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5.La sentenza della Corte Europea Grande Stevens contro Italia

Il 4 marzo 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha pronunciato la

sentenza nella causa “Grande Stevens contro Italia”265

in tema di ne bis in idem e diritto ad un equo processo.

Analizziamo i fatti storici all’origine della sentenza: il caso Grande Stevens266 si apre nel

febbraio del 2006 con la contestazione da parte della Consob, più precisamente dell’ufficio

Insider Trading (IT), dell’art.187-ter267

del dlgs. 58/1998 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, t.u.f.), così come modificato dalla legge 62/2005, il quale disciplina l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato, nei confronti del legale e degli organi di vertice di società controllanti di Fiat s.p.a (i successivi ricorrenti alla Corte EDU). All’esito del procedimento amministrativo, i soggetti vengono condannati ad ingenti sanzioni pecuniarie e interdittive per le persone fisiche, consistenti nel divieto di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo di società quotate in borsa, per il fatto di aver concorso, a vario titolo, alla commissione dell’illecito amministrativo di cui al

264 E. Calvanese, La decisione Quadro del Consiglio dell’UE in tema di prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione, in Cass.pen., 2010, p.2593.

265

Corte EDU, Grande Stevens e altri contro Italia, 4 marzo 2014, divenuta definitiva in seguito al rigetto della richiesta del Governo italiano di rinvio del caso alla Grande Chambre, 7 luglio 2014.

266

Per un approfondimento della questione, Relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione sulla

ricadute della sentenza della Corte EDU Grande Stevens c. Italia in tema di ne bis in idem, 8 maggio 2014,

redatta dal cons. M. Brancaccio.

267

Il primo comma prevede che:‹‹ Fatte salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro cinque milioni chiunque tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscono o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari››.

157 citato art.187-ter dlgs.58/1998, con la diffusione nel mercato finanziario di un comunicato stampa falso, datato 23 agosto 2005, con il quale le società coinvolte affermavano di non aver ancora assunto alcuna iniziativa in merito ad un contratto di finanziamento, di imminente scadenza, con otto banche inglesi, nel quale era previsto che, in mancanza di rimborso del prestito, le banche in questione avrebbero proceduto alla compensazione del loro credito sottoscrivendo un aumento di capitale della società FIAT s.p.a, modificando in questo modo il precedente assetto azionario della società.

Nel procedimento amministrativo, definito con sentenza passata in giudicato268, si è, dunque,

riscontrata la violazione dell’art.187-ter dlgs.58/1998, sono state inflitte sanzione amministrative pecuniarie ed accessorie, anche di tipo interdittivo; successivamente, tali sanzioni sono state confermate il 23 gennaio 2008 dalla Corte di Appello di Torino, che ne ha però ridotto la misura, mentre il 23 giugno 2009 la Corte di Cassazione, con la sentenza precedentemente richiamata, ha rigettato i ricorsi proposti, determinando il conseguente formarsi del giudicato sulla vicenda.

Successivamente, i soggetti vengono, dapprima, sottoposti ad indagini e poi rinviati a giudizio

per il reato di manipolazione del mercato ex art.185 t.u.f.269, sul presupposto che la diffusione

dello stesso comunicato stampa, ritenuto falso dall’Autorità garante, avesse determinato il pericolo di una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari. Il procedimento penale proseguiva nonostante fosse intervenuto il giudicato sull’illecito amministrativo, fino a

che la Cassazione ha dichiarato, ex art.129 c.p.p, la prescrizione del reato270.

Durante la pendenza del processo di primo grado, gli imputati presentano ricorso alla Corte di Strasburgo, precisamente il 27 marzo 2010, lamentando la violazione dell’art.6 CEDU, in materia di diritto ad un equo processo, durante il procedimento amministrativo di fronte alla Consob e nel successivo giudizio di opposizione e la violazione del diritto a non essere giudicati più volte in relazione allo stesso fatto di reato, secondo quanto previsto dall’art4

268

Cass. Sez. Un. Civili, n.20935, 30-09-2009, Rv.610516.

269

La disposizione, anch’essa in materia di manipolazione del mercato, punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni chiunque diffonda notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari.

270

158 Prot.7 CEDU, in relazione al rifiuto del Tribunale di Torino di pronunciare immediatamente sentenza di non doversi procedere una volta divenuta irrevocabile la sentenza amministrativa. Una volta percorsa la vicenda, passiamo ad analizzare la decisione della Corte EDU.

Ad avviso dei giudici della Corte, il sistema legislativo italiano in materia di abusi di mercato potrebbe porre seri dubbi di coerenza rispetto a due fondamentali principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ovvero, appunto, il diritto ad un equo processo

(art.6 CEDU271), sotto il profilo del difetto di pubblicità del procedimento di opposizione

all’irrogazione delle sanzioni amministrative da parte della Consob svoltosi davanti alla Corte di appello di Torino, e il diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto

(art.4 del Protocollo n.7 CEDU272), in relazione al rifiuto da parte del Tribunale di Torino di

porre fine al procedimento penale contro i ricorrenti, una volta consolidatosi il giudicato nel procedimento amministrativo.

