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Conflitto di interessi v. concorso di interessi

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 89-96)

5. Le iniziative internazionali a fronte dei recenti scandali finanziari

1.2 Conflitto di interessi v. concorso di interessi

Né gli standard internazionali, né la disciplina italiana forniscono una definizione giuridica di conflitto di interessi tra intermediario mobiliare e cliente. Più in generale, la dottrina ha da tempo osservato il carattere ambiguo del concetto stesso di interesse e il fatto che tale nozione assume un significato diverso nei vari settori del diritto41. Inoltre, la stessa disciplina del conflitto di interessi sembra svolgere una funzione differente a seconda del contesto nel quale è dettata e del rapporto nel quale si innesta42.

Per questa ragione risulta particolarmente utile ai fini dell’accertamento di che cosa costituisce conflitto di interessi per l’intermediario mobiliare partire dalla constatazione che esso è innanzitutto un concetto economico, strettamente connesso ai meccanismi tipici del modello dell’agency, particolarmente al rapporto che si instaura tra l’intermediario (l’agente) e l’investitore (il principale) in presenza di asimmetrie informative e che vede l’intermediario operare nell’interesse del cliente, ossia effettuare scelte i cui effetti vanno ad incidere sul patrimonio di questi. In detto ambito, il conflitto è riconducibile alla concentrazione in capo all’agente-intermediario di una pluralità di interessi in concorso tra loro e potenzialmente contrastanti, di tal guisa che il soddisfacimento del proprio (o altrui) può precludere in tutto o in parte il soddisfacimento di quello della controparte43.

Più in dettaglio, in una prospettiva economica, l’interesse è un’utilità attesa, ossia è un’anticipazione mentale di ciò che ci si aspetta sarà un guadagno o una riduzione dei costi/rischi44. L’interesse dell’intermediario è legato all’utilità che si

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Così FERRO LUZZI (2006), p. 662 ss.; STESURI (1999), p. 6, RABITTI (1990),p. 125,LUMINOSO (1984), pp. 9 e 15 con amplia bibliografia a riguardo.SecondoCASSESE (2004), p. 235, l’espressione conflitto di interessi non costituisce né un istituto unitario, né un principio, né probabilmente una categoria ordinante.

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Indicazioni dettagliate in merito ai diversi modelli di conflitto presenti in diritto italiano sono in MAFFEIS

(2002),si vedano particolarmente le pp. 37 e ss.

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Sostiene l’utilità di utilizzare l’armamentario concettuale degli economisti per esplorare la nozione di conflitto di interessi MATTEI (2004), p. 249, che evidenzia peraltro la tendenza dei giuristi alla “complessificazione” a cui si contrappone quella degli economisti alla “semplificazione” funzionale alle esigenze di modellizzazione astratta del reale: “Gli economisti vedono nelle decisioni prese in conflitto la

risultante “naturale” della tendenza di ciascuno a massimizzare la propria utilità. Il diritto deve scongiurare tale naturale tendenza, cercando di disincentivare il comportamento opportunistico di chi agisce in conflitto, vuoi attraverso il prezzo implicito di una sanzione credibilmente comminata, vuoi attraverso altri meccanismi capaci di allineare l’interesse privato con l’interesse gestito”.

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In questo senso anche SARTORI (2004), p. 277, che tuttavia finisce per usare indifferentemente e non distinguere le espressioni “conflitto di interessi”, “concorso di interessi” ed “effettivo conflitto” (ossia l’abuso

attende dalla prestazione di servizi a terzi e/o dallo svolgimento di attività per proprio conto (es. lucro da commissioni, provvigioni, interessi e spread) e abbattimenti dei costi/rischi45. Similmente, l’interesse dell’investitore che l’intermediario è chiamato a perseguire è quello di ottenere dall’investimento il massimo profitto con il minimo rischio46.

