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Segue. Le misure organizzative e procedurali interne previste dalla previgente regolamentazione secondaria

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 146-153)

3. La disciplina italiana del conflitto di interessi precedentemente il recepimento della Direttiva MiFID

3.3 Segue. Le misure organizzative e procedurali interne previste dalla previgente regolamentazione secondaria

Per quanto riguarda gli strumenti preventivi di tipo organizzativo diretti alla gestione del conflitto, si è detto che lo spirito dei Principi IOSCO è di lasciare un ampio margine di discrezionalità agli intermediari in merito alla scelta delle modalità attraverso cui strutturarsi. Lo IOSCO riporta, peraltro, a titolo esemplificativo una serie di possibili soluzioni a seconda dell’intermediario, del tipo di business, delle dimensioni e contesto operativo di riferimento che, in generale, privilegiano il ruolo delle funzioni di compliance e di controllo interno e la responsabilizzazione delle persone fisiche coinvolte nella gestione del conflitto. Precedentemente l’attuazione della MiFID, il legislatore italiano sembrava per un verso condividere questo approccio regolamentare, dal momento che aveva abbandonato l’impostazione bastata sull’imposizione della separazione tra tutte le varie attività svolte dall’intermediario. L’art. 21 del TUF si limitava, come si è detto, a stabilire l’obbligo di risultato di “ridurre al minimo il rischio di conflitto”, in ciò riconoscendo che il conflitto è insito al profilo di polifunzionalità degli intermediari.

Nonostante la norma primaria lasciasse notevole libertà alle Autorità di Vigilanza nell’individuare possibili modelli organizzativi per la gestione del conflitto, l’unico presidio a questi fini contemplato dalla Consob era stato, in ossequio alla trascorsa disciplina, quello della separazione di attività attraverso l’innalzamento di barriere per limitare la circolazione delle informazioni all’interno dell’intermediario (c.d. muraglie cinesi, chinese walls)204. La

203

Cfr. VISENTINI (2002), p. 473; interessante e condivisibile la posizione di FICI (1997), pp. 317-319, secondo cui dal dovere di trasparenza dovrebbe derivare un obbligo per l’intermediario di informare il cliente affinché questi possa scegliere di impedire (che è cosa diversa dall’autorizzare) l’operazione ed utilizzare l’informazione per un più attento controllo ex post dell’operare della controparte. Diversamente ENRIQUES

(1996), nella vigenza della passata disciplina, considerava il meccanismo dell’informazione-autorizzazione lo strumento con cui l’intermediario potesse precostituirsi la prova della propria diligenza contro pretestuose azioni di risarcimento del danno da parte della clientela (v. p.p. 661-662). In ricerche più recenti l’Autore ha tuttavia evidenziato come la letteratura economica, nella fattispecie gli studi teorici ed empirici di CAIN, LOWENSTEIN E MOORE (2005), abbiano evidenziato una serie di effetti perversi che la trasparenza delle situazioni di conflitto può comportare in presenza di una pervasiva asimmetria informativa, come è nel rapporto tra intermediario e cliente.

204

Come già considerato in nt. 141, la separazione organizzativa è una misura che trova anch’essa origine negli ordinamenti di common law, come modalità per impedire all’intermediario di sfruttare informazioni di cui dispone a causa dello svolgimento di altre attività, assicurandone la riservatezza. La separazione organizzativa si sostanzia nell’istituzione, per ciascuna attività soggetta a separazione, di un’apposita struttura

disposizione era contenuta all’art. 56, comma 3, del Regolamento Intermediari emanato dalla Consob, ai sensi del quale gli intermediari autorizzati dovevano, anche al fine di ridurre al minimo le situazioni di conflitto, adottare procedure interne idonee ad impedire lo scambio di informazioni fra i settori della gestione individuale di portafogli e gli altri servizi di investimento, nonché dalle altre attività svolte dall’intermediario (ad eccezione della consulenza)205.

Per un verso, la disciplina Consob non si risolveva un vero e proprio ritorno al passato, poiché, a differenza del precedente regime dove il presidio era imposto in una forma estremamente analitica e pervasiva e con riferimento a tutte le attività poste in essere dall’intermediario206, l’utilizzo delle muraglie cinesi era stato decisamente ridimensionato e limitato alle sole “interferenze tra il servizio di gestione su base individuale e gli altri servizi di investimento”207.

