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L’insufficienza dell’apparato rimediale italiano

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 179-184)

5. Tecniche di repressione degli abusi: i rimedi successivi

5.3 L’insufficienza dell’apparato rimediale italiano

Nel mercato italiano mancano presidi analoghi a quelli sopra delineati, capaci di stimolare un maggior effetto deterrente.

Innanzitutto, come è noto, il nostro ordinamento non prevede per l’ipotesi di abuso da conflitto istituti analoghi al disgorgement of profits o ai punitive damage, in quanto il risarcimento è parametrato al danno emergente ed al lucro cessante, con finalità esclusivamente reintegrativa del patrimonio del danneggiato284. Inoltre, l’istituto dell’inversione dell’onere della prova contemplato all’art. 23, co. 6, del TUF, si limita a prevedere che nei giudizi di risarcimento del danno cagionato ai clienti spetta all’intermediario “(..)la prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. La disposizione non sembrerebbe trovare applicazione rispetto al nesso di causalità, né in giudizi diversi da quelli per il risarcimento del danno. I punti sono allo stato ancora oggetto di aspro dibattito e duole prendere atto che la più recente giurisprudenza sembra aver preso posizione nel senso di richiedere all’attore la dimostrazione alquanto rigorosa del nesso eziologico285. Tuttavia, in ipotesi di violazioni delle norme sul conflitto di

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La procedura della class action è modellata sulla Federal Rule of Civil Procedure 23, introdotta nel 1938 e modificata nel 1966. L’esito della class action è vincolante solo per la classe e fermo restando il diritto del singolo di esserne escluso. Una volta certificata la classe ogni transazione, rinuncia volontaria o compromesso che vincolerebbe tutti i membri è sottoposto al vaglio del giudice che ne valuta l’equità, la ragionevolezza e l’adeguatezza; la transazione dà diritto a ciascun membro di dissociarsi; cfr. SEGATO (2006), p. 441. Sulla securities class action per frode v. anche par. 5.3 (particolarmente nt. 168) del Cap. I e par. 2.1

supra. Il tema è ripreso anche nel Cap. IV.

284 Sull’assenza di un principio generale di restituzione dell’arricchimento in caso di inadempimento e sull’estraneità ad esso della disciplina prevista all’art. 1713 c.c. v. FICI (1997), p. 338 ss. e SARTORI (2004), pp. 390-391; contra DE LORENZI (1993), p. 338. Per quanto ci consta, non si registrano casi giurisprudenziali in cui il rimedio previsto per l’ingiusto arricchimento è applicato.

285

Cfr. Trib. Milano, 10 gennaio 2007: “L’investitore che alleghi l’esistenza di un conflitto di interessi

dell’intermediario, deve dimostrare i seguenti profili incidenti sul nesso causale, tra loro strettamente correlati: a) che la corretta spiegazione circa il conflitto di interesse l’avrebbe distolto dall’operazione de qua ; b) che tale operazione, effettuata in conflitto di interesse, gli ha procurato un danno collegato, appunto, alla specifica condizione della banca”; e Appello Brescia 10 gennaio 2007: “Spetta all’investitore che lo deduca l’onere di provare l’esistenza del conflitto di interessi nell’operato dell’intermediario poiché nella fattispecie non è invocabile la regola dell’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 23 del d. lgs. N. 58/1998. Gli artt. 23 e 27 del d. lgs. cit. riguardano due diverse azioni (l’una, l’azione di risarcimento dei danni, l’altra, l’azione di annullamento) e sono poste a tutela di diversi interessi giuridici: non è quindi corretto invocare per l’azione di annullamento di cui all’art. 27 l’onere probatorio gravante

interessi e particolarmente degli obblighi di informazione previsti a tale riguardo la prova del rapporto causale è particolarmente ardua da fornire in quanto, come è stato osservato: “presuppone un indagine di tipo ipotetico occorre dimostrare che qualora il cliente fosse stato adeguatamente informato non avrebbe effettuato l’investimento”286.

