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Segue. Una proposta ricostruttiva volta a favorire una migliore deterrenza

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 188-195)

5. Tecniche di repressione degli abusi: i rimedi successivi

5.5 Segue. Una proposta ricostruttiva volta a favorire una migliore deterrenza

Per quanto ci consta, ciascuno dei filoni giurisprudenziali sopra richiamati presenta a ben vedere validi spunti interpretativi, che possono essere opportunamente coordinati alla luce dei principi civilistico generali. Innanzitutto, bisogna prendere atto che l’applicazione della sanzione di nullità a fronte della violazione di obblighi informativi non è nuova in materia di intermediazione finanziaria. Essa è espressamente prevista all’art. 122 del TUF in materia di patti parasociali. Inoltre, la nullità è stata unanimemente applicata dalla giurisprudenza nei casi di abusiva sollecitazione all’investimento e di mancanza delle richieste autorizzazioni soggettive, anche se non espressamente contemplata dalla legge307. In secondo luogo, nella vigenza della normativa antecedente l’attuazione della MiFID, era lo stesso tenore letterale della disciplina del consenso informato, ossia l’espresso divieto a compiere l’operazione contemplato nel Regolamento Intermediari, che conduceva a riconoscere nella norma un vero e proprio limite all’autonomia negoziale dell’intermediario. Il nuovo art. 21, co. 1 bis del TUF e l’art. 23 del Provvedimento di attuazione, pur non ripetendo alla lettera la medesima dicitura, impongono all’intermediario un dovere di rendere noto il conflitto prima di agire per conto del cliente, in modo da porre quest’ultimo nella condizione di poter effettuare una decisione informata. Il legislatore riconosce per questa via che la mancata notizia del conflitto che integra la violazione è quella che impedisce al cliente di figurarsi correttamente la natura e l’oggetto del

306

Cfr. Cassazione civile, Sez. I, ord. 16 febbraio 2007, n. 3683 – Pres. De Musis, Rel. Schirò, disponibile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/564.htm.

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servizio prestato dall’intermediario (non solo il rischio); essa incide sulla formazione della volontà di una parte e dunque geneticamente sull’operazione di investimento308. L’inosservanza di quelle precauzioni rappresenta pertanto un elemento costitutivo di una fattispecie di invalidità309.

Per altro verso, l’opposta tesi del rimedio risarcitorio richiama il fatto che le regole di comportamento dell’intermediario rilevano ai fini della valutazione dell’adempimento del contratto di investimento stipulato con il risparmiatore, osservazione che appare assolutamente pertinente ed inconfutabile. Tale filone, inoltre, richiama l’opportunità di fare chiarezza sull’istituto della nullità virtuale, discernendo con maggior rigore il vizio genetico da quello funzionale attraverso un’applicazione più accorta del diritto privato generale. Anche questa critica sembra assolutamente pertinente, considerato che non si possono trattare alla stessa stregua, ad esempio, gli obblighi di rendicontazione, che pure costituiscono specifici doveri dell’intermediario ai sensi di una disciplina imperativa, e la normativa sul conflitto di interessi.

Tenuto conto di quanto appena esposto, ci sembra che l’interazione tra diritto speciale e diritto privato generale lasci spazio ad una pluralità di soluzioni.310 D’altronde, nulla osta ad una ricostruzione articolata del sistema sanzionatorio del conflitto di interessi degli intermediari mobiliari, che riconosca all’investitore la scelta del rimedio da esperire caso per caso. Peraltro, come si è detto, allo stato le sanzioni previste dall’ordinamento italiano a fronte dello sfruttamento del conflitto da parte dell’intermediario mobiliare e la probabilità della loro applicazione non sembrano tali da produrre un effetto di deterrenza. Ciò costituisce senz’altro una grave lacuna del nostro diritto, che rende opportuno proporre una ricostruzione dell’apparato rimediale che faciliti l’esercizio delle azioni civili da parte dei singoli investitori311.

308

A conferma di quanto sopra sostenuto basti citare le stesse parole della Commissione Europea che nel dettare la regolamentazione secondaria sul conflitto di interessi si è espressa in questi termini: “the

information which firms must give to their clients should be limited to those elements that are essential for the client to understand the nature of his relationship with the firm, and the services and instruments offered by the firm.”; cfr. EUROPEAN COMMISSION, INTERNAL MARKET AND SERVICES DG, Working

Document ESC/24/2005, 11 July 2005, p. 2.