La situazione di conflitto si comprende considerando che qualunque operatore di mercato agisce al fine di massimizzare il proprio benessere, ossia la propria utilità attesa, dati i vincoli (ad es. di bilancio per il risparmiatore e nella

domanda dei risparmiatori per l’intermediario)47. In questo contesto,

l’intermediario è portato a porre in essere una condotta opportunistica in violazione dell’affidamento della controparte se, secondo una valutazione ex ante, il vantaggio derivante dallo sfruttamento del conflitto è percepito come più elevato rispetto ai costi (sotto il profilo reputazionale48 e sanzionatorio49) che ne potrebbero derivare.

E’ fondamentale, tuttavia, formulare una precisazione che aiuta a chiarire la portata del fenomeno del conflitto e a differenziarlo dal concorso di interessi. In economia, come in diritto, la presenza di interessi differenti ed in astratto opposti da parte degli operatori non è di per sé sintomo di un problema (attuale o potenziale) ma è all’origine stessa dello scambio e del mercato: lo strumento contrattuale permette alle parti coinvolte di raggiungere i propri obiettivi e di incrementare le proprie utilità senza interferenze negative di sorta. In economia, infatti, il contratto rappresenta lo strumento con cui le parti compongono i propri interessi raggiungendo una situazione di equilibrio mutuamente favorevole50.

e l’inadempimento doloso del vincolo fiduciario). In altre parole, l’Autore non chiarisce, come è opportuno, la differenza tra concorso di interessi (compresenza di una pluralità di differenti utilità attese), conflitto di interessi (la compresenza è tale per cui il soddisfacimento di un interesse proprio o altrui può comportare il sacrificio dell’interesse di un altro) e frode (sfruttamento abusivo del conflitto per proprio tornaconto).

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Osserva STESURI (1999), p. 207, che nel caso di broker l’interesse è quello di effettuare il maggior numero possibile di operazioni e lucrare commissioni, per il dealer l’interesse è a che l’investitore acquisti il maggior numero di titoli già in suo possesso, che si sia impegnato a collocare svolgendo la funzione di underwriter o per il quale svolga la funzione di market maker.

46

Cfr. GIANNI (2002-II), p.232 e RABITTI (1990), p. 126 che svolge un’analisi puntuale della natura economia e della fenomenologia del conflitto di interessi tra investitori e broker-dealer, evidenziando l’importanza non solo del prezzo di un’operazione conclusa per conto del cliente, ma anche del “tempo”, del momento in cui essa viene effettuata.

47

La massimizzazione dell’utilità si raggiunge dai soggetti nel punto in cui il costo marginale è uguale al beneficio marginale correlato; cfr. ex multis COOTER E ULEN (1988), p. 10.

48

La reputazione costituisce uno strumento indiretto di enforcement contrattuale in un contesto di relazioni ripetute, considerato che una cattiva reputazione potrebbe impedire ad un soggetto, in questo caso l’intermediario, di trovare nuovi contraenti in futuro. Sugli effetti deterrenti dei rischi reputazionali ed in generale sulla funzione della market discipline per gli intermediari finanziari, si vedano PACCES (2000), CROCKET (2003),CHOI (2004),WHITE e BORIO,HUNTER;KAUFMAN E TSATSARONIS (2004),MERAN E STULZ

(2006),p. 17.

49

Sul ruolo deterrente della sanzione si vedano le considerazioni espresse nel successivo par. 5.

50

La stessa dottrina italiana, pur prescindendo dagli strumenti dell’analisi economica, riconosce la differenza tra la generica locuzione “conflitto di interessi” (quella che qui riferisco come “concorso di interessi”), volta

Similmente, in diritto il contratto realizza gli interessi individuali delle parti, rappresentandone il punto d’incontro. L’istituto della causa del contratto, requisito essenziale ai sensi dell’art. 1325 c.c., altro non è che questo: la sintesi della funzione economico-individuale concretamente perseguita dalle parti, il riflesso dell’assetto degli interessi che le parti intendono soddisfare con il compimento dell’operazione51.

