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La funzione dei mercati finanziari intermediati ed il modello di agenzia

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 79-89)

5. Le iniziative internazionali a fronte dei recenti scandali finanziari

1.1 La funzione dei mercati finanziari intermediati ed il modello di agenzia

Per comprendere e valutare la questione dei conflitti d’interesse degli intermediari mobiliari è utile effettuare una breve analisi preliminare sul ruolo del mercato finanziario intermediato nell’economia contemporanea e sul concetto di conflitto di interessi alla luce dello strumento analitico fornito dal modello principale-agente1.

Nel contesto di specializzazione produttiva che caratterizza l’odierno capitalismo, la finanza svolge la funzione di permettere alle imprese la raccolta di disponibilità economiche presso il pubblico, ossia di quella parte di reddito prodotto con il lavoro, o tratto dalle rendite, e non consumato. Il capitale trasferito dai risparmiatori viene poi impiegato dalle imprese in investimenti (auspicabilmente) produttivi, che consentono la creazione di nuova ricchezza (reddito nazionale). Sotto un profilo macro-economico, tali investimenti costituiscono l’essenziale fattore propulsivo della crescita di un paese, da cui l’importanza della finanza nello sviluppo dell’economia reale2.

In termini micro-economici, il processo di raccolta del capitale interviene principalmente mediante il canale bancario e quello mobiliare, in concorrenza tra

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Cfr. Introduzione.

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Una relativamente recente analisi economica ha quantificato il beneficio che scaturirebbe in termini di crescita economica dei paesi europei dalla integrazione dei mercati finanziari in un incremento del PIL di un punto percentuale. Si veda LONDON ECONOMICS, Quantification of macro-economic impact of EU financial

markets, London, 2002, disponibile sul sito della Commissione Europea. Si veda inoltre nello stesso senso il

recente studio di GUISO,JAPPELLI,PADULA,PAGANO.In termini generali, si vedano ONADO (2000),BLACK

(2001),ESCHENBACH.La relazione tra mercati finanziari ed economia reale è stata teorizzata sin dal 1911 da SCHUMPTER. Tuttavia, sotto il profilo scientifico, è doveroso precisare che la direzione del nesso di causalità tra miglioramento del sistema finanziario e crescita reale è tutt’altro che pacifica. Gli economisti, infatti, non sono riusciti a stabilire con certezza quale dei due fattori rappresenti la causa e quale l’effetto. Sul punto, con ricca indicazione dei riferimenti bibliografici, si vedano FOHLIN, p. 3. Per una ricognizione della letteratura economica italiana che a partire dalla fine degli anni ’70 si è occupata della relazione tra sviluppo dei mercati finanziari e crescita reale v. CAPOLUPO,CELI (2004).

loro. Nell’ambito della prima modalità di raccolta, i risparmiatori depositano i propri fondi presso un’istituzione bancaria che ne diventa proprietaria, confidando di ottenerne la restituzione in qualunque momento, in forza di un credito liquido ed esigibile. E’ un fenomeno che potrebbe definirsi di “affievolimento” del diritto di proprietà in un diritto di credito, a fronte del quale i risparmiatori ricevono dalle banche interessi e/o prestazione di servizi di pagamento. Le banche, a loro volta, mediante il meccanismo di trasformazione delle scadenze, rendono disponibili alle imprese i fondi raccolti a breve presso il pubblico attraverso finanziamenti di medio-lungo periodo, lucrando interessi. Con l’intermediazione bancaria la raccolta del risparmio interviene in modo indiretto, nel senso che la posizione dei risparmiatori si mantiene distinta da quella degli imprenditori in ragione di una catena di rapporti per cui i primi divengono creditori degli intermediari e questi, a loro volta, creditori o soci degli imprenditori3.