Nel caso deciso dalla Corte EDU si è affermato che, dopo le sanzioni comminate dalla Consob, l’avvio di un processo penale sugli stessi fatti viola il fondamentale principio del ne bis in idem, secondo cui non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto; nella fattispecie oggetto della pronuncia, i ricorrenti, dopo essere stati sanzionati per illecito amministrativo nel 2007, erano stati rinviati a giudizio nel procedimento penale per gli stessi fatti e, successivamente, assolti in primo grado e condannati in appello. I giudici di Strasburgo giungono a tale affermazione premettendo l’analisi sulla natura delle sanzioni, solo nominalmente amministrative, per prime inflitte ai ricorrenti ed argomentano in merito che, nonostante la dichiarata qualificazione amministrativa del procedimento innanzi alla Consob, esse sono da considerarsi, a tutti gli effetti, come sanzioni penali, principalmente in ragione della severità delle stesse, derivante sia dalla loro quantificazione per l’importo in concreto

271

L’art.6 CEDU, nelle sue parti pertinenti, riportate nella sentenza Grande Stevens, è così formulato:‹‹ Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente, da un tribunale indipendente ed imparziale, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza do ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.››.

272

Secondo tale disposizione ‹‹ Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’art.15 della Convenzione››.

159 inflitto e in astratto comminabile, sia dalle sanzioni accessorie collegate, sia, infine, in ragione delle loro ripercussioni complessive sugli interessi del condannato.

La Corte, inoltre, osserva che, a rafforzare la convinzione sulla natura penale di tali sanzioni, contribuisce lo scopo chiaramente repressivo e preventivo rintracciabile nella ratio della disciplina, che si salda con quello riparatorio dei pregiudizi di natura finanziaria cagionati dalla condotta, non mancando di far notare che le sanzioni risultano inflitte dalla Consob in funzione della gravità della condotta ascritta e non del danno cagionato agli investitori.

Una volta riconosciuta la natura penale delle sanzioni inflitte dalla Consob, che comporta l’affermazione da parte dei giudici europei della necessità che il procedimento da seguire per la loro inflizione debba osservare le garanzie che l’art.6 CEDU riserva ai processi penali, consegue necessariamente la valutazione della Corte circa la riferibilità di esse ai medesimi fatti oggetto del successivo procedimento penale e, una volta risolta positivamente la questione, il riconoscimento della violazione del principio di cui all’art.4 Protocollo n.7. La Corte, inoltre, dopo aver accertato le violazioni delle due disposizioni, ha dichiarato che lo Stato convenuto debba fare in modo che i procedimenti penali avviati nei confronti dei ricorrenti vengano chiusi nel più breve tempo possibile, provvedendo, altresì, alla liquidazione di una somma di denaro a titolo di risarcimento dei danni morali e delle spese sostenute dai ricorrenti stessi.

Consideriamo le due diverse violazioni rilevate dalla Corte di Strasburgo.

I giudici europei ritenendo che la procedura davanti alla Consob, pur avendo ad oggetto un illecito formalmente di tipo amministrativo, si sostanziasse, in realtà, in un’accusa di natura penale, ha affermato che avrebbero dovute essere osservate le garanzie che l’art.6 della Convenzione riserva ai processi penali stessi. Svolte tali premesse, la motivazione della Corte si sofferma sui vizi del procedimento amministrativo dinanzi alla Consob, soprattutto con riferimento alla parità delle armi tra accusa e difesa ed al mancato svolgimento di un’udienza pubblica che permettesse un confronto orale. Si enucleano specificatamente, quindi, le ragioni di dissonanza tra la procedura amministrativa posta in essere sulla base dell’art.187-ter dlgs.58/1998 ed i principi sanciti dall’art.6 CEDU:

a)l’assenza di contraddittorio, in quanto le sanzioni sono state inflitte sulla base di un rapporto non comunicato ai ricorrenti che non hanno avuto, quindi, la possibilità di difendersi rispetto al documento sottoposto dagli organi investigativi della Consob all’organo incaricato di decidere sulla fondatezza delle accuse; inoltre, gli interessati non hanno avuto la possibilità di

160 interrogare o di far interrogare le persone eventualmente sentite dall’ufficio investigativo della Consob.

