• Non ci sono risultati.

Si tratta di un reato di creazione propriamente giurisprudenziale. Esso si verifica quando l’offesa commessa dall’agente ad un bene giuridico tutelato dall’ordinamento si protrae per effetto di una condotta persistente e volontaria. Il reato permanente ha, dunque, una struttura complessa che richiede un’analisi di ogni suo elemento. Cominciamo dalla condotta. Innanzitutto, possiamo capire che si tratti di un reato di durata, caratterizzato dal fatto che l’evento lesivo e la sua consumazione perdurano per un certo periodo di tempo.

Il reato, in particolare, si compone di due fasi: una fase iniziale, in cui il soggetto agente pone in essere tutti i fatti necessari affinchè si verifichi il fatto illecito, e una fase di continuazione, che, secondo la giurisprudenza, consiste nel persistere, da parte dell’agente, nella condotta

criminosa195. Iniziamo ad esaminare la condotta nella sua prima fase.

Si è detto subito che essa, in realtà, non presenta alcuna peculiarità, dal momento che si atteggia nella forma ordinaria in cui si esprime ogni condotta punibile; il reato permanente non è diverso da ogni altro reato per quanto attiene al decorso esecutivo anteriore alla

194

G. Leone, Del reato abituale, permanente e continuato, Napoli, Jovene, 1933.

195

119

consumazione del reato stesso. Vannini196 osservava che ‹‹ il reato permanente non può mai

rivestire la figura di reato materiale, poiché nel reato materiale la consumazione implica l’esaurimento dell’attività esecutiva che la precede, mentre il concetto di permanenza implica un’azione esecutiva che si protrae ininterrottamente oltre i limiti della raggiunta consumazione››.

Per quello che riguarda la seconda fase della condotta necessaria per l’integrazione del reato permanente, Leone affermava che ‹‹ permanenza vuole indicare ciò che è stabile, che dura. Quello che è stabile, che dura, e che rimane nel reato permanente, è, in primo luogo, l’evento, cioè quello stato di compressione del bene che la norma prevede. Nel sequestro di persona, ad esempio, dal momento in cui si verifica la privazione della libertà del soggetto passivo, finchè questo non sia rimesso in libertà, dura quella privazione e, perciò, dura l’evento››. Ed aggiunge ‹‹ che il fatto che l’evento nel reato permanente sia continuativo è indiscusso. Se, infatti, nell’esempio di sequestro di persona, la vittima riuscisse a liberarsi, e, poi, in un momento successivo, fosse di nuovo privata della libertà, diremo che esiste un secondo reato, essendosi interrotta la continuità dell’evento››.

Secondo Massari197 la condotta che si pone in essere nel secondo momento ed integrativa

della fattispecie non è solo negativa, ma anche omissiva. Non tutti, tuttavia, condividevano questa posizione. Vannini osservava che ‹‹ non è ammissibile una omissione nella seconda fase esecutiva del reato permanente perché se il reato è di azione positiva, corrispondente a quell’azione che è enunciata nel precetto penale, tale deve essere anche nella seconda fase››.

Ranieri198 affermava che ‹‹ l’attività dell’agente che protrae l’avvenuta consumazione del

reato è anch’essa causa non di un evento diverso, ma dello stesso evento e tale attività si risolve in una persistente condotta attiva, consistente nel protrarre la medesima azione››. Dall’altra parte, tra i sostenitori della natura omissiva della condotta nella seconda fase esecutiva del reato permanente, si osservava che ‹‹ col designare come omissiva questa seconda fase della condotta, non si vuole definire di natura omissiva il reato permanente giacchè è in rapporto all’evento che un reato può qualificarsi come commissivo od omissivo, mentre lo sviluppo positivo o negativo della condotta criminosa non vale a spostare il punto di

196

O. Vannini, Lineamenti di diritto penale, Firenze, casa editrice poligrafica universitaria, 1933.

197

E. Massari, Il momento esecutivo del reato: contributo alla teoria dell’atto punibile, Pisa, 1923.

198

120 qualificazione del reato. E poiché qui l’evento è già in atto e perdura, appare di evidente chiarezza che il reato in questa seconda fase mantiene il carattere che aveva all’inizio di essa, costituendo un reato commissivo od omissivo a seconda che l’evento in corso costituisca un modificazione del mondo esterno o, viceversa, una mancata modificazione di esso. Se, quindi, il fatto con il quale si avvera il momento iniziale dello stato di consumazione ha carattere commissivo anche il reato permanente dovrà essere commissivo, quantunque la permanenza sia data da un atteggiamento meramente negativo. Se quel fatto, invece, è omissivo, omissivo

sarà pure il reato permanente››199

.