L’Italia – similmente agli altri paesi dell’Europa continentale – si è ispirata all’archetipo “bancocentrico” appena descritto, fortemente orientato agli intermediari bancari ed incentrato sulla stabilità4. Il mercato mobiliare ha avuto un’importanza marginale nel finanziamento alle imprese5. In particolare, storicamente la finanza italiana si caratterizzava per la presenza di un sistema creditizio in gran parte di proprietà pubblica e sottoposto al dominio governativo secondo le logiche tipiche dell’economia mista6. È solo in tempi recenti, sotto la spinta riformista derivante dalle pressioni internazionali e dalla partecipazione alla

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SALANITRO (1998),p.3.

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Sull’origine dei diversi sistemi finanziari presenti nei paesi industrializzati cfr., ex multis, GERSHENKRON

(1962), secondo cui la banca ha svolto un ruolo più preminente in tutti quei paesi la cui industrializzazione è intervenuta in momento successivo rispetto ad economie come la Gran Bretagna ed gli Stati Uniti; secondo LA PORTA E ALTRI (1997), il fattore determinante è la tradizione giuridica tipica di ciascun paese: il mercato di capitali stenta ad affermarsi in quelle giurisdizione che garantiscono scarsa protezione per gli investitori. Proprio in polemica con questa seconda ricostruzione, RAJAN E ZINGALES (1999) le differenti caratteristiche dipendono dal contesto politico (più che giuridico) nel quale la finanza si è sviluppata, e particolarmente dal grado di centralizzazione del potere statale; cfr. anche ROE (1997);IMPERATORI (1994).

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Come evidenziato dal Ministro dell’Economia Tremonti nel corso dell’indagine conoscitiva “sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio”, svolta dal Parlamento fra il 15 gennaio e il 24 marzo 2004 a seguito degli scandali Cirio e Parmalat, il sistema finanziario italiano ha vissuto tre fasi: “Una prima fase è posizionata nel periodo storico che va dalla ricostruzione postbellica fino agli anni

Ottanta. In questa prima fase, il finanziamento del sistema delle imprese è operato con la tecnica della triangolazione: istituti a medio termine emettono titoli obbligazionari, in regime di privilegio legale ed in serie speciali, retrocedendo e servendo simmetricamente alle imprese la raccolta così operata. Lo fanno sotto forma di finanziamenti strutturati a medio o lungo termine. È un sistema di intermediazione caratterizzato da grande ed oggettiva efficienza, perché garantisce ed allinea, strutturalmente e professionalmente, coerenze industriali, finanziarie e temporali. Una seconda fase è quella, immediatamente successiva, delle cosiddette emissioni in euro-lire. È una fase che viene dopo la fine del regime di privilegio legale riservato agli istituti a medio termine ed arriva fino alla fine degli anni Novanta. È una fase relativamente ordinata, pur in un contesto di progressiva e costante liberalizzazione”.

E’ solo dopo l’euro, dunque a partire dal 1999, che inizia una terza fase nella quale: “crescono

esponenzialmente, con una concentrazione nel triennio 2000-2002, la dimensione e lo spessore di un mercato composto da titoli obbligazionari denominati in euro. Si apre in questi termini un nuovo fondamentale canale di finanziamento delle imprese, che collega direttamente risparmi ed investimenti.” 6

Comunità Europea, che si è verificata una progressiva apertura verso la concorrenziale forma di raccolta c.d. “mercatocentrica”7.

