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Il giudicato “cautelare”

6.Accertamenti non definitivi e cosa giudicata

6.2 Il giudicato “cautelare”

Il giudicato cautelare nasce come rimedio alle ‹‹ degenerazioni procedurali della dialettica de libertate››, assumendo il fondamentale valore di ‹‹ strumento di garanzia della persona

sottoposta a procedimento penale››36

.

L’estensione della categoria del giudicato alla materia cautelare è stata criticata da parte della dottrina, la quale ha sostenuto l’incompatibilità della stessa con i caratteri della precarietà e

35 Cass., S.U., 23-02-2000, Romeo, cit., p.54.

36 R. Normando, Il valore, gli effetti e l’efficacia del giudicato penale, in Trattato di procedura penale, Torino,

31 della connaturale instabilità del provvedimento incidentale, suscettibile di rilettura nel corso

della successiva fase di cognizione37.

Il limite di operatività della preclusione endoprocessuale è individuato nella natura e nell’oggetto dell’accertamento coinvolto: le decisioni assunte in sede di impugnazioni de libertate sono soggette al ‹‹ costante adeguamento dell’intervento cautelare all’eventuale

evoluzione dei presupposti di fatto che legittimano la restrizione della libertà››38.

Si tratta di provvedimenti, quelli cautelari, che, in quanto basati su una particolare precarietà del compendio decisorio, oggetto di selezione da parte del pubblico ministero che avanza la richiesta, determinano una forza di resistenza assai labile, destinata ad essere travolta in caso

di ‹‹ sostanziale immutazione della situazione presupposta››39

ovvero in ipotesi di arricchimento del quadro gnoseologico di riferimento, per effetto dell’incidere del sindacato sull’accusa. Le aperture della Suprema Corte al tema del giudicato cautelare traggono spunto dall’esigenza di definire i rapporti tra le impugnazioni consentite dagli art. 309 e 310 c.p.p e l’istituto della revoca, nella convinzione che quest’ultimo istituto avrebbe potuto essere attivato ‹‹ anche in forza di dati preesistenti e persino acquisiti al procedimento, ma trascurati›› dal giudice della cautela, ‹‹ se non anche degli elementi all’epoca neppure

conosciuti da parte di tale organo››40

.

Le Sezioni Unite sono giunte a definire i limiti della preclusione derivante dalla misura cautelare, osservando come essa non dipenda dal mancato esperimento delle impugnazioni consentite: questo primo aspetto dimostra la lontananza del fenomeno rispetto alle tradizionali categorie del giudicato formale e dell’irrevocabilità di cui all’art.648 c.p.p. Infatti, l’inutile decorso dei termini impugnatori non consente il consolidarsi della decisione assunta in materia di libertà personale, sempre revocabile sulla base del sisposto dell’art.299 comma 3 ter c.p.p, anche se ‹‹ basata su elementi nuovi e diversi rispetto a quelli già valutati››41.

37

S. Lorusso, Una impropria utilizzazione del concetto di giudicato penale: il cd. ne bis in idem cautelare, in

Cass.pen., 1994. 38

Cass., S.U., 16-12-2010, Testini, cit., p.3351 ss.

39

Cass., S.U., 16-12-2010, Testini, cit.

40

S. Ruggeri, Giudicato penale e accertamenti non definitivi, cit., p.426, Milano, Giuffrè, 2004.

41 Sulla previsione del comma 3 ter della norma menzionata, introdotto dall’art.13 comma 1 l. 8 agosto 1995

n.332, M. Bargis, Procedimento de libertate e giudicato cautelare, in Presunzione di non colpevolezza e

disciplina delle impugnazioni. Atti del Convegno.Foggia-Mattinata, 25-27 settembre 1998, Milano, 2000, p.165

32 L’istanza di revoca, secondo il parere della Cassazione, può esser basata su elementi già conosciuti e valutati al momento dell’emanazione del provvedimento cautelare, non costituendo tale circostanza elemento ostativo ad un nuovo sindacato di legalità della misura, sia in ordine al profilo della colpevolezza sia in ordine al mutamento delle esigenze cautelari. In altri termini, la preclusione scaturente dal procedimento cautelare attiene alle singole questioni che siano state dedotte dalle parti nel giudizio di impugnazione: soltanto la decisione del giudice delle libertà assume il valore di cosa giudicata, sino a che non emergano elementi utili ad un nuovo esame delle questioni oggetto della devoluzione.