Il conflitto, invece, è in economia un costo tipico dei rapporti di agenzia, dovuto alla presenza di incentivi che spingono l’agente ad operare opportunisticamente favorendo un interesse proprio (o altrui) a discapito di quello della controparte. In diritto esso rileva nei rapporti c.d. di cooperazione e di sostituzione52 sul piano di motivi individuali non riflessi nella causa del contratto e che influenzano l’operare di una parte in violazione dell’accordo (o comunque di un obbligo legale riconducibile al rapporto contrattuale)53. L’istituto della causa

ad indicare il “fenomeno che giustifica, in generale, la conclusione del contratto” e “la locuzione conflitto di interessi positivamente utilizzata, che esprime la situazione in cui un soggetto porta l’interesse proprio e quello altrui, ciò che comporta, di regola, l’invalidità del contratto eventualmente concluso dallo stesso”; così CECCHINI (1977), p. 137 ss.

51 La causa è uno degli istituti più problematici e discussi del diritto privato tradizionale. Come richiama CARRESI (1987),p. 245 ss., la teoria della causa originariamente vista come funzione economico-sociale del contratto è stata nel tempo oggetto di decise critiche in merito alla sua consistenza e soprattutto alla sua utilità stessa. La linea di tendenza del processo di revisione della nozione di causa si è incentrato sulla considerazione della dimensione “individuale” del precetto di autonomia e pertanto sulla rilevanza degli scopi perseguito in concreto dai contraenti; in questa prospettiva la causa è vista come funzione economico-individuale del contratto; tra i primissimi sostenitori di questa teoria v. GIORGIANNI (1960), p. 573 ss.. Da ultimo, una recente sentenza della Cassazione (Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, in Studium Iuris, 2006, p. 1457 ss., ha riconosciuto nella causa del contratto non la “funzione economico sociale del contratto”, bensì la sintesi degli “interessi reali” che esso è diretto a realizzare (e non della volontà delle parti), a prescindere dal modello contrattuale utilizzato. La causa rappresenta secondo questo orientamento la ragione concreta della dinamica contrattuale, ossia la funzione economico-individuale del contratto.

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Questo aspetto è stato opportunamente precisato da MAFFEIS (2005), che osserva come nel rapporto con il cliente, la banca opera ai sensi di un contratto riconducibile al genere dei rapporti di cooperazione e di sostituzione. Non si è in presenza di una causa vendendi, bensì di una causa mandati, per cui una parte è chiamata a realizzare gli interessi dell’altra. L’importanza di inquadrare la problematica del conflitto di interessi nell’ambito dei rapporti di cooperazione (ossia fiduciari), distinguendoli da quelli di compravendita è molto chiara anche nella letteratura americana, v. per tutti AA. VV. (1980), p. 5.

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Come osserva FICI (1997), p. 281, il conflitto di interessi è stato un fenomeno scarsamente studiato relativamente ai suoi aspetti interni: la dottrina ha considerato attentamente la disciplina della rappresentanza volontaria ex art. 1394 c.c. e dunque il tema dell’annullabilità del contratto concluso con il terzo, ma si è poco interessata ai rapporti tra conflitto di interessi ed inadempimento, agli effetti del conflitto sul rapporto sottostante e ai possibili modi di prevenire il conflitto. Una compiuta ricostruzione del conflitto di interessi nel contratto del rappresentante volontario è in MAFFEIS (2002), p. 75 e ss., dove si ripercorrono criticamente le varie posizioni dottrinali che hanno ricondotto il conflitto di interessi ad un vizio del consenso del rappresentante, ad un vizio della causa del contratto con il terzo, ad un’azione intenzionalmente dannosa (ossia come abuso e sviamento di potere). L’Autore ricostruisce il conflitto ex art. 1394 c.c. come causa di annullabilità del contratto rappresentativo con il terzo in ragione dell’incidenza sul contratto di un interesse in conflitto (v. p, 137), con esclusione della rilevanza del dolo o della colpa del rappresentante. Questa ricostruzione attiene al rapporto esterno: l’agire nell’interesse del rappresentato costituisce un requisito di validità del contratto concluso con il terzo. Vi è però un altro aspetto del conflitto, quello interno, relativo al rapporto tra rappresentante e rappresentato, che si svolge non sul piano della validità, bensì su quello della responsabilità (v. p. 138). L’Autore, infine, riconosce che il modello disciplinare abbracciato per la gestione individuale di patrimoni è diverso da quello codicistico, in quanto è: “figlia della nozione, non strettamente

