divenne irrevocabile ››.

E’, pertanto, evidente, che quell’operazione di confronto che il giudice deve fare tra il fatto in precedenza già giudicato e quello oggetto del nuovo procedimento che si intende instaurare, non avviene secondo i criteri della logica, ma sulla base di criteri del tutto convenzionali predisposti dall’ordinamento. Come è stato meglio osservato, ‹‹ ai sensi dell’art. 90 c.p.p (oggi art. 649 c.p.p), l’elemento identificatore dell’oggetto del processo non è la fattispecie

137

93 sostanziale che è stata accertata con la sentenza divenuta irrevocabile, ma il fatto storico, per mezzo del quale è possibile ricostruire la fattispecie e, conseguentemente, determinare l’oggetto del processo. Il ne bis in idem tende, appunto, ad evitare che si torni nuovamente a decidere non tanto sullo stesso fatto, ma sullo stesso oggetto del processo che si è chiuso con

sentenza definitiva ed irrevocabile ››138. Inoltre, si aggiunge che ‹‹ il legislatore avrebbe

potuto scegliere, come elemento identificatore, la fattispecie sostanziale stessa, nella totalità degli elementi che concorrono ad integrarla, così come risulta dalla sentenza che l’ha accertata. In tal caso, l’identificazione sarebbe stata estremamente facile: sarebbe stata, cioè,

sufficiente l’individuazione del nomen iuris che contrassegna ogni singolo reato››139

.

Ma, in realtà, risulta chiaramente dalla formulazione dell’art. 649 c.p.p che il legislatore considera del tutto irrilevante, ai fini dell’applicazione dell’istituto del ne bis in idem, il mutamento del titolo del reato: ciò conduce ad escludere l’utilizzo del criterio del nomen iuris come elemento identificatore.

Escluso questo criterio, ‹‹ non restava al legislatore altra scelta che far coincidere l’elemento identificatore della fattispecie sostanziale con il fatto che della fattispecie stessa è elemnto costitutivo e parte integrante››; si osservava che ‹‹ se il fatto si fa consistere in una determinata situazione reale, considerata nella sua essenza fenomenica, del tutto avulsa dalla sua qualificazione giuridica, bisogna ammettere che in nessun caso sarebbe possibile effettuare quella operazione di confronto in cui consiste l’identificazione e ciò per la semplice ragione che il dato storico così concepito, nella varietà e nella complessità della sua trama e nel confuso mescolamento degli elementi e delle modalità attraverso cui si manifesta, è

irriproducibile››140

.

Dobbiamo, a questo punto, domandarci quali siano gli elementi della fattispecie giudiziale che devono rimanere immutati affinchè possano considerarsi identiche le due fattispecie giudiziali e quali, invece, gli elementi la cui variazione non elimina il rapporto di identità. E’ stato osservato che ‹‹ il passaggio da una fattispecie giudiziale ad un’altra comporta sempre

138

G. De Luca, Giudicato II (dir.proc.pen.), in Enc.giur., XV, Roma, Treccani, 1990.

139

G. De Luca, Giudicato II (dir.proc.pen.), in Enc.giur., XV, Roma, Treccani, 1990.

140

94 diversità in ordine agli elementi della fattispecie stessa, non dovendosi confondere la fattispecie legale con il nomen iuris che serve semplicemente a contrassegnarla. Se, infatti, per un mero errore di denominazione, è stata definita appropriazione indebita il comportamento di colui che, inducendo taluno in errore, procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, il mutamento del nomen iuris non implica la diversità della fattispecie giudiziale; ove, invece, si ritenga riferibile ad un comportamento concreto prima lo schema legale dell’appropriazione indebita e poi lo schema legale della truffa, ciò implica la variazione degli elementi costitutivi della fattispecie dal momento che, ad esmpio, l’attività in cui si è realizzato l’artifizio o il raggiro e ricompresa nella fattispecie giudiziale della truffa,

non è considerata nella fattispecie giudiziale della appropriazione indebita››141.

Ma, nonostante il cambiamento della fattispecie giudiziale determini un mutamento dei suoi elementi costitutivi e, quindi, del fatto giuridico che ne sta alla base, non sempre, tuttavia, rileva tale mutamento ex art. 649 c.p.p, per il quale, appunto, l’identità della fattispecie giudiziale sussiste se la diversità ravvisabile tra di esse concerna il titolo, il grado o le circostanze. Resta ferma, invece, la posizione della giurisprudenza sulla questione, secondo la quale la locuzione “medesimo fatto” va intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, come identità storico-naturalistica del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi identificati nella condotta, nell’evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle

stesse condizioni di tempo, luogo e di persona142.

Interpretazione, quella appena delineata, che, come già osservato, contrasta palesemente con il tenore letterale dell’art.649 c.p.p, il quale consente di valutare il fatto considerandolo essenzialmente per la condotta, dal momento che l’identità sussiste anche nell’ipotesi in cui il fatto venga ‹‹ considerato diversamente…per il grado››.