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La regolamentazione secondaria abrogata: il farraginoso regime di autorizzazione delle operazioni in conflitto

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 139-146)

3. La disciplina italiana del conflitto di interessi precedentemente il recepimento della Direttiva MiFID

3.2 La regolamentazione secondaria abrogata: il farraginoso regime di autorizzazione delle operazioni in conflitto

La normativa primaria italiana precedente l’attuazione della MiFID non esplicitava un divieto per l’intermediario di agire ogniqualvolta il conflitto non potesse essere gestito e neutralizzato a beneficio del cliente. Il punto – chiarissimo

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L’inconciliabilità era in primis con la normativa introdotta nel frattempo a livello comunitario con la MiFID, v. infra. Il punto era stato ben evidenziato anche dallo stesso Presidente della Consob Lamberto Cardia nel corso dell’audizione tenutasi il 27 settembre 2006 avanti alla VI Commissione del Senato, disponibile su www.consob.it.

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Cfr. CAPPIELLO (2007), p. 60 e ss., secondo cui la legge per la tutela del risparmio non è coerente neppure con il percorso evolutivo seguito in altri ordinamenti, particolarmente quello statunitense, e sollecita una riflessione critica circa l’opportunità in termini di costi-benefici della rigida separazione organizzativa prospettata all’art. 10.

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Per quanto concerne specificatamente la disciplina del conflitto di interessi, l’art. 10.1 della legge comunitaria 2006 aveva incaricato il Governo di: “(f) stabilire i criteri generali di condotta che devono

essere osservati dai soggetti abilitati nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, ispirati ai principi di cura dell'interesse del cliente, tenendo conto dell’integrità del mercato e delle specificità di ciascuna categoria di investitori, quali i clienti al dettaglio, i clienti professionali e le controparti qualificate”; e “h) attribuire alla CONSOB, sentita la Banca d'Italia, il potere di disciplinare con regolamento, in conformità alla direttiva e alle relative misure di esecuzione adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all'articolo 64, paragrafo 2, della medesima direttiva, le seguenti materie relative al comportamento che i soggetti abilitati devono tenere: 1) le misure e gli strumenti per identificare, prevenire, gestire e rendere trasparenti i conflitti di interesse, inclusi i principi che devono essere seguiti dalle imprese nell'adottare misure organizzative e politiche di gestione dei conflitti (…)”.

negli standard internazionali – era stato affrontato a livello di regolamentazione secondaria all’art. 27 del Regolamento Intermediari della Consob. La norma contemplava, infatti, il divieto a carico dell’intermediario di operare in conflitto, salvo poi renderne superabile l’applicazione attraverso il ricorso all’“escamotage” dell’autorizzazione del cliente, che abbiamo visto aver caratterizzato anche il sistema precedente l’attuazione dell’ISD.

In particolare, la norma prevedeva che, in presenza di un interesse direttamente o indirettamente in conflitto con quello della clientela, l’intermediario dovesse astenersi dal compiere l’operazione o, alternativamente, informare adeguatamente i risparmiatori della sussistenza del conflitto, in modo da permettere loro di acconsentire all’operazione sulla base di una scelta consapevole (c.d. disclose or abstain)188. L’art. 27 del Regolamento Intermediari segnava una sorta di ritorno surrettizio al modello della legge 1/1991, poi abbandonato con la trasposizione della ISD intervenuta con il d.lgs 415/1996, ossia ad una procedura ritenuta soprassata anche a livello internazionale, in quanto fondata sull’illusione di poter richiedere al cliente, soggetto non esperto che si avvale della delega ad un professionista proprio in virtù di un’asimmetria informativa che è troppo costoso – e dunque antieconomico – sanare, di acconsentire al compimento di un’operazione di cui non è in grado di comprendere appieno la portata189.

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L’art. 27 del Regolamento Intermediari recita:

“1. Gli intermediari autorizzati vigilano per l'individuazione dei conflitti di interessi.

2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l'investitore sulla natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione e l'investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all'effettuazione dell'operazione. Ove l'operazione sia conclusa telefonicamente, l'assolvimento dei citati obblighi informativi e il rilascio della relativa autorizzazione da parte dell' investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su altro supporto equivalente.