L’impossibilità dell’estensione al giudicato cautelare della disciplina prevista per il giudicato formale dipenda, quindi, dalla portata dell’accertamento insiti nel provvedimento cautelare che è, per sua natura, destinato a cessare: con il giudicato cautelare non si persegue lo scopo primario che è posto alla base dell’irrevocabilità, consistente nell’impedire la rilettura dell’accertamento mediante l’attivazione di nuove fasi di controllo, dal momento che la costante verifica della legalità e della legittimità della misura è connaturale alla sua stessa ragion d’essere, perché la restrizione della libertà personale è legata ad un preciso scopo processuale suscettibile di mutamento in conseguenza del progredire dell’iter procedimentale. Riguardo le singole questioni, e non la regiudicata nel suo complesso, il giudicato cautelare deve essere inteso come preclusione di natura endoprocessuale condizionata dall’esigenza di ‹‹ garantire la costante corrispondenza dello status libertatis dell’imputato all’effettiva attualità dei presupposti edittali, probatori o cautelari che legittimano l’adozione delle

misure››42

.

La riconosciuta stabilità al decisum cautelare convince ad una condizione, ovvero quella di costruire i confini del potere coercitivo in modo che l’accusato non sia sottoposto ad una nuova persecuzione nellipotesi in cui restino immutati i presupposti che avevano giustificato il primo intervento incidentale. In tale prospettiva, la novità degli elementi che deve ricorrere

di E. Amodio, Milano, 1996; A. Cristiani, Misure cautelari e diritto di difesa, Torino, 1995; G.Illuminati,

Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, in Misure cautelari e diritto di difesa nella l.8 agosto 1995, n.332, a cura di V. Grevi, Milano, 1996; E. Marzaduti, Sub art.13 l.8 agosto 1995, n.332, in Modifiche al codice di procedura penale, Padova, 1995.

42 Lo afferma Cass., S.U., 16-12-2010, Testini, che opera un accostamento tra la categoria della preclusione in

analisi e quella disciplinata dall’art.666 comma 2 c.p.p, per il procedimento d’esecuzione, richiamando Cass., sez.II, 28-09-1999, Cieri, in CED, n.214578.

33 per favorire il superamento della preclusione formatasi sulle questioni dedotte in sede di

gravame de libertate deve consistere ‹‹ nella materiale obiettività dei medesimi››43.

Il divieto, derivante dal giudicato cautelare, ad una nuova azione cautelare, rappresenta strumento di salvaguardia delle garanzie difensive, impedendo la riproposizione di iniziative sulla cautela che siano fondate su elementi già vagliati dalla giurisdizione, dal momento che il

potere di ius dicere ne uscirebbe svilito nelle sue prerogative essenziali44.

In giurisprudenza45 si era inizialmente tentata un’estensione analogica del divieto di cui

all’art.649 c.p.p, mentre successivamente si è consolidata l’idea secondo cui sia un generale principio di preclusione, desunto proprio dalla norma espressiva del divieto di un secondo giudizio, a imporre un analogo divieto di reiterazione del sindacato incidentake sui medesimi presupposti e in ragione d’identiche condizioni applicative. Secondo la giurisprudenza, in definitiva, il giudicato cautelare, pur avendo ad oggetto un accertamento volutamente sommario ovvero solo tendenzialmente completo, manifesta il suo carattere di scelta decisoria solo quantitativamente diversa rispetto a quella che concerne il merito della regiudicanda in esito al procedimento principale.