Dunque, il sistema sanzionatorio privatistico e processuale nostrano non sembra presentare strumenti atti ad aumentare la probabilità che la sanzione privata venga applicata, circostanza che incrementa ulteriormente la convenienza per l’intermediario dell’abuso. Onde porre rimedio a questo vuoto di deterrenza, sarebbe auspicabile, oltre che superare le strettoie interpretative sulla distribuzione dell’onere probatorio suesposte, introdurre anche nel nostro paese rimedi collettivi funzionalmente equivalenti alla class action di stampo statunitense. Il 16 novembre 2007 è stato approvato in Senato un progetto di legge, fermo dal 2004, che introdurrà l’azione collettiva risarcitoria nel nostro paese attraverso l’introduzione dell’art. 140 bis al Codice del Consumo287. La disposizione – pur

sull’intermediario per le azioni risarcitorie.”; su www.ilcaso.it. La recente giurisprudenza ha probabilmente

reagito (in modo eccessivo) a pronunce apparse per certi versi troppo sbrigative in materia di causalità, in cui l’accertamento del requisito era pressoché omesso (cfr. Trb. Genova del 2 agosto 2005 e Trib. di Alba del 19 agosto 2005, cit. in DELLACASA (2006), p. 607).

286

Così DELLACASA (2006), p. 607, il quale correttamente afferma che pretendere dall’investitore una tale prova significherebbe vanificare l’inversione della regola probatoria prevista all’art. 23, co. 6 del TUF.

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Il testo della disposizione approvata è il seguente: “Art. 140-bis - (Azione collettiva risarcitoria). - 1. Le

associazioni dei consumatori e degli utenti di cui al comma 1 dell'articolo 139 e gli altri soggetti di cui al comma 2 del presente articolo, fermo restando il diritto del singolo cittadino di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi conformemente a quanto previsto dall'articolo 24 della Costituzione, possono richiedere singolarmente o collettivamente al tribunale del luogo ove ha la residenza il convenuto, la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione delle somme dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi nell'ambito di rapporti giuridici relativi a contratti cosiddetti per adesione, di cui all'articolo 1342 del Codice Civile, che all'utente non è dato contrattare e modificare, di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti anticoncorrenziali, messi in atto dalle società fornitrici di beni e servizi nazionali e locali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. - 2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentite le competenti Commissioni parlamentari, sono individuate le ulteriori associazioni di consumatori, investitori e gli altri soggetti portatori di interessi collettivi legittimati ad agire ai sensi del presente articolo. - 3. L'atto con cui il soggetto abilitato promuove l'azione collettiva di cui al comma 1 produce gli effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell'articolo 2945 del codice civile, anche con riferimento ai diritti di tutti i singoli consumatori o utenti conseguenti al medesimo fatto o violazione. - 4. Con la sentenza di condanna il giudice determina i criteri in base ai quali deve essere fissata la misura dell'importo da liquidare in favore dei singoli consumatori o utenti. - 5. In relazione alle controversie di cui al comma 1, davanti al giudice può altresì essere sottoscritto dalle parti un accordo transattivo nella forma della conciliazione giudiziale. - 6. La definizione del giudizio rende improcedibile ogni altra azione ai sensi del presente articolo nei confronti dei medesimi soggetti e per le medesime fattispecie. - 7. Contestualmente alla pubblicazione della sentenza di condanna di cui al comma 4 ovvero della dichiarazione di esecutività del verbale di conciliazione, il giudice, per la determinazione degli importi da liquidare ai singoli consumatori o utenti, costituisce presso lo stesso tribunale apposita Camera di Conciliazione, composta in modo paritario dai difensori dei proponenti l'azione di gruppo e del convenuto e nomina un conciliatore di provata esperienza professionale iscritto all'albo speciale per le giurisdizioni superiori che la presiede. A tale Camera di Conciliazione tutti i cittadini interessati possono ricorrere singolarmente o tramite delega alle associazioni di cui al comma 1. Essa definisce, con verbale sottoscritto dalle parti e dal presidente, i modi, i termini e l'ammontare per soddisfare i singoli consumatori o utenti nella loro potenziale pretesa. La sottoscrizione del verbale rende improcedibile l'azione dei singoli consumatori o utenti per il periodo di tempo stabilito dal verbale per l'esecuzione della prestazione dovuta. - 8. In caso di inutile esperimento della composizione di cui al comma 7, il singolo consumatore o utente può agire

