• Non ci sono risultati.

Standard come fonti di soft law internazionale

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 45-51)

4. Il piano della trasposizione: efficacia e diffusione degli standard internazionali

4.1 Standard come fonti di soft law internazionale

Questa, in estrema sintesi, è l’ideologia (di stampo neoliberista) di cui gli standard internazionali sono portatori e della quale l’Italia si è fatta promotrice mediante la propria partecipazione sia al G-7, ove questo progetto ha trovato ideazione e sostegno politico ufficiale, che in tutte le istituzioni internazionali coinvolte nell’elaborazione e nella promozione dei codici di condotta.

4. Il piano della trasposizione: efficacia e diffusione degli standard internazionali

4.1 Standard come fonti di soft law internazionale

Secondo le logiche della New Financial Architecture, la condicio sine qua non per il raggiungimento della stabilità finanziaria e della crescita economica è

101

Non si condivide l’opinione di coloro che vedono nel fenomeno della globalizzazione l’imporsi di “un’impostazione rivolta a realizzare la sconfitta della politica nella determinazione delle regole e dei

comportamenti delle imprese a favore di un prevalere delle ragioni dell’economia svincolate da qualsiasi condizionamento esterno” (da CARBONE (2005), P.311). Ci sembra piuttosto che sotto la parvenza di regole dichiaratamente neutrali, si scorge un programma ultraliberale, che ha origine e sostegno in scelte di fondo di alcuni governi nazionali e si sostanziano a livello internazionale nelle filosofie del Washington Consensus prima e della New Finanzia Architecture poi. A livello locale, quelle logiche si ripetono nell’ambito dell’Unione Europea, come espresse nelle quattro liberà sancite nel Trattato ed infine trasposte in ambito nazionale mediante l’armonizzazione minima delle regole. D’altra parte, a beneficiare del “minor controllo” dello Stato sull’economia sono proprio i paesi maggiormente industrializzati che godono di un vantaggio competitivo e di una potenziale situazione di rendita rispetto alle economie emergenti.

102

IRTI, p. 29, il quale nella pagine XII della prefazione cita molto efficacemente: “Fuori dalla politica

nessuno può uscire, neppure chi professi l’anti-politica del tecnicismo e delle competenze professionali”. Alla

frase famosa di Walter Rathenau, essere oggi il destino non più la politica ma l’economia, l’acuminata sottilità di Carl Smitt oppose: “Sarebbe più corretto dire che, ora come prima, il destino continua ad essere

rappresentato dalla politica, ma che nel frattempo è solo accaduto che l’economia è diventata qualcosa di ‘politico’ e perciò anch’essa ‘destino’”.

103

l’effettivo recepimento delle regole di best practice internazionale da parte di un numero di nazioni quanto più ampio possibile (quello che nel primo paragrafo abbiamo spiegato in termini di network effect).

Questo progetto, di carattere spiccatamente universalistico, si scontra tuttavia con la circostanza che i codici di condotta sono emanati da istituzioni rappresentative dei soli paesi industrializzati o composte esclusivamente da autorità tecniche104 – se non addirittura da rappresentanti del settore privato – e dunque prive di legittimazione politica.

Inoltre, i codici di condotta non rivestono la forma di convenzioni internazionali aperte alla sottoscrizione degli Stati, ma sono formalmente emessi come regole c.d. di soft law. Trattasi di fonti internazionali che sfuggono alle regole di sistemizzazione tipiche della tradizione giuspositivistica, in quanto sprovviste di forza vincolante105. Ciò nondimeno esse costituiscono atti giuridici che il cui intento è normativo (nel senso di essere volte ad influenzare la condotta dei destinatari), ma la cui adozione è effettuata su base meramente volontaria106.