309

Cfr. ALBANESE (2003), p. 350 ss.

310

In questo senso, sebbene con risultati interpretativi diversi, GOBBO (2006), p. 131.

311

Non si ritiene che allo stato l’ordinamento italiano presenti un apparato sanzionatorio tale da produrre rischi di over-deterrence. Ci si pone pertanto in una posizione diametralmente opposta a quelle espressa da PERRONE (2006). Ci sembra ugualmente priva di pregio nel caso specifico l’obiezione di tipo generale avanzata da DENOZZA (2004), p. 347 circa gli effetti distributivi perversi che potrebbe avere una norma di conflitto eccessivamente costosa, in quanto allo stato il problema del sistema-Italia è esattamente l’opposto: quello di un ordinamento che per ragioni storiche non ha strumenti sufficienti a disincentivarne lo sfruttamento.

Per meglio comprendere i termini della questione, è necessario richiamare innanzitutto che il rapporto che si instaura tra intermediario e cliente non è riconducibile ad un unico schema negoziale, ma è una fattispecie complessa, che si sviluppa in forme giuridiche differenti a seconda del servizio prestato312. A titolo esemplificativo, si considerino:

(a) il caso della gestione individuale, dove le parti concludono un solo contratto di durata sulla base del quale l’intermediario svolge operazioni per conto del cliente, e

(b) il caso della negoziazione, in cui si distinguere il contratto quadro (o normativo), che regolamenta in termini generali la relazione tra intermediario e cliente, dai singoli ordini di acquisto con cui si esegue il contratto quadro. Tali ordini costituiscono a loro volta atti negoziali, assimilabili specificatamente ai contratti di compravendita, in caso di negoziazione per conto proprio, o di commissione/mandato senza rappresentanza, in ipotesi di operazioni per conto terzi313.

La legge impone imperativamente all’intermediario di rispettare una serie di precauzioni prima di operare per conto del cliente, in modo da ridurre il rischio di abusi derivanti da conflitto di interessi314.

Nell’ipotesi della gestione di portafogli, la violazione dell’obblighi dettati in situazioni di conflitto (potenziale) può essere inquadrata secondo due schemi:

(i) come vizio funzionale del contratto di gestione, in quanto

inadempimento intervenuto nella fase esecutiva di esso, e perciò sanzionabile con la risoluzione ed il risarcimento del danno. Ai sensi

312

V. LENER (1996), p. 152, e ALPA (1998), p. 256; FABIANO (2007), p. 341.

313

Cfr. LOBUONO (1999), p. 100 ss., che peraltro distingue tra contratto normativo (che disciplina altri contratti aventi la stessa natura) e contratto quadro (che regolamenta futuri contratti disomogenei); SARTORI

(2004), p. 369; con riferimento al servizio di negoziazione v. GOBBO,SALODINI (2006), p. 7; ROPPO (2005), p. 896 ss.; FABIANO (2007), p. 341; DELLACASA (2006),p. 600 ss.; contra PALMIERI (2005), p. 513 ss. che avalla l’opposta tesi dell’unicità formale e sostanziale del contratto di investimento.

314

Alcuni Autori insistono sull’importanza di determinare quando la violazione di un obbligo informativo è intervenuta, ossia se essa sia occorsa prima o dopo la stipula del contratto di investimento, per poter valutare la natura della responsabilità e gli eventuali effetti reali. Tale determinazione può essere rilevante su un piano generale, se si vogliano analizzare l’insieme dei doveri di trasparenza che il TUF impone agli intermediari, doveri che in effetti possono sorgere in momenti diversi nell’arco del rapporto di investimento. Questo distinguo risulta invece irrilevante se il riferimento è alla sola disciplina del conflitto di interessi, in quanto in questo ambito i doveri informativi sorgono nel momento che precede il compimento dell’operazione di investimento (nell’attuale formulazione della norma, l’intermediario deve informare il cliente prima di agire per il suo conto, v. art. 21 1-bis(b) del TUF), non rilevando invece quello della conclusione del contratto quadro di investimento.

dell’articolo 1458 c.c., la risoluzione del contratto di gestione non si estende tuttavia alle prestazioni già eseguite. Potrà comunque trovare applicazione analogica la disciplina prevista all’art. 1711 c.c. per i limiti del mandato. In questo ambito, il mancato rispetto dell’obbligo di trasparenza costituirà un abuso del mandato gestorio315. La conseguenza sarà l’inopponibilità all’investitore dell’operazione di compravendita effettuata in spregio delle regole sul conflitto, i cui effetti, salvo ratifica, resteranno a carico dell’intermediario medesimo, analogamente a quanto previsto all’art. 1711 c.c., 1 co.. Di conseguenza, gli effetti del negozio si produrranno unicamente in capo all’intermediario, con obbligo dello stesso di tenere indenne la controparte da qualsiasi pregiudizio che possa derivargliene316.

