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Titolo, grado e circostanze

4.I presupposti soggettivi del divieto: l’ eadem personam

5.4 Titolo, grado e circostanze

Abbiamo già osservato che il legislatore, ai fini dell’operatività del ne bis in idem, considera irrilevanti sia il mutamento del titolo, sia del grado che delle circostanze.

Bisogna riconoscere che se non si creano particolari problemi in ordine all’interpretazione da dare al richiamo che l’art.649 c.p.p fa al “titolo” in relazione ad un medesimo fatto ( ad

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G. De Luca, Concorso formale e limiti oggettivi della cosa giudicata penale, in Riv.proc.pen., Milano, 1960.

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95 esempio, concussione-corruzione ) ed alle circostanze, aggravanti o attenuanti, meno semplice appare l’interpretazione che deve darsi alla locuzione “grado”. Iniziamo proprio ad esaminare quest’ultimo.

Se facciamo un breve excursus in ordine all’evoluzione che il principio del ne bis in idem ha subito all’interno delle varie legislazioni del nostro Stato, possiamo osservare come già nel codice del 1865, all’art.518, si prevedeva che ‹‹ l’accusato assolto, o riguardo al quale sia stato dichiarato di non esser fatto luogo a procedimento, non potrà più essere sottoposto a processo, né accusato per il medesimo fatto››. In questo caso non veniva fatto alcun riferimento né al grado né agli altri elementi.

Nel progetto per il nuovo codice di rito del Regno d’Italia, veniva di nuovo riproposta la stessa formulazione, se non fosse per il fatto che veniva operata una precisazione. Si diceva, infatti, che ‹‹ un nuovo giudizio per il medesimo fatto era escluso anche se il fatto fosse stato

diversamente definito››143. Si giunse, poi, alla formulazione dell’art. 435 c.p.p del 1913 il

quale disponeva che ‹‹ l’imputato assolto, anche in contumacia, con sentenza divenuta irrevocabile, non può essere di nuovo sottoposto a procedimento per quel medesimo fatto neppure se esso venga diversamente considerato per titolo, grado o quantità di reato››.

Il riferimento al “grado”, in particolare, derivava dalla teoria di Carrara144

, il quale identificava i delitti secondo la “qualità” ( cioè il titolo ), la “quantità” e il “grado”. Secondo la teoria di Carrara, la “quantità” è ciò per cui avviene che un fatto criminoso sia un delitto piuttosto che un altro delitto; in sostanza, essa costituisce ciò che distingue titolo criminoso da titolo criminoso. Osservava Carrara che ‹‹ la quantità è ciò che permette di discernere tra due o più delitti quale è rispetto all’altro più grave, per proporzionarvi la giusta imputazione››. In relazione al “grado” Carrara affermava che ‹‹ ciò che attiene al grado di un delitto è ciò che lo degrada senza però denaturarlo››. Attengono, secondo questa teoria, al “grado” sia le cause fisiologiche attinenti all’imputabilità del soggetto, quali l’età, il sonno, il sordomutismo, la pazzia, l’ubriachezza, sia le cause ideologiche quali l’ignoranza, l’errore, la coazione o l’impeto degli affetti.

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Art.499 del Progetto al c.p.p del 1911.

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Manzini145 affermava, invece, che il “grado” riguardasse ‹‹ la qualificazione giuridica del

reato e non il fatto in sé che, pur aumentando il grado, può assumere un titolo anche essenzialmente diverso, mentre la diversità di titolo risulta già essere stata presa in considerazione espressamente dal legislatore››. Secondo questa diversa impostazione, pertanto, il “grado” implica una ‹‹ diversa quantità penale che può assumere in concreto il medesimo fatto astrattamente considerato dalla norma, se posto in relazione ad altri elementi che lo accompagnano››; si aggiungeva che ‹‹ se per “fatto” si intende il complesso degli elementi oggettivi essenziali del reato, ne consegue che gli elementi che possono mutarne la quantità penale sono elementi estrinseci a questo. La verificazione di un evento più grave non “denatura” il reato, ma ne determina una diversa gravità. Stessa cosa dovrebbe dirsi per le cause di esclusione della punibilità e della imputabilità, per il concorso di persone nel reato,

nonché per le cd. condizioni di maggiore punibilità del reato››146

.

Inoltre, si osservava al riguardo che non è certamente previsto nel nostro sistema che, ad esempio, un soggetto assolto per il fatto di aver agito in stato di legittima difesa o per errore sul fatto o, viceversa, condannato come unico autore del reato, possa essere nuovamente giudicato laddove si accerti che non vi fu legittima difesa o errore sul fatto o che determinò altri a commettere il reato. ‹‹ Tutte queste ipotesi non possono che trovare la loro previsione nel richiamo dell’art. 90 c.p.p al “grado”, cioè ad una diversa gravità concreta del reato derivante da elementi che, lasciando inalterato il fatto nei suoi elementi costitutivi, e quindi il

titolo del reato, gli fanno tuttavia assumere un diverso livello di quantità penale››147.

In definitiva, il concetto di “grado” di cui all’art.649 c.p.p può essere utilizzato al fine di individuare tutte quelle situazioni che, senza spostare il titolo del reato, importano maggiore o minore gravità del reato, dell’imputabilità o della responsabilità. E’ il caso del passaggio dall’ipotesi di reato tentato all’ipotesi di reato consumato: in questo caso né nuovi elementi di fatto, né nuove prove né una diversa valutazione del fatto valgono a distruggere la forza del

giudicato148. Altra ipotesi che può delinearsi in tema di regiudicata riconducibile all’ipotesi di

cambiamento del “grado” è quella che si verifica in tema di rapporti tra reato di pericolo e

145 V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale, vol. V, Torino, 1956. 146

F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 1960.

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R. Cantagalli, “Ne bis in idem” e nozione di medesimo fatto, in Giust.pen.,III, 1964.

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97 reato di danno: così, se un soggetto è stato giudicato per un reato di pericolo non può essere chiamato successivamente a rispondere per un reato di danno.

Per quanto concerne, invece, il “titolo”, per esso si deve intendere sia il semplice mutamento di qualificazione giuridica conseguente ad una variazione dell’elemento soggettivo (omicidio colposo anziché doloso)oppure al verificarsi dell’evento (omicidio preterintenzionale anziché lesioni colpose). Infine, in relazione al concetto di “circostanza”, possiamo osservare che il sopravvenire di eventi che integrerebbero una circostanza del reato o di nuove prove che ne dimostrerebbero la sussistenza, non vale ad intaccare la forza del giudicato e a dar vita ad un nuovo procedimento. Pertanto, contro colui che, ad esempio, è stato giudicato per furto semplice, non può essere promossa nuova azione penale per furto aggravato. In definitiva, anche il passaggio dalla fattispecie semplice alla fattispecie circostanziata incontra il veto del ne bis in idem.