3. Ove gli intermediari autorizzati, al fine dell'assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2, utilizzino moduli o formulari prestampati, questi devono recare l'indicazione, graficamente evidenziata, che l'operazione è in conflitto di interessi.” Per quanto concerne la conclusione di operazioni su internet la

Consob ha specificato con comunicazione DI/30396 del 21 aprile 2000 che l’informazione circa la sussistenza del conflitto può essere resa per via telematica, purché in modo chiaro e con la dovuta evidenza, garantendo che il cliente possa acquistarla su supporto duraturo. Il cliente può acconsentire via internet all’operazione, ma il sito non può impostare per default l’opzione di conferma. In ogni caso, l’assolvimento degli obblighi informativi dell’intermediario e il rilascio della relativa autorizzazione devono risultare da apposite evidenze interne (cfr. art. 69 del Regolamento Intermediari) e ne deve essere garantito l’accesso al cliente (cfr. art. 28(5) del Regolamento Intermediari).

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In questo senso va anche la critica all’art. 27 del Reg. Interm. svolta daSARTORI (2004), p. 308 ss., il quale la regolamentazione secondaria sembra (ri)appuntarsi su profili formalistici irrigidendo immotivatamente il sistema. Secondo questo Autore la Consob avrebbe privilegiato meccanismi formalistici di prevenzione di carattere eccessivamente rigido, trascurando il profilo della verifica ex post. Inoltre, come è stato efficacemente osservato da FICI (1997), p. 309 ss., in presenza di asimmetrie informative la preventiva autorizzazione del cliente si presta ad addossare il rischio dell’operazione in capo a costui, anche in presenza di una condotta scorretta dell’intermediario. Inoltre, il meccanismo non permette di distinguere il diverso atteggiarsi del conflitto nei vari servizi di investimento.

Il regime di trasparenza in materia di conflitti era persino più blando con riferimento alla gestione individuale, ossia proprio rispetto a quel tipo di servizio che, per l’elevato grado di discrezionalità riconosciuto all’intermediario, pone maggiori rischi di abuso e perciò richiama l’esigenza di istituire presidi per una più forte tutela del risparmiatore. Ponendosi in una diversa prospettiva, il legislatore italiano aveva inteso alleggerire l’onere informativo a carico dell’intermediario e temperare la macchinosa procedura di disclosure/autorizzazione prevista all’art. 27, con l’obiettivo di non ingessare la prestazione di un servizio altamente discrezionale. La scelta era per un verso comprensibile, in quanto pretendere dall’investitore medio il consenso ex ante su operazioni finanziarie di cui solo l’intermediario professionista deve avere la responsabilità di valutare l’opportunità comportava anche una serie di costi per l’impresa, che non trovano giustificazione in corrispondenti vantaggi per i risparmiatori.

D’altro canto, la deroga alla procedura interveniva con riferimento ad una fattispecie che per sua natura avrebbe meritato maggiore rigore ed attenzione da parte del legislatore. Anche a voler riconoscere che la regola del disclose or abstain non è uno strumento di tutela efficace in presenza di una delega di gestione, la deroga contemplata dalla Consob non era controbilanciata da alcun rafforzamento della tutela sotto altri fronti o attraverso altri strumenti. Ci sembra allora di poter trarre dal ragionamento due considerazioni: o la previgente disciplina del conflitto di interessi nella prestazione dei servizi di gestione individuale non era sufficientemente protettiva delle istanze degli investitori, particolarmente di quelli retail, o – più in generale – era la procedura stessa del disclose or abstain ad essere eccessivamente rigorosa e formalistica e perciò inadeguata per eccesso e per difetto, considerata la necessità di gestire i conflitti in tutti i servizi di investimento che presentino elementi di discrezionalità. A ben vedere, le due osservazioni non si escludono a vicenda e sono probabilmente entrambe pertinenti.

Volendo entrare nel dettaglio della disciplina, l’abrogato art. 45 del Regolamento Intermediari prevedeva che nella prestazione del servizio di gestione individuale l’intermediario potesse fornire l’informativa sul conflitto in via generale e una volta soltanto, in occasione della conclusione del contratto quadro con cui si instaura il rapporto di gestione, a condizione che l’esistenza e la natura del conflitto fossero rappresentate in maniera chiara. In questa ipotesi, l’intermediario poteva compiere l’operazione, salvo il rispetto – per talune categorie di titoli e di conflitti – di limiti quantitativi comunque superabili con il consenso ad hoc del cliente, prestato secondo la regola generale.