rappresentando senza dubbio una svolta importante ai fini di una migliore tutela degli investitori – contempla un rimedio per molti versi insoddisfacente e destinato all’insuccesso, sia per il carattere estremamente farraginoso e poco chiaro della procedura, che per la limitata legittimazione soggettiva all’esercizio dell’azione. D’altronde, il rischio insito in questi trapianti giuridici è quello, più volta già delineato nel corso di questo lavoro, di non riuscire ad adattare istituti appartenenti a tradizioni lontane al contesto e al sistema che recepisce. Questo rischio è particolarmente forte per tutti quegli strumenti, come le azioni collettive, che si vanno ad innestare nelle tecnicalità processuali, notoriamente dotate di un maggior grado di vischiosità rispetto al diritto sostanziale. Considerate le proverbiali lungaggini dei processi in Italia e le difficoltà di coordinamento dei piccoli azionisti, nel nostro paese scarsamente propensi all’associazionismo, sarebbe stato opportuno strutturare l’azione collettiva secondo un modello procedurale decisamente più snello rispetto a quello attualmente riflesso nel disegno di legge approvato e prevedere una legittimazione individuale ad agire. Il tentativo di conciliazione avrebbe dovuto precedere e non seguire l’azione collettiva e il rischio di azioni temerarie avrebbe potuto essere ridotto attraverso l’azione di filtro del giudice, che avrebbe potuto essere chiamato a compiere un vaglio sull’ammissibilità dell’azione estesa ad una sommaria valutazione del merito288. Si auspica in ogni caso che in sede di attuazione il Ministero preveda soluzioni che facilitino l’esercizio dell’azione, legittimando ad esempio anche soggetti appositamente costituiti in un momento successivo alla commissione del fatto lesivo, a differenza di quanto occorre oggi in sede penale289.

giudizialmente, in contraddittorio, al fine di chiedere l'accertamento, in capo a se stesso, dei requisiti individuati dalla sentenza di condanna di cui al comma 4 e la determinazione precisa dell'ammontare del risarcimento dei danni riconosciuto ai sensi della medesima sentenza. - 9. La sentenza di condanna di cui al comma 4, unitamente all'accertamento della qualità di creditore ai sensi dei commi 7 e 8, costituisce ai sensi dell'articolo 634 del codice di procedura civile, titolo per la pronuncia da parte del giudice competente di ingiunzione di pagamento, richiesta dal singolo consumatore o utente, ai sensi degli articoli 633 e seguenti del medesimo codice di procedura civile. - 10. La sentenza di condanna di cui al comma 4, ovvero l'accordo transattivo di cui al comma 5 debbono essere opportunamente pubblicizzati a cura e spese della parte convenuta, onde consentire la dovuta informazione alla maggiore quantità di consumatori e utenti interessati. - 11. Nelle azioni collettive aventi ad oggetto prodotti o servizi venduti attraverso contratti conclusi secondo le modalità previste dall'articolo 1342 del codice civile, la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli, accertati dall'autorità competente, rende nulli i contratti nei confronti di tutti i singoli consumatori o utenti nel periodo di diffusione del messaggio stesso. La nullità può essere fatta valere solo dal promotore dell'azione di gruppo. - 12. In caso di soccombenza, anche parziale, del convenuto, lo stesso è condannato al pagamento delle spese legali. In ogni caso, il compenso dei difensori del promotore della azione collettiva non può superare l'importo massimo del 10 per cento del valore della controversia”. 288

Sull’introduzione della class action in Italia v. ABI (2007-I) e ASSONIME (2006), entrambi con interessanti indicazioni comparative; CAPPIELLO (2007);RESCIGNO (2005) e LENER (2005), p. 274 ss. il quale ben evidenzia i rischi di incorrere in una “crisi di rigetto” dell’istituto analoga alle esperienze di insuccesso già sperimentate con l’azione sociale di responsabilità promossa dalle minoranze e la sollecitazione delle deleghe di voto. Sui disegni di legge in discussione in Francia ed Austria, cfr. AA. VV. (2007).