b)l’assenza di un’udienza pubblica273, in ragione della natura solo cartolare procedimento e del fatto che dinanzi alla Corte di appello di Torino le udienze sono state tenute secondo le modalità della camera di consiglio, non assimilabile alla pubblica udienza, nonché del fatto che l’udienza pubblica svoltasi dinanzi alla Corte di Cassazione non è da considerarsi sufficiente a sanare il vizio rilevato stante l’incompetenza del giudice di legittimità ad esaminare il merito della causa, accertare i fatti e valutare gli elementi di prova. La Suprema Corte italiana, secondo i giudici di Strasburgo, non può, dunque, essere considerata come un organo dotato di piena giurisdizione ai sensi della giurisdizione europea.

c)l’affidamento dei poteri di indagine e di giudizio ad organi che, sebbene diversi e riferiti ad un organismo che nel suo complesso deve ritenersi autonomo ed indipendente da altri poteri, dipendono comunque dallo stesso soggetto, ovvero il Presidente della Consob. Difatti, si dice, si realizza il consecutivo esercizio di funzioni di indagine e di giudizio in seno ad una stessa istruzione, circostanza che, in materia penale, non è compatibile con le esigenze di

imparzialità richiesta dall’art.6 CEDU274

.

Il secondo motivo di ricorso accolto dalla Corte EDU ha riguardato la coerenza e la compatibilità con il principio del ne bis in idem, sancito dall’art.4 Protocollo n.7 della CEDU, del doppio sistema sanzionatorio dato dall’illecito amministrativo previsto dall’art.187-ter e da quello penale di cui all’art.185 del medesimo dlgs.58 del 1998, una volta ricompresa la norma configurante l’illecito formalmente amministrativo nella “materia penale”, ai sensi dell’interpretazione accolta dai giudici di Strasburgo per il caso di specie.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, secondo i giudici della Corte, affinchè operi il divieto di bis in idem, è, infatti, necessario, che il “fatto” rientri nell’ambito della materia penale: per

273

In motivazione la Corte EDU precisa che l’udienza pubblica, il cui obbligo non è da ritenersi assoluto, è stata ritenuta nel caso di specie necessaria in ragione dell’esistenza di una controversia circa la ricostruzione del fatto e del rischio di vedersi applicate sanzioni particolarmente severe sia dal punto di vista economico, sia per il loro carattere infamante, potendo arrecare pregiudizio alla all’onorabilità professionale e al credito delle persone interessate.

274

La Corte cita a conforto di tale assunto Piersack c. Belgio, 1 ottobre 1982, seria A n.53, e De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, serie A n.86, pronunce nelle quali essa stessa ha concluso per una mancanza di imparzialità oggettiva del “tribunale” in ragione, nella prima di queste cause, del fatto che una Corte d’Assise fosse presieduta da un consigliere che, precedentemente, aveva diretto la sezione della Procura di Bruxelles investita del caso dell’interessato, e, nella seconda, dell’esercizio in successione delle funzioni di giudice istruttore e di giudice di merito da parte di uno stesso magistrato in una stessa causa.

161 valutare se il caso di specie rientrasse in tale ambito, la Corte ricorda quelli che sono i criteri

elaborati a partire dal caso Engel275, in base al quale, al fine di stabilire la sussistenza di un

accusa in materia penale, occorre tener presente tre criteri, ovvero la qualificazione giuridica della misura, la natura della misura ed il grado di severità della sanzione. Dunque, spetterà alla Corte, sulla base di tali criteri, valutare se si tratta di materia penale alla quale applicare l’insieme delle garanzie previste, appunto, per il diritto e il processo penale sancite dalla Convenzione, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dal diritto interno.

Nel caso trattato nella sentenza Grande Stevens c. Italia, la Corte EDU constata, innanzitutto, che, secondo il criterio della qualificazione giuridica formale dell’illecito, le manipolazioni del mercato ascritte ai ricorrenti nel procedimento dinanzi alla Consob, non costituiscono un illecito di natura penale nel diritto italiano: esse, infatti, sono punite con una sanzione

qualificata come “amministrativa” dall’art.187-ter punto 1 del dlgs.58/1998276

.

La difesa del Governo italiano nella procedura era, peraltro, affidata anche a tale argomento formale, in ragione dell’eccezione sollevata in via preliminare dinanzi alla Corte europea e relativa alla riserva posta dall’Italia al momento della ratifica del Protocollo n.7 della Convenzione europea nel 1991 con la quale lo Stato aveva precisato che l’art.4 del Protocollo si applica unicamente alle infrazioni, alle procedure e alle decisioni che siano qualificate come penali dalla legge italiana. La Corte non ha ritenuto valida tale riserva ai sensi

dell’art.57 CEDU277

, in quanto essa sarebbe generica quanto alle categorie giuridiche invocate rispetto al richiamo alle norme interne coinvolte, quindi sarebbe di carattere generale e non conterrebbe una breve esposizione della legge asseritamente incompatibile con l’art.4 del Protocollo. In ragione di queste considerazioni, pertanto, secondo la Corte la disposizione in questione è del tutto applicabile allo Stato italiano.