In particolare, la norma distingueva tra conflitti derivanti da rapporti di gruppo o dalla prestazione congiunta di più servizi e conflitti che originano da rapporti di affari della società o del gruppo. Per poter operare in presenza di questo secondo tipo di conflitti, all’intermediario bastava ottenere dal cliente una preventiva autorizzazione in sede di conclusione del contratto di gestione190. Per i conflitti derivanti dalla polifunzionalità o dall’appartenenza al gruppo, invece, la disciplina era articolata a seconda della categoria di strumento finanziario, ossia in base alla sua natura, negoziabilità nei mercati regolamentati, eventuale rating ottenuto e Stato di appartenenza dell’emittente.

Per una prima classe di titoli, individuata al comma 1 dell’art. 45, la preventiva autorizzazione del cliente una tantum ne permetteva l’inserimento nel portafoglio di investimento senza alcun limite quantitativo191. Si trattava di titoli le cui caratteristiche presentavano astrattamente un limitato potenziale di rischio per il cliente e, per tale ragione, giustificavano secondo la Consob un trattamento più elastico. Tuttavia, a ben vedere, tra questi strumenti se ne includevano taluni che, considerati gli assetti proprietari del nostro sistema finanziario, potevano in concreto legittimare anziché prevenire la conclusione di operazioni abusive o imprudenti. Tra gli strumenti soggetti al regime di favore, infatti, erano indicati alla lettera c) i titoli di debito emessi da banche o da altri emittenti con sede in uno Stato appartenente all'OCSE e negoziati in un mercato di uno Stato appartenente all'OCSE o aventi un rating massimo ottenuto da agenzie di valutazione indipendenti. Considerato che le gestioni in Italia sono per lo più svolte da imprese riconducibili all’ambito proprietario delle banche, il lassismo della norma destava perplessità, nella misura in cui permetteva al gestore di immettere senza limiti nel portafoglio clienti titoli emessi da società appartenenti al proprio gruppo o da soggetti finanziati dal gruppo192.

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Così l’art. 45, co. 4, del Regolamento Intermediari: “Le disposizioni di cui all’art. 27 non si applicano alle

operazioni in conflitto di interessi derivante da rapporti di affari propri o di società del gruppo, a condizione che la natura dei singoli conflitti sia descritta nel contratto e che l’investitore le abbia espressamente autorizzate nel contratto medesimo.”

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L’art. 45 (1) del Regolamento Intermediari legge: “Le disposizioni di cui all'articolo 27 non si applicano

alle operazioni in conflitto di interessi derivante da rapporti di gruppo o dalla prestazione congiunta di più servizi quando tali operazioni hanno ad oggetto i seguenti strumenti finanziari, a condizione che la natura dei singoli conflitti sia descritta nel contratto e che l'investitore le abbia espressamente autorizzate nel contratto medesimo: a) titoli di debito emessi o garantiti da Stati appartenenti all' OCSE; b) titoli di debito emessi da enti internazionali di carattere pubblico; c) titoli di debito emessi da banche o altri emittenti con sede in uno Stato appartenente all'OCSE e negoziati in un mercato di uno Stato appartenente all'OCSE o aventi un rating massimo ottenuto da agenzie di valutazione indipendenti; d) titoli di debito emessi o garantiti da Stati non appartenenti all' OCSE, da banche o da altri emittenti aventi sede in uno Stato non appartenente all'OCSE, ma negoziati in un mercato di uno Stato appartenente all'OCSE e aventi un rating massimo ottenuto da agenzie di valutazione indipendenti; e) quote o azioni di organismi di investimento collettivo aventi sede in Stati appartenenti all'OCSE (…)”.

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Cfr. ENRIQUES (1996), pp. 665-666, che criticava la normativa previgente, che pure era più restrittiva dell’odierna nel prevedere comunque un limite pari al 50% del portafoglio all’investimento in valori emessi dal gruppo, in quanto tale limite pareva essere eccessivamente elevato. Anche a voler ritenere applicabile il rimedio del risarcimento del danno in ipotesi di violazione degli obblighi di diligenza, correttezza e

La Consob aveva individuato inoltre una seconda categoria di strumenti finanziari, assoggettati al limite quantitativo pari al 50% del controvalore del portafoglio di investimento193. Restava ferma in ogni caso la possibilità per l’intermediario di effettuare l’operazione in superamento di detta soglia a fronte di un’autorizzazione rilasciata ad hoc dal cliente ai sensi della regola generale di cui all’art. 27 del Regolamento Intermediari194.