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Cfr. art. 91 c.p.p. secondo cui: “Gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla

commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato”.

Passando ai profili di diritto pubblico, il TUF non contempla sanzioni specifiche per le ipotesi di conflitto di interessi, salvo la contravvenzione prevista all’art. 167 del TUF, limitata tuttavia agli abusi perpetrati nella prestazione dei soli servizi di gestione individuale o collettiva290. Trattasi in ogni caso di un reato di danno e di effettiva offesa (si richiede la lesione del patrimonio degli investitori) il cui elemento psicologico è integrato dal dolo specifico (l’intento di procurare un ingiusto profitto)291. L’aspetto che suscita più perplessità, insieme al ristretto ambito oggettivo di applicazione, è la mitezza de trattamento sanzionatorio rispetto al significativo disvalore della condotta (arresto da uno a tre anni oltre all’ammenda). Peraltro, è senz’altro inopportuna l’esclusione dalla categoria di reati societari rilevanti ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001 (prevista invece per gli abusi di mercato, cfr. art. art. 25 sexies)292.

Per tutto quanto concerne la sanzione amministrativa, l’abuso derivante dal conflitto di interessi non riceve alcuna connotazione autonoma. Al contrario, si assiste senza distinzioni ad un vero e proprio appiattimento dell’apparato rimediale su un livello quali-quantitativo alquanto basso ed insoddisfacente. In particolare, tutte le violazioni inerenti la disciplina degli intermediari e dei mercati sono colpite dall’art. 190 del TUF con una medesima sanzione pecuniaria, peraltro applicabile unicamente alle persone fisiche e con limiti minimi e massimi di ammontare non sufficientemente elevato (da € 2.500 a € 250.000).

Non vi è traccia di un rimedio simile al versamento dei profitti conseguiti, né di una responsabilità dell’intermediario persona giuridica, ossia del soggetto che di quei profitti va a beneficiare. L’art. 195, co. 9, del TUF si limita infatti a prevedere che “Le società e gli enti ai quali appartengono gli autori delle violazioni rispondono, in solido con questi, del pagamento della sanzione e delle spese di pubblicità previste dal secondo periodo del comma 3 e sono tenuti ad

290

L’art. 167 del TF, Gestione infedele legge: “Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi, nella

prestazione del servizio di gestione di portafogli o del servizio di gestione collettiva del risparmio, in violazione delle disposizioni regolanti i conflitti di interesse, pone in essere operazioni che arrecano danno agli investitori, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l' ammenda da lire dieci milioni a lire duecento milioni”. Come è stato osservato, la fattispecie –

introdotta ai sensi dell’art. 38 del decreto eurosim n. 415/96, segna l’ingresso per la prima volta nel sistema penale italiano della figura dell’infedeltà patrimoniale.

291

Sulla gestione infedele di portafogli di investimento cfr. BELLACOSA (2006), p. 88 ss., con amplie indicazioni bibliografiche, v. part. nt. 51, p. 93; DONATO (1998), p. 1531 ss. e LUCCARELLI (1998), p. 911 ss.