del contratto diventa in questa prospettiva un concetto chiave nello stabilire che cosa costituisce conflitto, in quanto aiuta a delinearne i contorni – si potrebbe dire - “per sottrazione”: l’elemento che dà origine al conflitto è quell’interesse individuale (in economia: quell’utilità attesa) che non risulta riflesso nella causa e che può incidere sulla corretta e puntuale esecuzione del contratto (in economia: che incentiva un comportamento opportunistico).

Questa caratterizzazione del conflitto sembra trovare riscontro nella nostra giurisprudenza, che ha escluso la presenza di un conflitto rilevante ai sensi della normativa del settore mobiliare nel caso in cui il solo interesse dell’intermediario è quello di lucrare le commissioni remunerative di un servizio prestato, in ciò ravvisando una situazione fisiologica alla base di qualunque contrattazione (aggiungo, un interesse riflesso nella causa)54. In mancanza di un interesse ultroneo e deviante rispetto a quello costitutivo del contratto, il conflitto dunque non è ravvisabile.

Volendo fornire un esempio di quanto sopra esposto, facciamo il caso di una banca universale che svolge attività creditizia nei confronti di società quotate e contemporaneamente fornisce servizi di consulenza finanziaria in favore di un cliente. In questa ipotesi, il cliente che contratta con la banca universale può beneficiare della superiorità informativa goduta da quella rispetto ad altri intermediari specializzati, superiorità dovuta alla disponibilità di informazioni di carattere intersettoriale sui titoli emessi dalle società finanziate nei quali il cliente potrebbe essere interessato ad investire. Inoltre, la banca è in grado di fornire il servizio ad un costo inferiore, considerate le economie di scala e di scopo che riuscirebbe a sfruttare rispetto ad un operatore specializzato. Da parte sua, la banca valuta conveniente agire nell’interesse del proprio cliente perché è dalla prestazione del servizio a questi che potrà ricavare non solo la commissione, ossia l’utile associato allo specifico accordo, ma anche guadagnarsi la fiducia del

del contratto con il terzo, ma della predisposizione di una serie di precauzioni rivolte, per un’esigenza di ordine pubblico, ad assicurare l’efficienza del mercato, prima che la tutela del singolo cliente (v. p. 481). Pertanto, nel settore mobiliare l’incidenza del conflitto di interessi sul rapporto tra intermediario e cliente è rilevante non tanto ai fini di una migliore tutela della parte debole del rapporto, quanto per garantire il corretto funzionamento e lo sviluppo dei mercati mobiliari (in questo senso anche ENRIQUES (1995) p. 316, ALPA (1998-II), p. 372 e FICI (1997), p. 282). Sulla dialettica tra efficienza del mercato e tutela del contraente debole v. anche PERRONE (2006), p. 375 e ss.