Il canale mercatocentrico, sviluppatosi particolarmente sui mercati anglo-americani, vede le imprese rivolgersi per la raccolta di capitali direttamente al mercato, solitamente attraverso l’ausilio di operatori qualificati (c.d. intermediazione di investimento o intermediazione mobiliare)8. Trattasi, in particolare, del c.d. mercato primario, ove il bisogno (di medio-lungo periodo) di risorse finanziarie da parte delle imprese si risolve col collocamento di strumenti finanziari di nuova emissione. A differenza del canale bancario, nel mercato mobiliare gli investitori accettano di partecipare allo scambio in vista di una remunerazione futura e meramente eventuale. Tale remunerazione si può ottenere sia mediante riscossione di interessi o dividendi, che in ragione della negoziabilità degli strumenti finanziari nel c.d. mercato secondario, in cui i titoli già emessi sono oggetto di scambio continuo (nel breve e nel brevissimo periodo) e possono essere rapidamente liquidati, producendo plusvalenze. In questo secondo modello di raccolta i risparmiatori, acquistando strumenti finanziari, assumono il ruolo di soci o di creditori e, per questa via, partecipano direttamente al rischio di impresa. Non si tratta tuttavia di canali che viaggiano su binari paralleli. L’evoluzione della finanza e la creatività degli operatori hanno sviluppato forme ibride di raccolta di capitali, che mescolano elementi caratteristici del primo e del secondo modello, come è ad esempio nel caso di raccolta a fronte di emissione di titoli obbligazionari acquistati da banche in occasione di c.d. collocamenti privati (private placement) o all’utilizzo di operazioni in derivati a scopo di finanziamento. Inoltre, si assiste a crescenti fenomeni di trasferimento del rischio di credito dalla banca al mercato mediante operazioni di cartolarizzazione ed emissioni di derivati di credito (ad esempio i credit default swaps).

Quale che sia il modello di raccolta di riferimento, esso è rispondene all’esigenza di far incontrare il bisogno delle imprese di raccogliere capitali nel

7 Questa inversione di tendenza è stata ugualmente avvertita in altri paesi dell’Europa continentale, come la Germania e la Francia che si sono aperte al mercato di capitali sotto le spinte riformiste comunitarie. Come ha messo efficacemente in luce MOLONEY (2002):“Indeed, in many respects the evolution of the integration

process is a story of the movement of the EC from a predominantly bank-based finance system (as far as continental economies are concerned) to a market-based finance system, although (…) this transformation is very far from complete”, p. 6. Resta ferma comunque la centralità delle banche che dominano l’industria

dell’intermediazione mobiliare. Come evidenziato nella Relazione Annuale Consob 2006, ai soggetti bancari è imputabile circa il 62% dei ricavi lordi complessivi da intermediazione mobiliare dell’anno 2005 ed il 76% circa dei ricavi netti (v. p. 45). Alle Sgr è imputabile il 31% dei ricavi lordi e solo il 16% circa dei ricavi netti, in quanto una quota cospicua delle commissioni ricevute dalle Sgr sono retrocesse alle banche del gruppo per servizi di collocamento e distribuzione. Le Sgr sono prevalentemente controllate da intermediari bancari (v. p. 46).

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Sulle differenze tra “capitalismo bancocentrico o renano” e “capitalismo mercatocentrico o anglosassone”, si veda, tra gli atri,RAJAN –ZINGALES, pp. 294 e ss.

medio-lungo periodo con le aspettative di profitto e le logiche di breve periodo degli investitori9. Il mercato finanziario, sia esso nella forma mercatocentrica o bancocentrica, svolge la funzione di colmare tale “sfasatura delle scadenze”, rendendo possibile uno scambio altrimenti difficile.

Come in ogni mercato, anche in quello finanziario gli opposti interessi (degli imprenditori e dei risparmiatori) si compongono nel meccanismo di formazione dei prezzi, che risulta dal continuo incrocio di domanda ed offerta. Secondo la teoria economica, il prezzo risultante incorpora le informazioni disponibili sul mercato e fornisce un segnale per una corretta allocazione delle risorse tra progetti alternativi che competono per la medesima fonte di finanziamento. In questo contesto ideale, i guadagni attesi dagli investitori costituiscono incentivi al trasferimento delle risorse verso un uso produttivo e le iniziative imprenditoriali sono continuamente monitorate, selezionate e finanziate dal mercato, e dunque da una pluralità di soggetti che operano in modo decentrato, conformemente a criteri di efficienza10.

Pertanto, il mercato finanziario favorisce l’efficiente mobilitazione del risparmio a fini produttivi, la specializzazione dei compiti11 e la separazione tra proprietà e controllo dei mezzi di produzione, fondamentale per l’esistenza di imprese ad alte intensità di capitale tipiche dei moderni sistemi capitalistici12. Tuttavia, se si passa dal piano delle semplificazioni del modello teorico alla complessità del mondo reale, gli economisti constatano che il processo di

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Si veda PARTNOY,p. 747.