292

Ritiene insoddisfacente la sanzione penale anche SARTORI (2004), p. 392. Non ci sembra che alla situazione abbia posto rimedio l’introduzione del reato di infedeltà patrimoniale in rapporto ai beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi ex art. 2634, 2 co., c.c., in quanto oltre a prevedere una sanzione nel minimo persino inferiore a quella della fattispecie della contravvenzione, la norma nell’individuare il presupposto del reato rinvia al “fatto” previsto al comma 1, ossia al conflitto di interessi interno tra amministratore (o direttore/liquidatore) e la società di appartenenza, anziché a quello esterno tra società e terzi (risparmiatori/investitori). Non è chiaro pertanto se la disposizione potrà trovare interpretazione con riferimento al caso di conflitto tra intermediario e cliente oggetto del presente studio.

esercitare il diritto di regresso verso i responsabili”. Il regresso dunque è un vero e proprio obbligo a carico dell’intermediario che abbia pagato al posto del proprio dipendente. D’altronde, la stessa Consob ha da tempo espresso le proprie perplessità rispetto all’assenza di una responsabilità dell’ente293. Suona allora persino un paradossale l’affermazione che la MiFID “attribuisce agli intermediari la responsabilità di adottare specifiche misure organizzative idonee all’identificazione e alla successiva gestione delle situazioni di conflitto”294, quando in un ordinamento come il nostro questi sono immuni da qualsivoglia rischio di sanzione. Insomma, è innegabile l’assenza di un apparato repressivo in grado di indurre al rispetto di quelle precauzioni e di quei comportamenti che l’ordinamento impone al fine di impedire comportamenti abusivi.

Si noti come il legislatore è ben consapevole di questa gravissima lacuna del nostro diritto, considerato che, su pressione comunitaria, ha provveduto a modificare in sede di attuazione della Direttiva 2003/6 il sistema sanzionatorio applicabile alle ipotesi di abuso di mercato. Allo stato, le misure che colpiscono la manipolazione e l’abuso di informazioni privilegiate sono strutturate proprio in modo da meglio disincentivare il compimento delle condotte illegittime e prevedono a questi fini sia una responsabilità dell’ente (art. 187-quinquies), che minimi e massimi più elevati e addirittura la possibilità di aumentare “fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo”.

Niente di tutto questo è rintracciabile nel nostro sistema con riferimento al conflitto di interessi dell’intermediario mobiliare. Sotto il profilo della deterrenza l’unica novità degna di menzione è stato un intervento in sede di trasposizione della Direttiva 2003/6 (Legge 62/2005) teso ad aumentare, seppur timidamente, l’incidenza del fattore reputazionale, tradizionalmente molto scarsa nel nostro paese. In particolare, è stato modificato l’art. 195, co. 3, del TUF nel senso di aggiungere all’usuale pubblicazione del provvedimento di applicazione della sanzione per estratto sul Bollettino Consob o Banca d’Italia, una facoltà per dette autorità di “tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, (...) stabilire modalità ulteriori per dare pubblicità al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell' autore della violazione, ovvero escludere la

293

Cfr. “Indagine conoscitiva sull’attuazione del TUF”. Audizione del Presidente della CONSOB Luigi Spaventa presso la VI Commissione Finanze della Camera del 20/03/2002. Le perplessità sono state riproposte anche in sede di introduzione della legge sul risparmio; v. intervento di Cardia in nota successiva.

294

Cfr. Indagine conoscitiva sulle questioni attinenti all’attuazione della legge 28 dicembre 2005, n. 262, Audizione del Presidente della Consob Lamberto Cardia, Roma, 27 settembre 2006 (nel paragrafo 3.2 relativo al conflitto di interessi, su www.consob.it.

pubblicità del provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti.”

In conclusione, allo stato l’apparato rimediale contemplato in Italia a fronte delle violazioni delle norme sul conflitto di interesse appare insufficiente. Ciò è tanto più vero in considerazione dell’impostazione regolamentare sposata dal legislatore comunitario nella MiFID, in quanto l’ampia responsabilizzazione riconosciuta agli intermediari insieme al ruolo di chiusura assegnato al principio del fair treatment fanno sì che l’effettività della regola del conflitto necessariamente debba passare per una efficace applicazione delle sanzioni e dunque per un sistema di vigilanza (centralizzata e decentralizzata) più efficiente di quello attuale.

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 179-184)

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