D’altra parte, restava il fatto che successivamente agli scandali finanziari il presidio aveva rivelato tutta la sua intrinseca insufficienza nella prevenzione dello sfruttamento del conflitto, in quanto le barriere informative – come evidenziato dal Prof. Spaventa nel suo intervento tenutosi nel corso della seduta innanzi alla VI Commissione Finanze successivamente al caso Enron – “non resistono alle pressioni (interne) generate dalle prospettive di ingenti guadagni”208. D’altronde, il presidio dei chinese walls era nato negli Stati Uniti come strumento per impedire fenomeni di abuso di mercato e non come rimedio al problema del conflitto di interessi209. Solo con l’introduzione del Serbanes Oxley Act del 2002

separata ed autonoma, al cui apice è preposto un soggetto responsabile, indipendenti dagli altri settori e dotato di poteri ed autonomia sufficienti per gestire il servizio. I soggetti sovraordinati al responsabile si collocano al di sopra delle mura; in altre parole, i componenti del consiglio di amministrazione, non rientrando nella previsione di strutture separate, dovrebbero mantenere piena responsabilità per l’operato dell’intermediario, in quanto tra di essi le informazioni circolano liberamente allo scopo di assicurare l’unitarietà e l’efficienza dell’amministrazione; cfr. GIANNI (2002-II), p.p. 239-240 ed ENRIQUES (1996), p. 673.

205

Il Regolamento Intermediari rimanda a tale riguardo alle norme emanate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 6(1)(a) del TUF. Le disposizioni sono raccolte nel Regolamento Banca d’Italia del 4 agosto 2000 in materia di intermediari del mercato mobiliare; tali norme sono applicabili anche alle banche che prestino servizi di investimento. Ai sensi di tale Regolamento della Banca d’Italia, gli intermediari devono adottare regole amministrative tali per cui: (a) gli addetti al servizio di gestione operino in modo indipendente e senza vincoli di subordinazione rispetto agli altri settori aziendali; (b) il servizio di gestione non sia posto in posizione di subordinazione – in termini di autonomia funzionale, decisionale ed operativa – rispetto alle altre strutture aziendali, comprese quelle previste per l’esercizio di altri servizi di investimento; (c) i rapporti tra il servizio di gestione e gli altri servizi devono prendere avvio ad esclusiva iniziativa e sotto la responsabilità del primo; (d) deve vigere una separatezza contabile e gli archivi, anche elettronici, della struttura di gestione devono essere protetti per evitare l’accesso di operatori appartenenti ad altri settori, le operazioni mobiliari concluse tra la struttura addetta al servizio di gestione e le altre strutture aziendali devono trovare evidenza in specifiche rilevazioni interne).

206

Critiche a quell’impostazione sono in ANNUNZIATA (1993), pp. 350-351.

207

Così MIOLA (2002), p. 173.

208

Il resoconto stenografico della seduta è disponibile sul sito internet della Camera dei Deputati: www.camera.it.

209

Fu la SEC nel 1968 ad ordinarne l’introduzione a Merrill Lynch in un caso di tipping, v. In re Merrill

la SEC ha prescritto l’utilizzo di barriere informative espressamente al fine di prevenire i conflitti di interesse, particolarmente con riferimento alla figura degli analisti finanziari, dove il problema informativo è prevalente210.

Inoltre, tra gli inconvenienti di questo tipo di presidio vi è il rischio che i responsabili del business sfruttino la separazione organizzativa per esonerarsi da responsabilità nei confronti del cliente, sostenendo di non essere stato in grado di valutare la presenza di un conflitto proprio per il dispiego delle barriere informative.211 Per queste ragioni i chinese walls non possono considerarsi la miracolosa soluzione al problema dell’insorgere dei conflitti di interesse, ma – se correttamente inquadrati secondo le linee guida fornite in sede internazionale – essi possono senz’altro rappresentare uno dei tanti istituti che un intermediario può adottare al fine di gestire i conflitti di interesse.

In aggiunta alle muraglie, si è detto che lo IOSCO assegna un compito primario nella prevenzione dello sfruttamento dei conflitti alla funzione di compliance e alla governance. Nella disciplina mobiliare italiana precedente l’attuazione della MiFID questo profilo era alquanto svalutato. L’art. 27(1) del Regolamento Intermediari richiedeva all’intermediario di vigilare per l’individuazione dei conflitti, senza imporre l’adozione di specifici presidi. L’unica norma che si occupava dell’organizzazione interna come strumento di gestione del conflitto era l’art. 57.3(e) del Regolamento Intermediari. La norma si limitava tuttavia ad un timido riferimento alla questione, assegnando alla funzione di controllo interno un ruolo meramente consultivo e di supporto, anziché una vera e propria responsabilità in materia212. Di conseguenza, la normativa italiana non imponeva l’istituzione di un’apposita funzione o di particolari procedure dedicate ad un più pieno monitoraggio del conflitto, come già raccomandavano invece gli standard internazionali213.

le barriere informative possono addirittura porsi come ostacolo al perseguimento del miglior interesse del cliente; eGORMAN (2004),p. 483 ss., che descrive vantaggi e svantaggi delle muraglie cinesi.