Il punto che resta da esaminare è il momento in cui il reato può dirsi consumato: evidentemente il reato permanente cessa nel momento in cui il reo mette fine alla sua condotta

volontaria di mantenimento dello stato antigiuridico200.

Nel nostro ordinamento sono previste diverse figure di reato permanente, tra le quali possiamo ricordare: la riduzione in schiavitù (art.600 c.p), il plagio (art. 603 c.p), il sequestro di persona (art.605 c.p) e l’indebita limitazione della libertà personale (art.607 c.p).

Anche per il reato permanente, data la sua particolare e complessa struttura, ai fini dell’operatività del divieto di bis in idem, si pone la questione di determinare cosa si intende per “medesimo fatto”. La Cassazione ha osservato che certamente ‹‹ è fuori discussione che costituisca fatto diverso, ai fini della preclusione del giudicato, quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi dello stesso reato, rappresenta, tuttavia, l’ulteriore estrinsecazione dell’attività del soggetto, diversa e distinta nello spazio e nel tempo, da quella

posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza irrevocabile››201

.

Maggiori incertezze mostra, però, la giurisprudenza nel determinare gli esatti limiti temporali nel caso in cui il giudicato abbia per oggetto un reato permanente non ancora cessato. Secondo un primo indirizzo, ai fini del divieto di un secondo giudizio, l’individuazione

199

G. Leone, Del reato abituale, permanente e continuato, Napoli, Jovene, 1933

200

Manzini affermava che la consumazione si avvera ma non si esaurisce nel momento in cui si concretano gli elementi costitutivi del reato, aggiungendo che ‹‹ essa si protrae fino alla cessazione dell’attività del delinquente››. Massari, dal canto suo, sosteneva che uno dei caratteri distintivi del reato permanente fosse proprio ‹‹ la permanenza nella consumazione del reato(…), ne discende, allora, che il periodo consumativo di esso non può che corrispondere alla permanenza stessa:esso, pertanto, cessa proprio col cessare della permanenza stessa››.

201

121 temporale del fatto, quando manchi ogni indicazione relativa alla sua durata, deve avvenire

con riferimento alla pronuncia della sentenza, sia essa di assoluzione o di condanna202.

Secondo un altro orientamento, l’estensione degli effetti preclusivi del giudicato alla porzione di condotta anteriore alla pronuncia di primo grado vale esclusivamente nel caso di sentenza che accerti la responsabilità dell’imputato; nell’ipotesi di assoluzione, non essendosi verificata alcuna interruzione della permanenza, il divieto di un secondo giudizio copre soltanto i fatti verificatisi sino alla data indicata nella contestazione, indipendentemente dalla data di

pronuncia della sentenza assolutoria203.

D’altra parte, in dottrina, c’è chi afferma che a fronte del giudicato assolutorio è ammissibile un nuovo procedimento, salva l’impossibilità di tener conto della parte di condotta già

giudicata al fine di ritenere integrata la permanenza del secondo giudizio204.

Secondo Cordero205 il reato permanente si realizza ‹‹ con una condotta a durata più o meno

lunga, di cui ogni segmento di essa basta alla consumazione del reato stesso››.

Leone sosteneva che il punto di partenza stesse proprio nella lettera dell’art.90 c.p.p (oggi art.649 c.p.p) il quale limita l’efficacia del giudicato al fatto esaminato, sul quale non può essere chiamata a pronunciarsi di nuovo l’autorità giudiziaria. Lo stesso Autore aggiungeva, inoltre, che ‹‹ tutto ciò che appartiene ad un momento posteriore al fatto giudicato è fuori dalla sfera di efficacia della res iudicata: non può il giudicato precedente statuire per il futuro(…) Si verrebbe, altrimenti, a porre colui che è stato una volta condannato per un reato permanente nelle condizioni di continuare impunemente nella sua condotta antigiuridica fino a quando, venendo privato della libertà, non si interrompa naturalmente l’azione antigiuridica. Il giudicato avrebbe, in tal caso, un effetto negativo, o meglio, un contenuto autorizzativo e ciò non è assolutamente possibile, non soltanto rispetto alle norme di legge, ma anche rispetto

ai principi generali del diritto››206.