275 In generale sulla nozione di “materia penale” ai fini delle garanzie convenzionali, v. il leading casen, Corte

EDU, Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, in www.echr.coe.int.

276 La sentenza un breve quadro esplicativo del sistema normativo riferibile alla struttura del decreto legislativo

58 del 24 febbraio 1998, come modificato dalla legge n.62 del 2005, che ha introdotto l’ipotesi di reato di cui all’art.185 del medesimo decreto legislativo, sostanzialmente omologa dell’illecito amministrativo previsto dal citato art.187-ter.

277

L’art.54 CEDU prevede che:‹‹ Ogni Stato, al momento della firma della presente convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo ad una determinata disposizione della Convenzione, nella misura in cui una legge in quel momento in vigore sul territorio non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate ai sensi del presente articolo. Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta una breve esposizione della legge in questione››.

162 La Corte EDU sul punto torna a ribadire che il criterio della qualificazione formale non è da ritenersi decisivo ai fini dell’applicabilità del profilo penale dell’art.6 della Convenzione, in quanto le indicazione che fornisce il diritto interno hanno un valore relativo. In definitiva, in ragione dell’importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle comminabili ai ricorrenti, la Corte ritiene che quelle inflitte dalla Consob rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale, specificando come il “carattere penale” di un procedimento sia subordinato al grado di severità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata e non alla gravità della sanzione alla fine in concreto inflitta.

Per di più, nel caso di specie, i giudici ritengono che le sanzioni inflitte ai ricorrenti siano di “innegabile severità”, comportando per gli interessati conseguenze patrimoniali rilevanti e sanzioni accessorie molto serie.

Si è, dunque, constatata la pendenza di altro procedimento penale vero e proprio, successivo alla definizione di quello amministrativo, ma a carattere sostanzialmente penale, già chiuso con il passaggio in giudicato, avente alla base l’accusa dell’omologo ( rispetto alla previsione di cui all’art.187-ter citato) delitto di manipolazione del mercato di cui all’art.185 del dlgs.58 del 1998., realizzandosi, in tal modo, un secondo giudizio de eadem re e, dunque, la violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto a carico degli stessi soggetti. Attualmente, il procedimento penale, dopo la pronuncia di sentenze di primo e di secondo grado ( la Corte di appello di Torino aveva da ultimo condannato Gabetti e Grande Stevens e assolto le due società e l’altro ricorrente, a seguito di un primo annullamento con rinvio da parte della Cassazione, su ricorso del P.M, della sentenza di assoluzione di primo grado) risulta definito con sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione con la quale

si è dichiarata la prescrizione dei reati nell’udienza celebrata il 17 dicembre 2013278

.

L’altro profilo cui la Corte era chiamata a valutare, consiste nello stabilire se i fatti imputati ai ricorrenti di fronte alla Consob con provvedimento definitivo e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili nell’ambito della stessa condotta.

La Corte EDU, ricordando i propri precedenti in materia ed in particolare i criteri ermeneutici

enunciati nella pronuncia Zolotoukhine c. Russia del 2009279, ha chiarito che la verifica di

compatibilità della disciplina di diritto interno sottoposta al suo vaglio con il principio

278

Cass., Sez. I, 17 dicembre 2013, Grande Stevens, in www.cortedicassazione.it

279

163

convenzionale citato280 passa per l’accertamento volto a determinare se il nuovo procedimento

sia basato su fatti sostanzialmente identici rispetto a quelli che sono stati oggetto della condanna definitiva. Ebbene, con un’affermazione certamente importante, la sentenza del 4 marzo 2014 mette in risalto come la questione da definire non sia quella di stabilire se gli elemento costitutivi degli illeciti previsti dagli art.187-ter e 185 punto 1 del decreto legislativo n.58 del 1998 siano o meno identici, ma, bensì, se i fatti ascritti ai ricorrenti nel procedimento amministrativo e nel successivo procedimento penale siano riconducibili alla stessa condotta. Tale approdo giurisprudenziale potrebbe essere letto nel senso che, al di là della qualificazione giuridica utilizzata nei procedimenti dei quali uno chiuso con il passaggio in giudicato e l’altro pendente, ciò che conta è confrontare le condotte specificatamente poste in essere dai medesimi soggetti per verificarne la sovrapponibilità, cosicchè, l’eventuale verifica positiva, porterebbe alla dichiarazione della sussistenza del ne bis in idem. Tale conclusione, appena delineata, potrebbe essere riconducibile agli orientamenti della giurisprudenza di

legittimità in relazione all’art.649 c.p.p 281

.

280

La Corte, riferendosi alla propria richiamata interpretazione consolidata, ha specificato che l’art.4 Protocollo n.7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o di giudicare una persona per un secondo illecito nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi e che la garanzia sancita all’art.4 del Protocollo n.7 entra in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente