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La rilevabilità del divieto

4.I presupposti soggettivi del divieto: l’ eadem personam

6. La rilevabilità del divieto

Il ne bis in idem si atteggia, nel nostro ordinamento processuale, a dovere, per il giudice adito successivamente, di declinare la decisione: alla luce dell’art.649 comma 2 c.p.p, infatti, se viene iniziato un nuovo procedimento penale per il medesimo fatto, il giudice, in ogni stato e grado, pronuncia sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere, enunciando la

causa nel dispositivo e dichiarando149 che la materia è già definitivamente accertata

dall’autorità giurisdizionale.

In proposito, si discute della sorte cui è destinato l’atto di esercizio dell’azione penale adottato

nonostante l’esistenza di un precedente giudicato: alla prospettata tesi della abnormità150

è agevole contrapporre l’osservazione che il rimedio per tale eventualità è comunque previsto dal sistema, essendo sempre possibile risolvere in dibattimento la questione dell’insorgenza di

un procedimento penale successivo alla formazione del giudicato151.

149

Sul punto, Cass.pen., 04-04-2006, n. 17268, in Riv.pen., 2007, 669, dove si precisa che ‹‹ l’operatività del divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto non può essere esclusa sulla base della mera ipotesi che manchi l’identità tra il fatto giudicato e quello da giudicare, occorrendo invece che la non identità risulti in termini di ragionevole certezza››.

150

Avanzata da Cass.pen., 23-04-1996, Poloni, in Cass.pen., 1997,2819.

151

98 Atteso che spetta all’interessato, prima di tutto, far rilevare l’esistenza di una precedente sentenza preclusiva del nuovo giudizio, viene collegato a tale situazione l’onere di produrre documentalmente il provvedimento preclusivo, unitamente all’attestazione dell’intervenuta irrevocabilità152.

Tuttavia, non appare corretta, in termini giuridici, la configurazione di un onere in senso stretto a carico dell’interessato di eccepire il precedente giudicato. In primo luogo, il giudice, non diversamente da quanto accadeva nel vigore del codice previgente, conserva sempre il dovere di prendere atto d’ufficio della preclusione e, comunque, la semplice allegazione dell’esistenza della sentenza sembra essere sufficiente a generare l’obbligo giudiziale di

esercitare i poteri officiosi previsti dall’art.507 c.p.p in materia probatoria153

.

Per altro verso, come si vedrà successivamente, nulla impedisce al giudice di prendere atto del divieto, perfino in momenti posteriori al passaggio in giudicato.

Non sembrano sussistere limiti, dunque, alla rilevabilità del ne bis in idem prima del passaggio in giudicato, neppure in relazione allo stadio pre-processuale. Anche se il legislatore si riferisce espressamente ai provvedimenti conclusivi dell’udienza preliminare (la sentenza di non luogo a procedere) o della fase del giudizio (la sentenza di non doversi procedere), una presa d’atto della sussistenza di una decisione preclusiva sul medesimo oggetto appare possibile anche in fase investigativa, nel corso della quale il P.M può investire

il G.I.P con un’apposita richiesta di archiviazione154.

152

Cass.pen., 03-05-2006, C.A., cit.; Cass.pen., 17-06-2003, Mulino, in CED n. 225460; Cass.pen., 15-01-1990, Allegro, in Cass.pen., 1991, 588.

153 Emblematica, in tal senso, è la pronuncia con la quale la Corte di Cassazione ha posto a carico del tribunale

del riesame il dovere di verificare il fondamento della tesi difensiva circa l’identità del fatto contestato in sede cautelare rispetto a quello oggetto di pronuncia irrevocabile a carico dell’indagato ( Cass.pen., 24-10-2007, in

CED n. 237912 ). Il medesimo principio non può non essere applicato ad altre fasi del procedimento penale e,

dunque, anche in sede di udienza preliminare o di dibattimento. Desta perplessità, per queste ragioni, l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale è inammissibile, in sede di impugnazione sul provvedimento che definisce il cd. concordato in appello, il ricorso per cassazione che solleva la questione relativa alla violazione del ne bis in idem, orientamento fondato sul rilievo che la pronuncia sottesa all’accordo renderebbe improponibili davanti al giudice di legittimità le questioni oggetto dei motivi rinunciati ( Cass.pen., 22-04-2005, in Arch. Nuova proc.pen., 2007,99 ): la rilevabilità ex officio del divieto sembra in palese contraddizione con l’assunto.

154

In questo senso, Cass.pen., 12-12-1991, in Cass.pen., 1994, 1880, dove si osserva come non è ipotizzabile l’obbligo per il magistrato del P.M di esercitare l’azione penale al solo fine di instaurare un processo destinato a chiudersi in via anticipata con un provvedimento meramente procedimentale. In dottrina si è osservato, al riguardo, che, qualora sia richiesta l’archiviazione per bis in idem, il giudice per le indagini preliminari può fare esercizio del potere previsto dall’art.129 c.p.p comma 1, emettendo sentenza di non doversi procedere.

99 Nel corso del giudizio di legittimità si sostiene, invece, che la particolare natura dei compiti funzionalmente affidati alla Corte di Cassazione determina l’impossibilità di acquisire nuovi documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa all’esclusiva pertinenza del giudice di merito. Qualora si palesi tale necessità, il soggetto, in realtà, non resta privo di

tutela, essendo sempre possibile far valere la preclusione in sede esecutiva155. In ogni caso il

divieto di un secondo giudizio è oggetto di peculiare disciplina, in quanto, ai sensi del combinato disposto degli art.620 e 621 c.p.p, la Corte di Cassazione, rilevata una precedente sentenza irrevocabile, annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e ordina l’esecuzione della sentenza più favorevole all’imputato.

Può accadere, poi, che, nonostante il categorico enunciato dell’art. 649 comma 1 c.p.p, il rimedio preventivo delineato dal legislatore non operi e si verifichi, di conseguenza, una proliferazione di giudicati sul medesimo oggetto. In tale evenienza, la rigoroa applicazione del criterio della prevenzione richiederebbe la prevalenza del primo provvedimento divenuto irrevocabile e, di conseguenza, la caducazione di quello successivo: soltanto a tali condizioni potrebbe sostenersi che il ne bis in idem riviva anche dopo la formazione del giudicato nel procedimento nel cui ambito andava rilevato.

In realtà, l’ordinamento reagisce in maniera parzialmente difforme da quella appena tratteggiata, prevedendo, all’art.669 c.p.p che, tra plurimi provvedimenti irrevocabili, la prevalenza va accordata sempre e comunque a quello più favorevole all’interessato. Nello schema così raffigurato, è evidente che l’art.669 c.p.p, quale rimedio successivo e norma di chiusura del sistema della rilevabilità del ne bis in idem, risulta condizionato dal principio del favor rei, survalente rispetto alla certezza connaturata al giudicato.