Un’ultima classe di strumenti non ricadeva in nessuna delle due precedenti tipologie; si trattava di titoli che potevano essere inseriti nel portafoglio del cliente entro la soglia del 25% del controvalore della gestione, soglia di nuovo superabile con autorizzazione ad hoc. In ogni caso, era fatto divieto all’intermediario di superare per ciascuno di questi titoli il limite del 5% del valore del portafoglio195.

L’abrogata disciplina secondaria della trasparenza dei conflitti di interesse sembrava porsi solo parzialmente in linea con gli standard di armonizzazione elaborati dalle autorità di vigilanza di settore a livello comunitario ed espressi nel documento del CESR “A European Regime of Investor Protection – The Harmonization of the Conduct of Business Rules” del 2002196. La Regola 7 del CESR prevedeva una disposizione sul conflitto che, sebbene formulata in termini alquanto elastici, esulava dalla previsione di limiti e rigide restrizioni quantitative.

professionalità dell’intermediario, tale rimedio si rivela in ogni caso tardivo. Inoltre, vi era il rischio che il rispetto del limite sarebbe stato valutato in sede giudiziale come fatto idoneo a fondare una presunzione semplice di adempimento. L’Autore concludeva per l’inserimento di una soglia fissata sulla base dell’ipotetico gestore indipendente, ossia pari a quella che un ipotetico gestore disinteressato desidererebbe di non superare.

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Tali titoli sono elencati sempre nel 1 co. dell’art. 45: “e) quote o azioni di organismi di investimento

collettivo aventi sede in Stati appartenenti all'OCSE; f) titoli di debito emessi o garantiti da Stati non appartenenti all'OCSE e negoziati in un mercato di uno Stato non appartenente all'OCSE; g) titoli di debito emessi da banche o da altri emittenti con sede in Stati non appartenenti all'OCSE, negoziati in un mercato di uno Stato non appartenente all'OCSE e aventi un rating massimo ottenuto da agenzie di valutazione indipendenti; h) azioni e altri titoli di capitale di emittenti aventi sede in uno Stato appartenente all'OCSE negoziati in un mercato di uno Stato appartenente all'OCSE; i) quote o azioni di organismi di investimento collettivo con sede in Stati non appartenenti all'OCSE negoziate in un mercato di uno Stato appartenente all'OCSE.”

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V. il comma 2 dell’art. 45 del Regolamento Intermediari: “Gli strumenti finanziari inseriti nel portafoglio

di ogni singolo investitore per effetto delle operazioni di cui al comma 1, lettere f), g), h) ed i), non possono superare il 50% del suo controvalore. Le operazioni comportanti il superamento del predetto limite sono consentite nel rispetto, per ogni singola operazione, delle disposizioni di cui all'articolo 27.”

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Il Regolamento Intermediari precisava al comma 6 dell’art. 45 che ai fini dell’applicazione dei limiti sopra indicati, si consideravano rilevanti i collocamenti conclusi o garantiti dall’intermediario o dai soggetti appartenenti al gruppo nei tre mesi precedenti la data di inserimento degli strumenti finanziari nel portafoglio della clientela, con ciò dimostrando di voler dare rilevanza all’esistenza del mero concorso di interessi e favorire così una migliore applicazione preventiva del presidio.

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Il documento è stato elaborato dai membri del CESR allo scopo di favorire una convergente interpretazione ed applicazione delle regole di condotta contenute all’art. 11 della ISD, a beneficio di un miglior funzionamento del mercato unico dei servizi di investimento. Il documento affianca a criteri generali, c.d. standard, delle regole formulate in termini più dettagliati, le c.d. rules, e si occupa esclusivamente del rapporto tra intermediario e clientela retail. V. sezione introduttiva, par. 1 e 4. Tra le finalità del documento si indica quella di garantire la corretta gestione e la trasparenza dei conflitti di interesse (v. par. f).

Essa non contemplava inoltre un regime differenziato per le gestioni. Secondo tale regola, quando un conflitto non potesse essere ragionevolmente evitato o gestito, l’impresa non avrebbe potuto compiere operazioni, se non dopo aver informato il cliente della natura e dell’estensione del proprio interesse e questi vi avesse espressamente acconsentito. L’informativa sul conflitto, specificava la norma, avrebbe dovuto essere fornita possibilmente all’inizio della relazione con il cliente o altrimenti prima del compimento di ciascuna operazione.