210

Cfr.GORMAN (2004),p. 475 e 484 ss.

211

Cfr. RABITTI BEDOGNI (2002), p. 143, e FICI (1997), p. 323.

212 Si tratta in ogni caso di indicazioni minimali obbligatorie, in quanto ciascun intermediario può attribuire al controllo interno ulteriori compiti, nei limiti in cui non ne venga snaturata la funzione (cfr. comunicazione DIN/99034839 del 4 maggio 1999). In generale, la Consob ha ritenuto opportuno lasciare un ampio margine di discrezionalità agli intermediari circa l’individuazione delle procedure dirette a minimizzare il rischio di conflitto di interessi: l’art. 56 del Regolamento Intermediari si limita, infatti, a indicare gli obiettivi da raggiungere. Cfr.SARTORI (2004), p. 312.

213

L’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni erano regolamentati dalla Banca d’Italia e compendiati nel Titolo II, Capitolo 2 delle Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari del Mercato Mobiliare, applicabili al tempo sia alle SIM che alle banche che prestano servizi di investimento (v. par. 2.3 della Premessa). Le Istruzioni richievano che le strutture di controllo interno fossero autonome da quelle operative e competenti a verificare il rispetto della normativa (sia per conto proprio che per conto degli investitori) inclusa la conformità alle regole di comportamento nei confronti della clientela. Inoltre, ai sensi dell’art. 57(2) del Regolamento Intermediari: “la funzione di controllo interno è assegnata ad apposito responsabile

A completare il quadro intervenivano ulteriori regole adottate a livello di autoregolamentazione, su iniziativa dell’ABI e dell’ASSOSIM, le quali hanno emanato ciascuna un codice di comportamento destinanti all’osservanza da parte dei rispettivi associati214. Era lo stesso Regolamento Intermediari a riconosce il ruolo di autonormazione delle associazioni di categoria, disponendo all’art. 58 che gli intermediari: “adottano e rispettano un codice interno di autodisciplina, anche rinviando a quelli adottati da associazioni di categoria in riferimento ai servizi esercitati”215. Inoltre, ai sensi del secondo comma dell’art. 58, gli intermediari erano tenuti a rispettare i codici di autodisciplina adottati dalle associazioni di categoria alle quali aderivano.

In forza di questo rinvio effettuato dalla Consob, i codici di condotta assumevano un’efficacia rafforzata: la mancata adozione o il mancato rispetto degli stessi sarebbe stato passibile di sanzione amministrativa ex art. 190 del TUF (v. infra)216. Essi svolgevano dunque una vera e propria funzione integrativa rispetto alla regolamentazione secondaria adottata dalla Consob in tema di organizzazione interna.

svolge la propria attività in modo autonomo e indipendente e riferisce degli esiti dell' attività con obiettività e imparzialità.”

214

Con l’espressione “codici di comportamento” si descrive in genere un insieme di regole comportamentali che disciplinano un determinato ambito di attività e che sono state adottate volontariamente dai soggetti a cui si rivolgono. Il codice di autodisciplina ABI ha, rispetto alla suesposta definizione in uso, un’efficacia rafforzata, in quanto è richiamato da una norma dello Statuto dell’associazione (l’art. 4), con l’effetto che all’atto di associarsi all’ABI, la banca si vincola automaticamente anche al rispetto del codice di autoregolamentazione ed ogni violazione di questo viene considerato alla stregua di una violazione dello Statuto, con conseguente irrogazione da parte dell’associazione delle sanzioni disciplinari. Il codice ASSOSIM si adotta su base volontaria; all’associazione è demandato il compito di promuoverne la diffusione tra i propri iscritti, nonché l’attuazione (v. art. 6.2 del codice), anche attraverso l’applicazione di sanzioni disciplinari (v. art. 6.3 del codice). Pur rappresentando un’elaborazione di regole di fonte tipicamente privatistica, i codici di autodisciplina rivestono una rilevanza anche nei confronti di terzi. Come riconosciuto espressamene nella premessa del codice ASSOSIM, l’inosservanza del codice è considerata una violazione dei principi deontologici e ai doveri di correttezza nei confronti dei clienti, del mercato e degli altri operatori di mercato; da essa può derivare l’applicazione di sanzioni disciplinari. La procedura può essere attivata anche a seguito di un reclamo da parte del cliente. Su un piano più strettamente giuridico, la giurisprudenza ha a poco a poco evidenziato per i codici di condotta un’attitudine ad integrare l’espressione negoziale (art. 1374 c.c.), ovvero a definire nel caso concreto la portata di clausole generali, quali la diligenza professionale, la lealtà, la correttezza e buona fede; cfr. da ultimo BRUTTI (2007).