(ii) come vizio genetico dell’operazione conclusa dall’intermediario in conflitto, in quanto inosservanza di un obbligo imperativo a non operare prima di aver adempiuto determinate cautele volte a garantire la cura dell’interesse della controparte. Tali disposizioni si pongono come un limite all’autonomia negoziale, con la conseguenza che la loro violazione va ad incidere sulla validità di un’operazione di investimento non ancora conclusa.

Il ragionamento si poggia evidentemente sul riconoscimento della natura imperativo-proibitiva delle regole sul conflitto di interessi317. Esse pongono precisi paletti alla discrezionalità dell’intermediario, il quale in tale una situazione di conflitto è indotto, anche inconsapevolmente, a privilegiare il proprio interesse su quello della clientela318. La violazione di quelle procedure pregiudica inoltre la formazione del consenso dell’investitore, che non è in condizione di figurarsi correttamente la natura e l’oggetto del servizio in quel momento, ed interferisce pertanto sull’an (e non solo sulla valutazione della convenienza) dell’operazione di investimento, determinandone un vizio genetico. In altre parole, visti in negativo, gli obblighi sul conflitto rappresentano un limite alla libertà di agire dell’intermediario, il cui superamento invalida la transazione ed incide sul consenso dell’altra parte. Poiché la condotta che non osserva le norme sul conflitto è contemporaneamente vizio funzionale del contratto di gestione e vizio

315

Sull’applicabilità della disciplina codicistica ai contratti di investimento, particolarmente per colmare le lacune della disciplina speciale, cfr. GOBBO,SALADINI (2005), p. 13, con indicazioni giurisprudenziali.

316

Sull’applicabilità alla gestione di portafogli dell’art. 1711 c.c. cfr. Tribunale di Bari, Sez. II civ. – Pres. L. Dilalla, Rel. L. Agostinacchio – 26 maggio 2005, su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/239.htm.

317

Sulla distinzione tra norme imperative proibitive e norme impositive o precettive v. DI MAJO (1993), p. 7 ss.. V. anche GOBBO (2006), nt. 7, pp. 104-105.

318

Cfr. RAZZANTE (2004), p. 54. L’Autore opportunamente osserva come di sovente la questione del conflitto di interessi risulta quantomeno malposta, in quanto non tiene conto dell’esigenza di contemperare le naturali tendenze degli operatori al free riding e al moral hazard.

genetico dell’operazione di investimento, spetterà all’attore nella formulazione della domanda richiedere l’applicazione dell’uno e/o dell’altro rimedio.

Nell’ipotesi del servizio di negoziazione, la questione parrebbe per un verso complicarsi, in quanto i contratti in gioco sono molteplici, aggiungendosi al contratto quadro di investimento l’ordine impartito dal cliente e la conseguente operazione di compravendita. Il ragionamento giuridico tuttavia non è dissimile a quello sopra prospettato con riferimento alla gestione individuale.

Da una primo punto di vista, l’operazione in conflitto conclusa in assenza di un consenso informato rappresenta un atto di esecuzione del contratto quadro e, in quanto tale, esso costituisce inadempimento contrattuale. Sotto un diverso profilo, il mancato rispetto della norma che proibisce di agire in conflitto in assenza di determinate cautele incide geneticamente sull’ordine impartito dal cliente e conseguentemente sull’operazione di compravendita, determinandone la nullità (virtuale). Sulla scorta del ragionamento appena fatto, è possibile configurare anche nell’ambito della negoziazione un cumulo dei rimedi contrattuali disponibili all’investitore.

Questa ricostruzione permette di superare le obiezioni avanzate dalla teoria del vizio funzionale in quanto fornisce un criterio giuridico per distinguere la norma imperativa che giustifica l’applicazione del rimedio reale, da quella altrettanto imperativa che tuttavia inerisce unicamente ad un rapporto già concluso. Nel primo caso, il legislatore detta obblighi precedenti il compimento di un’operazione a fronte di una situazione di pericolo oggettivo per la tutela di un interesse pubblico. Quelle misure non costituiscono sic et simpliciter estrinsecazione del principio di buona fede, ma delimitano piuttosto il perimetro della discrezionalità dell’intermediario: sono parte della struttura del contratto e il loro rispetto viene assunto dal cliente nel decidere (o nel non impedire) il compimento dell’operazione di investimento. Di conseguenza, la violazione delle norme preventive sul conflitto inciderà geneticamente sulla validità dell’operazione compiuta, alla stessa stregua della disciplina delle autorizzazioni soggettive.