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Indicazioni bibliografiche sulla efficient market hypotesis sono nel cap. I.

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Come è noto, le moderne economie capitalistiche si fondano sulla divisione del lavoro e sulla specializzazione dei compiti permesse dalla conclusione di una molteplicità di accordi di scambio e dall’attivazione di forme di cooperazione e coordinamento tra gli agenti. Al fenomeno della specializzazione del lavoro si associa quello del pooling, ossia del trasferimento delle risorse dalla generalità dei risparmiatori ad un più ristretto gruppo di “esperti”, che genera economie di scala, trasferimento dei rischi su una platea più ampia di soggetti e realizzazione di progetti altrimenti non perseguibili. Proprio la specializzazione ed il

pooling sono all’origine della fiduciari society, dello sviluppo delle relazioni fiduciarie. Cfr. FRANKEL (1983), pp. 802-804.

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Nella letteratura anglo-americana la separazione tra proprietà e controllo è generalmente riferita alla presenza di società di capitali con titoli altamente diffusi tra il pubblico, i cui azionisti non detengono una percentuale di partecipazione sufficientemente ampia per esercitare un controllo sulla gestione effettuata dagli amministratori della società (si veda in questo senso MARKS, p. 692). In realtà, come si avrà cura di descrivere nel quarto capitolo, la separazione tra la proprietà ed il controllo è un fenomeno più ampio, che ricorre anche nei mercati a proprietà concentrata, secondo modalità e forme peculiari. L’espressione, infatti, va intesa come scissione tra potere di decisione e sopportazione dei relativi rischi, per cui chi è nella posizione di prendere le decisioni non coincide con il soggetto che subisce le conseguenze economiche di quelle scelte. La bibliografia sul tema è sterminata. Tra i primi studiosi della questione è necessario citare BEARLE E MEANS, che già nel 1932 hanno identificato nella separazione tra proprietà e controllo la ragione d’essere del moderno capitalismo. Ulteriori essenziali contributi sono di MANNE (1965),JENSEN E MECKLING

(1976),FAMA E JENSEN (1983),EASTERBROOK,FISHEL (1991),COOTER,FREEDMAN (1991), ROE (1994),e HANSMANN (1996).Questi autori hanno ricondotto la questione al rapporto di agenzia e studiato l’insieme degli incentivi in grado di ridurre i costi derivanti dalla separazione tra proprietà e controllo (ossia dal rapporto principal - agent). Un’amplia bibliografia sul tema è riportata da KEIN. Si segnala un rinnovato interesse per la questione in tempi più recenti; fra i tanti contributi: BEBCHUK E ROE (1998), BLACK (1999), p. 781, ROE (1999),COFFEE (2000),COFFEE (2001).

spostamento di risorse dagli investitori agli imprenditori comporta inevitabilmente costi transattivi ed asimmetrie informative che complicano il modello13.

I costi transattivi possono essere definiti come “a) i costi di ricerca della controparte; b) i costi di produzione del contratto, cioè di ogni specifica attività finanziaria; c) i costi di valutazione dell’attività finanziaria all’inizio del contratto (screening); d) i costi di monitoring durante la vita del contratto, per verificare che non vari il rischio rispetto alla valutazione iniziale”14. Volendo riferirsi, a titolo esemplificativo, al processo di formazione del prezzo di un titolo, affinché il prezzo rappresenti un segnale significativo per l’efficiente allocazione delle risorse sarà necessario che il mercato disponga di informazioni affidabili e sufficienti sull’emittente e che quelle informazioni siano incorporate rapidamente ed accuratamente nel prezzo. Questo processo comporta il compimento di tre differenti attività e l’assunzione dei relativi costi: (i) la produzione e la ricerca di informazioni; (ii) la verifica della loro accuratezza; (iii) il pricing, ossia la corretta assegnazione ad esse di un valore monetario15.