215

L’art. 58 del Regolamento Intermediari continuava come segue: “Detto codice, in linea con quanto

previsto dal Testo Unico definisce le regole di comportamento dei componenti gli organi amministrativi e di controllo, dei dipendenti, dei promotori finanziari e dei collaboratori con riferimento, almeno: a) all'obbligo di riservatezza sulle informazioni di carattere confidenziale acquisite dagli investitori o di cui comunque dispongano in ragione della propria funzione; b) alle procedure stabilite per compiere per conto proprio operazioni aventi a oggetto strumenti finanziari; c) alle procedure concernenti i rapporti con gli investitori che intendano avvalersi di procuratori o incaricati ai fini della stipulazione dei contratti o dell'effettuazione di operazioni, se questi sono amministratori, sindaci, dipendenti, collaboratori e promotori finanziari degli intermediari stessi; d) al divieto di ricevere utilità da terzi che possano indurre a tenere comportamenti in contrasto con gli interessi degli investitori o del soggetto per conto del quale operano.”

216

Così SARTORI (2004), pp. 141-142, il quale inoltre osserva che attribuire valore normativo alle pratiche imprenditoriali è efficiente, in quanto gli operatori si trovano nella miglior posizione per ottenere informazioni precise sulle attività svolte e sul mercato.

Il contenuto dei codici di autoregolamentazione, tuttavia, è di carattere meramente generico e minimale, come riconosciuto nelle loro stesse premesse che chiariscono come volutamente l’autoregolamentazione si limita a definire alcuni principi base, il cui rispetto da parte degli intermediari autorizzati associati è stato ritenuto inderogabile. Nei codici vengono infatti trattati solo aspetti parziali della problematica della prevenzione del conflitto di interessi, il più delle volte senza entrare nel dettaglio dei presidi da istituire. Le previsioni ivi contenute non sono pertanto sufficientemente stringenti da potersi considerare in linea con le raccomandazioni internazionali.

In particolare, per quanto concerne il codice ABI, i divieti a compiere operazioni in conflitto si limitano al caso in cui l’interesse contrastante a quello del cliente sia uno personale del dipendente, amministratore, sindaco, direttore generale o collaboratore esterno dell'intermediario, mentre nessuna speciale procedura trova applicazione in ipotesi di contrasto tra interessi del cliente e della banca stessa.217 In materia di organizzazione interna, il codice prevede che gli intermediari istituiscano forme di controllo sulle operazioni effettuate dagli stessi nello svolgimento dei servizi di investimento (c.d. watch list), ma solo qualora entrino in possesso di informazioni confidenziali relative ad emittenti di strumenti finanziari quotati nello svolgimento di servizi di consulenza in materia di finanza di impresa. Il codice si limita poi a prevedere, senza fornire indicazioni neanche di massima, che “in casi particolari tali forme di controllo possono tradursi in restrizioni (c.d. restricted list) sull’attività svolta”218. Si prescrive inoltre la predisposizione di non meglio specificate misure per impedire – all’interno dell’intermediario e nell’ambito del gruppo di appartenenza – lo scambio di informazioni confidenziali tra la struttura addetta alla consulenza in materia di finanza d’impresa e le aree preposte allo svolgimento dei servizi d'investimento e dei servizi accessori219. Si forniscono criteri alquanto generici circa l’organizzazione della funzione di controllo interno, quali l’esperienza e la professionalità dei soggetti coinvolti, l’adeguatezza delle risorse, la pianificazione dei controlli in base ai rischi aziendali e la loro documentazione, la tempestiva informazione dei responsabili delle strutture220. Infine, si migliora la trasparenza

217

Cfr. art. 1.2 (Operazioni personali) del codice ABI. In presenza di un interesse personale in conflitto con quello dell'investitore, il dipendente, l’amministratore, il sindaco ecc. deve dare notizia del conflitto ai propri responsabili, i quali valutano l’opportunità di sollevare lo stesso dallo specifico incarico.

218

Cfr. art. 2.2 (Controlli e restrizioni sulle attività).

219

Cfr. art. 2.3 (Servizi Accessori).