Nella seconda ipotesi, invece, il legislatore detta regole comportamentali al fine di garantire la corretta esecuzione di un contratto già concluso (ad es. obblighi di rendicontazione). La disciplina del conflitto rientra anche in questa seconda qualificazione, in quanto rileva ai fini dell’esecuzione del contratto quadro.

Pertanto, occorsa una violazione delle norme sul conflitto, l’investitore potrà, ove ne ricorrano i presupposti, domandare la risoluzione del contratto

quadro per inadempimento della controparte, e l’accertamento della nullità dell’operazione di investimento, salvo in ogni caso il risarcimento del danno giustificato. Niente impedisce questa duplice ricostruzione, che è anzi giustificata dalla plurioffensività della condotta dell’intermediario, nonché dall’esigenza di favorire un maggior effetto deterrente della sanzione a fronte di situazioni di conflitto.

Alla stregua di quanto sopra esposto, l’investitore, che agisce per la dichiarazione di nullità, potrà all’uopo avvalersi dell’inversione dell’onere della prova ex art. 23, co. 6, del TUF. Ciò in quanto la condotta plurioffensiva dell’intermediario integra allo stesso tempo una causa di invalidità dell’operazione ed una violazione di una regola di comportamento, da cui origina il diritto al risarcimento del danno.

CAPITOLO II

STANDARD INTERNAZIONALI:GENESI,PRODUZIONE ED EFFICACIA

1. Definizione del problema e tassonomie ... 73

1.1 La funzione dei mercati finanziari intermediati ed il modello di agenzia... 73

1.2 Conflitto di interessi v. concorso di interessi... 83

1.3 La nozione giuridica di conflitto di interessi ... 90

1.4 Fenomenologia del conflitto di interessi dell’intermediario mobiliare ... 95

1.5 Il trade-off tra conflitto di interessi e sinergie organizzative: un problema di politica legislativa ..

... 101

1.5 Prevenzione dell’insorgenza del conflitto v. prevenzione della frode finanziaria ... 108

2. La disciplina del conflitto di interessi negli standard internazionali ... 110

2.1 La regola generale della prevenzione e del fair treatment ... 110

2.2 La funzione di controllo e gli ulteriori presidi organizzativi interni ... 116

2.2 Ulteriori regole in materia di gestioni collettive ... 118

2.3 Le remunerazioni come fonte di conflitto ... 122

3. La disciplina italiana del conflitto di interessi precedentemente il recepimento della Direttiva MiFID....

... 124

3.1 La regolamentazione primaria della prevenzione del conflitto e la confusa trasposizione del principio del fair treatment... 124

3.2 La regolamentazione secondaria abrogata: il farraginoso regime di autorizzazione delle operazioni in conflitto ... 133

3.3 Segue. Le misure organizzative e procedurali interne previste dalla previgente regolamentazione secondaria ... 140

3.4 Disposizioni speciali in materia di gestioni collettive ... 147

4. La disciplina del conflitto di interessi nella MiFID e la sua recente attuazione in Italia ... 155

4.1 La regola generale del conflitto di interessi... 155

4.2 La regolamentazione secondaria del conflitto di interessi ... 159

4.3 Segue. Le misure organizzative nel regime secondario della MiFID. Le novità introdotte in Italia. ... 161

4.4 Modifiche in materia di gestioni collettive ... 164

4.5 Remunerazioni ed inducement ... 166

5. Tecniche di repressione degli abusi: i rimedi successivi... 168

5.1 Gli effetti deterrenti della sanzione: gli standard internazionali ... 168

5.2 Analisi economica del diritto e modelli di deterrenza ... 169

5.3 L’insufficienza dell’apparato rimediale italiano... 173

5.4 La querelle sui rimedi civilistici a disposizione dell’investitore... 178

CAPITOLO III

CONFLITTO DI INTERESSI E DISTRIBUZIONE DI INFORMAZIONI FINANZIARIE

1. Il problema dei conflitti in seno ai c.d. intermediari reputazionali

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 188-195)

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