54

V. Tribunale di Venezia, sez II, sent. N. 2654 del 22 novembre 2004, con commento di MAFFEIS (2005), v. in particolare la p. 15. Il tribunale di Venezia tratta la questione in via meramente incidentale e di passaggio, a rimarcare che il perseguimento degli scopi istituzionali dell’ente creditizio non può, entro certi limiti, dare origine ad un’ipotesi di conflitto. Cfr. anche Trib. di Catania del 23 gennaio 2007, su www.ilcaso.it: “La

negoziazione in contropartita diretta non è di per sé sufficiente a far ritenere la sussistenza di un conflitto di interessi laddove la compravendita si sia perfezionata sulla base di un ordine conferito spontaneamente dal cliente e manchi la prova che si sia perfezionata su suggerimento o sollecitazione dell’intermediario diretta a perseguire scopi ulteriori e diversi dalla realizzazione dell’interesse del cliente.” La pronuncia ricalca altri

precedenti; cfr. Trib. di Mantova del 5 aprile www.ilcaso.it, cit. anche daGOBBO,SALODINI (2006), p. 27, nt. 94

risparmiatore in vista di future operazioni e, per questa via, una reputazione sul mercato e nuovi clienti. Trattasi di un caso di mero concorso di interessi, che permette alle parti la realizzazione di transazioni mutuamente vantaggiose attraverso lo strumento contrattuale.

La presenza di una pluralità di ruoli e di interessi che nell’esempio precedente si risolve in un risultato favorevole sia per il cliente che per l’intermediario può, in circostanze particolari, rivelare in concreto un conflitto quando l’intermediario abbia incentivi a comportarsi in modo opportunistico e a non rispettare gli accordi stipulati o omettere e falsificare le informazioni di cui è in possesso. Tale situazione si presenta tipicamente nel caso in cui i benefici attesi derivanti dalla violazione contrattuale sono superiori rispetto ai costi attesi. Questa valutazione prospettica che conduce la banca a giudicare economico un comportamento sleale è indotta dalla presenza di un interesse dell’intermediario ulteriore rispetto a quello di lucrare dal cliente quanto concordato nel contratto a fronte della prestazione di un servizio, interesse che potrebbe concretarsi, ad esempio, in quello alla restituzione del finanziamento dall’emittente che versi in una situazione di difficoltà economica.

L’opportunismo può inoltre essere favorito da un’altra serie di fattori esterni, che potremmo dire ambientali, ossia che dipendono dal grado di concorrenza del mercato e dal generale contesto in cui l’intermediario opera in un dato momento.55 Può incidere, ad esempio, la circostanza che ad un certo punto la profittabilità dei servizi si è ridotta e c’è esigenza di far quadrare i conti, ovvero che il mercato azionario è in boom e l’intermediario è consapevole che i risparmiatori sono meno avversi al rischio, o ancora che i costi di switching da un intermediario ad un altro sono elevati, per cui è oneroso per il cliente cambiare intermediario, oppure che gli schemi di compensazione dei dipendenti adottati dalla banca sono basati seccamente sulla performance, con eccessiva attenzione ai risultati di breve di un determinato dipartimento, o infine che l’investitore non è in grado di valutare la presenza del conflitto e l’intermediario sia indotto ad approfittarne56.

Un ulteriore profilo di rilievo è che, dato il rapporto economico che si instaura tra intermediario e cliente, il rischio che il conflitto venga sfruttato con sacrificio dell’interesse dell’investitore è tanto più forte quanto più l’intermediario

55

Cfr. AA. VV. (1980), p. 13.

56

è in condizione di poter agire in modo discrezionale57. A ben vedere, la discrezionalità dell’agente nel determinare le modalità di esecuzione dell’incarico è caratteristica essenziale di tutte le relazioni fiduciarie. Il cliente, infatti, ricorre all’intermediario proprio perché fa affidamento nella capacità professionale di questi, nell’abilità della controparte a scegliere tra le varie possibili operazioni quella più utile al proprio interesse58. Tuttavia, il grado di discrezionalità e la capacità dell’intermediario di influire sulla selezione degli investimenti che incidono sul patrimonio del cliente può essere maggiore o minore a seconda del servizio prestato. Pertanto, il rischio è massimo nella gestione dei portafogli di investimento, ma si presenta con gradazioni differenti anche nella prestazione di “consulenza incidentale” nei servizi di negoziazione per conto proprio e per conto terzi e nella ricezione e trasmissione di ordini59.