L’asimmetria informativa dipende dalla diversa distribuzione delle informazioni relative ai progetti di investimento16. La separazione tra proprietà e controllo comporta che i gestori dell’impresa posseggono maggiori informazioni sui potenziali profitti o sulla rischiosità dell’attività rispetto agli acquirenti dei titoli o alle banche finanziatrici. Ciò determina l’instaurazione di relazioni di pricipal/agent (principale/agente), riscontrabili ogniqualvolta una parte interessata ai risultati di una certa attività (il principale) si affida per lo svolgimento della stessa ad un altro soggetto (l’agente), che dovrebbe operare nell’interesse del primo, in una situazione in cui le informazioni presenti sul mercato sono imperfette con riferimento sia alla conoscibilità delle azioni intraprese dall’agente, sia di quelle che questi avrebbe dovuto intraprendere17. Come è noto, secondo la

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Come è noto, il modello economico neoclassico si fonda su talune ipotesi semplificative particolarmente irrealistiche riguardo la perfetta razionalità degli agenti, sempre in grado di effettuare scelte ottimali sulla base di previsioni corrette, la disponibilità di informazioni completa, l’esistenza di un sistema legale e giudiziario in grado di garantire il rispetto degli accordi contrattuali. A partire dagli anni settanta sono state introdotte nuove ipotesi di lavoro che tengono meglio conto della realtà degli scambi economici. Questi studi hanno dato origine ad un nuovo filone della letteratura che va sotto il nome di economia dei contratti e ha fornito il supporto scientifico per spiegare fenomeni in precedenza ignorati, quali la creazione e l’evoluzione delle istituzioni economiche (c.d. economia delle istituzioni).

14

ONADO (2000),p. 350, nota4.

15

Sulla natura dei costi di transazione si faccia riferimento, più ampiamente, a COASE (1995);cfr. anche DENOZZA (2002), p. 38, che fa rientrare nella nozione di costi transattivi anche quelli derivanti dall’opportunismo e dalla razionalità limitata.

16

Così PERRONE (2006), pp. 372 e 373.

17

In termini tecnici, il rapporto economico di agenzia sorge quando il benessere di una parte, il principale, dipende dall’attività svolta da un’altra parte, l’agente. Il problema è quello di fornire all’agente incentivi sufficienti ad operare nell’interesse del principale, anziché seguendo elusivamente i propri interessi. Il modello principale-agente è utilizzato dalla teoria economica per analizzare le relazioni caratterizzate da problemi di asimmetrie informative, la cui presenza è tipica nei mercati mobiliari, sia nel caso in cui il

teoria economica, questo tipo di rapporto può comportare fenomeni di opportunismo, selezione avversa e azzardo morale (c.d. costi di agenzia)18.

In particolare, poiché gli interessi personali dell’agente possono divergere da quelli del principale ed il comportamento dell’agente o le informazioni in suo possesso non sono facilmente osservabili dal principale, l’agente può ritenere conveniente sfruttare l’asimmetria informativa comportandosi in modo opportunistico a discapito della controparte19. La convenienza per l’agente sta nel fatto che questi non sopporta il rischio delle decisioni che assume, in quanto gli atti che è chiamato a compiere non incidono sul proprio patrimonio, bensì su quello del dominus20. Di conseguenza, l’agente, se non sufficientemente incentivato ad effettuare le scelte più idonee alla cura dell’interesse altrui, è portato ad anteporre il proprio interesse a quello della controparte e a scegliere di agire abusivamente al fine di ottenere un vantaggio personale. Il vantaggio ottenuto in questo modo dall’agente è un’appropriazione di risorse non giustificata dalla relazione contrattuale, ma realizzata attraverso una condotta sleale, un atto che – come è stato notato – assume lo stesso significato della truffa21. Un comportamento scorretto di tal fatta costituisce un abuso di potere, una violazione della fiducia, dell’affidamento che il principale ha riposto nell’agente circa la rispondenza dell’operato al proprio interesse22.

principale non ha informazioni sulle azioni intraprese dall’agente (“azioni nascoste” – “hidden actions”), sia qualora il principale non conosce le caratteristiche dell’agente o dell’oggetto scambiato (“informazioni nascoste” – “hidden information”). Gli studi classici sul modello di agenzia sono di ARROW (1971),ROSS

(1973), STIGLIZ (1974), HOLMSTROM (1979). In generale, sul rapporto principale-agente e sul modello economico dell’agency si vedano, ex multis, BELLANTUONO,STIGLIZ (1998)p.185ss.,SARTORI (2001-II), p. 607 ss., PRATT E ZECKHAUSER (eds)(1985),ROSS (1973),p. 119 ss.,EASTERBROOK,FISCHEL (1991).