Quanto affermava, dunque, Leone, è accettabile purchè si ritenga il reato permanente scindibile in tante porzioni, ciascuna delle quali, caratterizzata da una propria condotta: il

202 Cass., 4 ottobre 2000, in CED, Cass.pen., 2002, p.259. 203 Cass., 14 novembre 1997, in CED, Cass.pen., 1998, p.2345. 204

G. Lozzi, Giudicato (dir.pen.), Enc.dir., Giuffrè, 1969.

205

F. Cordero, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 1987.

206

122 principio dell’unicità del fatto nel reato permanente, infatti, condurrebbe ad una soluzione insostenibile, portando ad una sorta di presunzione di impunità, laddove, ad esempio, il proscioglimento irrevocabile, non valendo come interruzione, consentisse di assorbira atti posteriori.

Nei delitti associativi, per esempio, ‹‹ l’effetto interruttivo della permanenza del reato deve ricollegarsi alla sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell’imputato: da ciò consegue che la porzione della condotta illecita successiva a detta pronuncia rimane perseguibile a titolo di reato autonomo. Qualora, viceversa, sia stata pronunciata assoluzione, non può ritenersi operante in virtù di tale sentenza alcun effetto interruttivo della permanenza della condotta criminosa proprio perché è carente l’accertamento di un reato: in tale ipotesi, pertanto, il divieto di un secondo giudizio vale soltanto per i fatti verificatisi fino alla data indicata nella contestazione, indipendentemente dalla data di pronuncia della sentenza

assolutoria››207

. Si deve, pertanto, affermare che la sentenza di condanna per una figura di reato permanente vale ad interrompere la permanenza del reato: è doveroso, tuttavia, accertare quale sentenza abbia siffatta efficacia, quella di condanna di primo grado o quella irrevocabile. La dottrina sul punto è divisa.

Manzini, ad esempio, riteneva che solo la sentenza irrevocabile avesse tale efficacia, giacchè ‹‹ la semplice condanna non irrevocabile, senza che fosse intervenuto alcun atto coercitivo che fossa tale da interrompere necessariamente il fatto della permanenza, non sarebbe sufficiente a sciogliere l’unità del reato, perché l’applicazione della norma penale non è

definitiva ed è incerto se lo diventerà››208

.

Prima di lui, c’era stato chi, all’opposto, aveva fermamente sostenuto che la permanenza posteriore alla sentenza di primo grado avrebbe potuto dar luogo a nuovo giudizio e a nuova condanna; a questa teoria aderì la Cassazione con la sentenza 19 febbraio 1932, nella quale osservò che ‹‹ la sentenza penale, anche se ancora sottoposta a gravame, ha di per sé l’efficacia di scindere, indipendentemente da una querela ad essa posteriore, la permanenza, perché è sempre una sentenza di condanna che, accertando sia pure in modo non irrevocabile, la responsabilità, costituisce un provvedimento pienamente idoneo a far desistere dalla commissione di altra azione identica a quella cui la sentenza si riferisce››. Nonostante quanto appena detto, in giurisprudenza si è sempre continuato a discutere circa il cd. “effetto

207

Cass., 14 novembre 1997, in CED, Cass.pen., 1998.

208

123 interruttivo”, ossia il momento a partire dal quale l’eventuale seguito del fatto costituisce fatto diverso. Essa a volte si è espressa nel senso di affermare che il nuovo corso del fatto cominci

dalla condanna di primo grado209, mentre altre volte lo ha fatto risalire alla sentenza

irrevocabile210. Punto indiscusso, anche per la Cassazione, è, tuttavia, che il secondo giudizio

non potrebbe comunque mai prendere in considerazione nuovamente il comportamento

illecito già divenuto res iudicata211.

Per quanto riguarda la sentenza di proscioglimento, non ci sono molte osservazioni da fare. Va solamente detto che, laddove una sentenza abbia assolto, nessun motivo giuridico può ostacolare un nuovo giudizio ed una eventuale condanna nel caso in cui l’individuo, precedentemente assolto, permanga in tale condotta. Se, infine, il proscioglimento è stato pronunciato per una causa soggettiva (mancanza dell’elemento volontario, mancanza del dolo, non imputabilità o non punibilità, sussistenza di cause di esclusione del reato ecc.), nessun motivo potrà interdire un nuovo giudizio (ed un eventuale sentenza di condanna) qualora venga a mancare la causa che determinò il precedente proscioglimento.

209 Cass., 8 giugno 1983, in Giust.pen., 1984; Cass. Sez.III, 15 febbraio 1969, in Mass. Uff., n.113839; Cass.

Sez.III, 29 dicembre 1980, n.148902.

210

Cass., 26 marzo 1973, in CED, Cass.pen., 1975; Cass., Sez. VI, 7 dicembre 1973, in Mass.Uff., n. 127470.

211

124

Capitolo IV