Il grado di discrezionalità dell’intermediario non è solo funzione del tipo di servizio prestato, ma è inversamente correlato anche al livello di preparazione finanziaria del risparmiatore, alla sua capacità di monitorare il comportamento dell’agente e riconoscere i conflitti. Di fatti, tanto più il cliente è permeabile al consiglio “interessato” o è incapace di giudicare una gestione influenzata dalla presenza di conflitti quanto più l’asimmetria informativa e la capacità dell’intermediario di incidere sulle scelte di investimento è elevata. Ne consegue che è proprio l’investitore meno sofisticato a fare maggiore affidamento sulla professionalità dell’intermediario e ad essere più vulnerabile ai conflitti di interesse60. Di ciò deve evidentemente tenere conto il legislatore nel dettare regole di prevenzione dello sfruttamento dei conflitti e quelle di diligenza e correttezza nella prestazione dei servizi.

Per altro verso, i costi attesi dall’intermediario a fronte dello sfruttamento del conflitto costituiscono disincentivi al comportamento infedele. Tali costi si collegano all’eventuale interruzione del rapporto contrattuale in corso con il cliente e alla conseguente perdita del flusso di rendite ottenibili da quella relazione (c.d. enforcement interno bilaterale), ad una perdita della reputazione goduta sul mercato, che riduce la disponibilità di terzi ad intraprendere relazioni contrattuali con la banca in futuro (c.d. enforcement interno multilaterale), e infine all’eventuale applicazione di una sanzione (c.d. enforcement esterno)61.

57

Sartori (2004), p. 304, parla di: “rapporto di proporzionalità diretta tra discrezionalità in capo

all’intermediario e rischi che quest’ultimo ponga in essere comportamenti opportunistici, nel disprezzo della fiducia ripostagli dal cliente”.

58 Cfr. FICI (1997), pp. 296-297. 59 Cfr. STESURI (1999), p. 208. 60 Cfr. RABITTI (1990), p. 127. 61

Resta inteso che alla base del buon funzionamento dei predetti meccanismi vi è la circostanza che i clienti della banca siano in condizione di osservare il comportamento della controparte, che sappiano interpretarlo e che abbiano interesse ad attivare la successiva fase sanzionatoria. Considerata la già menzionata apatia

La distinzione tra la situazione di conflitto e quella di concorso, necessaria sotto un profilo logico ed utile al legislatore per comprendere le dinamiche del fenomeno, diventa labile se ci si pone da un punto di vista ex ante. Essa non può essere stabilita a priori, in quanto dipende da valutazioni prospettiche compiute dal singolo intermediario in un dato momento ed in presenza di peculiari circostanze esterne. Pertanto, un legislatore che intenda disincentivare comportamenti opportunistici ponendosi in una prospettiva ex ante deve adottare una nozione ampia di conflitto di interessi, che valga a comprendere anche il concorso potenzialmente conflittuale62.

In quest’ottica, l’effetto di deterrenza può essere ottenuto rendendo lo sfruttamento del conflitto una scelta antieconomica per l’agente. Tale risultato richiede l’adozione di un regime di trasparenza dei conflitti che faciliti un monitoraggio decentrato dell’attività degli intermediari, la pubblicità di eventuali comportamenti riprovevoli che contribuiscano al corretto operare dei meccanismi reputazionali e l’applicazione di una sanzione di ammontare tale non solo da internalizzare quanto abusivamente scaricato sul mercato, ma da rendere sconveniente in una logica di calcolo dei costi-benefici il compimento del comportamento opportunistico63.

Infine, è bene sottolineare che da un punto di vista economico ciò che devia

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 89-96)

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