18

Si rinvia ai ragionamenti svolti nel capitolo introduttivo; cfr SARTORI (2001-II), p. 611 ss. Per quanto concerne la selezione avversa, la difficoltà di discernere tra investimenti buoni e cattivi comporta la progressiva regressione dei primi e, nel lungo periodo, la scomparsa del mercato: v. AKERLOF (1970)e, con specifico riferimento al mercato mobiliare, ex coeteris BLACK (2001), p. 786 ss. Sull’azzardo morale nel settore finanziario si veda per tutti ENRIQUES (1995).

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Volendo formalizzare questa relazione, possiamo indicare l’impegno dell’agente nello svolgimento dell’attività per conto del principale con la variabile e. Tale variabile per l’agente costituisce un costo, mentre per il principale influisce positivamente sull’effettiva realizzazione dei benefici economici attesi dalla transazione. Se il principale non è in grado di monitorare perfettamente l’agente, quest’ultimo sarà indotto a selezionare l’azione per lui meno costosa, indipendentemente dall’impatto che tale scelta avrà sul principale, determinando una situazione socialmente inefficiente. Cfr. NICITA eSCOPPA (2005), p. 37.

20 È questo tecnicamente il moral hazard. Cfr. ENRIQUES (1995).

21

Così POSNER (1972), p. 66 ss., BOWLES (1985),p. 115,DE LORENZI (1993), pp. 983 ss., 989 ss., 995 e FICI

(1997) p. 305.

22

Per fiducia si intende qui quella particolare relazione contraddistinta: (i) dalla presenza di asimmetrie informative che rendono economico per un soggetto (il principale) delegare ad un altro (l’agente) lo svolgimento di taluni compiti nel proprio interesse, (ii) dal fatto che il contenuto delle obbligazioni dell’agente non è rigidamente predeterminato, ma è discrezionale (c.d. open-ended contract) e (iii) da costi di monitoraggio dell’attività dell’agente proibitivi per il principale. Questo tipo di “fiducia” si differenzia da quelle tradizionalmente analizzate dalla dottrina giuridica italiana per avere un contenuto: (a) più ampio rispetto al negozio fiduciario tecnicamente inteso, ove rileva l’intestazione fiduciaria, ossia la dissociazione tra titolarità sostanziale e titolarità formale di un diritto, negozio che costituisce uno solo dei possibili modelli delle relazioni fiduciari (in cui rileva invece la dissociazione tra proprietà e controllo) e (b) più ristretto rispetto ai negozi fondati sull’intuitus personae, consistendo la fiduciarietà a cui ci si riferisce nel testo in qualcosa di più, ossia nell’affidamento dell’interesse del fiduciante all’altra parte perché ne abbia cura e nel

Il rischio di siffatti comportamenti opportunistici è acuito nell’ambito dei mercati finanziari dalla circostanza che i profitti ottenuti dagli investimenti dei risparmiatori possono non essere il risultato della buona gestione svolta dall’agente, ma sono influenzati da fattori causali al di fuori del controllo delle parti. Questa “incertezza” permette all’agente di nascondere più facilmente eventuali comportamenti di appropriazione e, quindi, ne incentiva ulteriormente il compimento23.

È su queste difficoltà che si innesta il ruolo degli intermediari finanziari, la cui presenza permette di mitigare le succitate insufficienze del mercato (“market failures”)24 e di facilitare lo scambio finanziario25. Essi, infatti, operando

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 79-89)

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