Il più importante aspetto di divergenza della trascorsa normativa italiana stava nel fatto che, oltre a non contemplare limiti quantitativi, la regola del CESR era dettata per specificare un principio generale, espresso nello standard n. 5 del medesimo documento CESR, secondo cui l’impresa di investimento deve fare in modo che i conflitti siano individuati e quindi prevenuti o gestiti affinché non incidano negativamente sugli interessi dei clienti (fair treatment). Dunque, nell’ambito delle raccomandazioni del CESR, la regola della trasparenza e del consenso informato si incardinava in un più generale principio di fair treatment, qualificandosi come un mero strumento di gestione del conflitto, che giammai avrebbe potuto legittimare la conclusione di operazioni potenzialmente lesive dell’interesse del cliente.

In Italia, invece, la regola del consenso informato aveva assunto connotati ambigui proprio perché, come si è detto, la trasposizione del principio del fair treatment era intervenuta in modo impreciso, attraverso la locuzione “equo trattamento”. In altre parole, nel nostro ordinamento mancava un’espressa previsione che imponesse all’intermediario di astenersi dall’operare in contrasto con l’interesse del cliente, anche in presenza del consenso di questi. Il dubbio era allora se l’autorizzazione all’operazione in conflitto prestata ai sensi dell’art. 27 del Regolamento Intermediari potesse escludere la responsabilità della banca e/o l’invalidità dell’atto anche quando ex post l’operazione si fosse rivelata contraria all’interesse del cliente in ragione dell’incidenza dell’interesse in conflitto dell’intermediario197. Questa interpretazione avrebbe finito per reintrodurre il regime deresponsabilizzante che aveva caratterizzato il sistema precedente, con il rischio di scaricare sui risparmiatori, particolarmente quelli meno accorti, l’inadempimento della controparte.

La migliore dottrina ha cercato di impedire un uso strumentale della disciplina secondaria del conflitto, opportunamente scartando la suddetta

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interpretazione.198 In particolare, il formante dottrinale aveva riconosciuto che l’esistenza di un’autorizzazione preventiva non esimeva l’intermediario dall’operare in ossequio ai criteri di correttezza e diligenza, nel perseguimento del

miglior interesse della controparte.199 Secondo questa ricostruzione,

l’autorizzazione del cliente non poteva intendersi come una ratifica dell’attività svolta dall’intermediario, così che al cliente non sarebbe stato precluso agire contro l’intermediario qualora l’operazione in conflitto avesse pregiudicato i propri interessi200. Conferma della bontà di questa ricostruzione è rinvenibile nelle motivazioni addotte in un caso giudiziario recente, in cui il Tribunale di Milano ha incidentalmente affermato l’insufficienza del consenso espresso del cliente quando un’operazione in conflitto è stata conclusa in spregio del di lui interesse201.

Ci sembra corretto condividere questo approccio e considerare l’informazione sulla sussistenza di un conflitto potenziale non come un presidio formalistico che impedisce al cliente l’esperimento di rimedi sostanziali, bensì come uno strumento che si aggiunge a, e non sostituisce, la tutela offerta dall’obbligo comunque vigente a carico dell’intermediario di agire nel miglior interesse del cliente202. Coerentemente all’interpretazione qui proposta, che vede nel principio l’espressione della naturalis aequitas, l’equo trattamento dovrebbe svolgere una funzione correttiva: eviterebbe gli effetti aberranti dell’applicazione della procedura di autorizzazione dell’operazione in conflitto. In forza della clausola così interpretata, l’ottenimento di un consenso dall’investitore non potrebbe giammai legittimare il compimento di un’operazione contraria agli interessi di questi. In tale contesto, la trasparenza può solo rappresentare il mezzo per favorire un monitoraggio (anche ex post) da parte degli investitori sull’operato

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La giurisprudenza, pur presentando segnali in senso conforme agli orientamenti espressi dalla dottrina (cfr. SALVATORE (2004), pp. 182-183, che cita in sostegno il Tribunale di Roma 18.2.2002) non si è mai pronunciata su un’ipotesi di operazione in conflitto autorizzata e ciò nonostante pregiudizievole per il cliente. La casistica si è sinora incentrata sulle conseguenze giuridiche successive alla violazione da parte

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