220

L’art. 2.4. del codice ABI legge: “Gli intermediari si dotano di una funzione di controllo interno che

opera secondo adeguati standards professionali. In particolare e ferma l'integrale osservanza dalla regolamentazione vigente essi si assicurano che: a) coloro ai quali vengono attribuiti i compiti di controllo interno dispongano di adeguata esperienza e professionalità; b) la funzione di controllo interno operi con risorse e strumenti adeguati ai volumi ed alla complessità dell'attività da assoggettare a controllo; c) le attività di controllo vengano pianificate regolarmente, indirizzate verso le aree caratterizzate da maggior rischio aziendale e svolte con la massima cura e diligenza; d) le attività di controllo vengano adeguatamente

nei confronti degli investitori prevedendo gli obblighi di informazione circa gli accordi di retrocessione conclusi sia dall’intermediario, che da altra impresa del gruppo, che comportino l’impegno a raggiungere un determinato volume d’affari221.

Il codice ASSOSIM contiene una disciplina del conflitto relativamente più dettagliata, sebbene pur sempre parziale, sia per quanto concerne la predisposizione delle procedure interne in occasione di operazioni per conto proprio da parte di dipendenti della SIM (v. art. 2.2), che in tema di trasparenza delle remunerazioni (art. 3.1) e della struttura proprietaria del gruppo di appartenenza (art. 3.2). Si prevedono divieti a carico dei dipendenti di accettare omaggi di valore tale da determinare un conflitto di interessi (v. art. 2.4 e 5.3), nonché di rivestire cariche in altre società, salvo autorizzazione o ratifica da parte del C.d.A. o altro organo deliberante (art. 2.5). Il codice specifica inoltre le regole volte a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento della clientela (art. 5.1)222.

Una novità di rilievo introdotta precedentemente l’attuazione della MiFID in materia di organizzazione interna degli enti creditizi è stata il provvedimento Banca d’Italia n. 688006 del 10 luglio 2007 contenente disposizioni di vigilanza sulla funzione di conformità (compliance). Il provvedimento ha stabilito per la prima volta nel nostro ordinamento principi specificatamente volti ad individuare compiti e finalità della funzione di compliance, ossia dei presidi organizzativi che l’intermediario bancario è chiamato ad istituire internamente in modo da garantire il rispetto di prescrizioni normative e di autoregolamentazione223. Sebbene il provvedimento trovi applicazione solo con riferimento allo svolgimento dell’attività bancaria e dunque non sia strettamente rilevante nel campo mobiliare, esso ha ricalcato le disposizioni di secondo livello in materia di organizzazione interna emanate in attuazione della MiFID (particolarmente l’art. 6 della direttiva 2006/73/CE) e, pertanto, in qualche modo ne ha anticipato la trasposizione.

documentate al fine di supportare gli esiti delle verifiche e le raccomandazioni fatte; e) i responsabili delle strutture vengano tempestivamente portati a conoscenza di eventuali problematiche da affrontare con riferimento alla normativa sui servizi di investimento.”

221

Cfr. art. 3.2 (Retrocessione di commissioni).

222

Si noti, in ogni caso, che il codice ASSOSIM riveste un peso ed un importanza decisamente più limitati rispetto a quello dell’ABI, in quanto esso si rivolge alle sole società di intermediazione mobiliare, ossia ad imprese specializzate: (i) per le quali la problematica del conflitto si presenta in termini di minore rischiosità rispetto alla banca universale, e comunque (ii) la cui presenza sul mercato italiano è in un numero decisamente più esiguo rispetto agli enti creditizi.

223

Si legge al par. 4 del provvedimento che compito specifico della funzione è di “verificare che le procedure

interne siano coerenti con l’obiettivo di prevenire la violazione di norme di eteroregolamentazione (leggi e regolamenti) e di autoregolamentazione (codici di condotta, codici etici) applicabili alla banca”.

Tra gli aspetti che meritano menzione si segnala la definizione del rischio di non conformità alle norme, consistente nel rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni alla reputazione in conseguenza di una violazione normativa (v. par. 2). Si precisa inoltre che, in via generale, tra le disposizioni più rilevanti per la valutazione del rischio di non conformità vi è quella sulla gestione dei conflitti, che diviene quindi uno dei principali profili sulla cui corretta applicazione la funzione di compliance deve vigilare. In effetti, il provvedimento assegna alla funzione di conformità uno specifico compito di monitoraggio ai fini della prevenzione e gestione dei conflitti di interesse sia tra le diverse attività svolte dalla banca, che con riferimento ai dipendenti ed agli esponenti aziendali.

La funzione deve essere permanente ed adeguata sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, oltre che tale da garantire professionalità ed indipendenza del monitoraggio; essa deve essere costituita dal C.d.A. (sentito il

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 146-153)

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