Pertanto, da un punto di vista formale gli standard internazionali rappresentano un metodo di produzione normativa alternativo al monopolio statale: sfuggono ai normali canali istituzionali di produzione giuridica, non sono elaborati necessariamente da politici (il cui ruolo abbiamo visto svolgersi per lo più nei raggruppamenti di Stati), ma possono essere emessi da esperti che operano

104

Il fenomeno della produzione regolamentare da parte di raggruppamenti di autorità di vigilanza è stato scarsamente studiato dalla dottrina internazionalistica. I principali apporti sono di SLAUGHTER (2000) e (2004), che ha efficacemente identificato, descritto e classificato il fenomeno di internazionalizzazione del diritto amministrativo in corso in termini di un “globalization paradox”, evidenziando da un lato l’esigenza di istituzioni internazionali per risolvere incipienti problemi di azione collettiva favoriti dalla globalizzazione (es. mercati globali richiedono istituzioni sopranazionali) e dall’altro i pericoli che si celano nella centralizzazione del potere. La soluzione del paradosso è nell’affermarsi di una nuova forma istituzionale: i

government networks, ossia accordi e forme di cooperazione sul piano dell’armonizzazione, dell’enforcement

e dell’informazione tra agenzie di paesi differenti, che per l’Autore rappresentano il fulcro di “a new world

order of governance”. Alcuni Autori hanno risposto con scetticismo alla tesi che i government networks

possano effettivamente rappresentare una soluzione al paradosso della globalizzazione, in quanto in queste strutture mancano sufficienti garanzie di democraticità e accountability cfr. ANDERSON (2005). Per RAUSTALIA (2002) l’internazionalismo liberale e le nuove forme di cooperazione attraverso network sono destinati ad intrecciarsi e ad interagire.

105

Gli standard internazionali si trovano fuori dal quadro delle fonti indicate dall’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, tradizionalmente adoperato nella dottrina per individuare le fonti del diritto internazionale (l’articolo prevede che la Corte, nel decidere le questioni che le sono sottoposte, applica le convenzioni internazionali, la consuetudine internazionale e i principi generali del diritto). Gli standard internazionali, pertanto, di per sé sono privi di valore vincolante e non creano direttamente diritti ed obblighi, sebbene comunque possono determinare taluni effetti giuridici (cfr. PASTORE (2003), p. 5). In quanto non costituiscono trattati internazionali, gli standard non possono costituire oggetto del processo di ratifica previsto all’art. 11 della Costituzione Italiana.

106

Per utilizzare la definizione di SENDEN (2004), pp. 112 e 456, elaborata con riferimento alle fonti comunitarie, la soft law consiste in un insieme di: “Rules of conduct that are laid down in instruments which

have not been attributed legally binding force as such, but nevertheless may have certain (indirect) legal effects, and that are aimed at and may produce practical effects”.

in seno ad organismi tecnici o persino privati107. In quanto mettono in crisi i punti cardine della centralità dello Stato come fonte sovrana di diritto e della coercibilità come elemento caratterizzante il fenomeno giuridico, tali principi propongono una risposta realmente innovativa all’inidoneità del tradizionale sistema organizzativo interstatale a disciplinare i rapporti economici transnazionali108.

Nell’introduzione agli OECD Principles of Corporate Governance, l’efficacia degli standard internazionali è espressa come segue:

“The Principles are a living instrument offering non-binding standards and good practices as well as guidance on implementation, which can be adapted to the specific circumstances of individual countries and region. (…) It was agreed that the revision should be pursued in a way to maintaining a non-binding, principle-based approach, which recognises the need to adapt implementation to varying legal economic and cultural circumstances”.

Gli standard rappresentano, dunque, delle raccomandazioni prive di effetti vincolanti, che non possono essere annoverate tra le fonti di diritto strictu sensu109. Come è stato detto, tali regole possono essere considerate come: “quell’insieme di esperienze normative, fatte da accordi politici ed economici, non giuridicamente vincolanti, non obbligatori, ciò nonostante regolarmente rispettati, perché espressione della società internazionale”110. Esse sono tuttavia ascrivibili al fenomeno giuridico, oltre che politico; ciò che distingue il soft law dai semplici documenti politico-programmatici è “l’effetto conformativo non cogente”111

delle stesse, ossia la loro efficacia sul piano di fatto derivante dalla

107

Cfr. nt. 75.

108

Come bene sottolineato daPASTORE (2003), p. 10: “All’indebolimento della capacità regolativi della

legislazione fa riscontro l’aumento della rilevanza di strumenti giuridici soft, morbidi, ‘fluidi’, capaci di adattarsi a contesti diversi e di influenzare gli assetti presenti e futuri, restando pronti ad accogliere apporti ed input che arrivano in itinere”.

109

Secondo VISENTINI (Lezioni - 2000), p. 34-35: “carattere del diritto è la giuridica sanzionabilità delle

norme” poiché “la norma è di diritto se sul suo presupposto può essere discussa la rilevanza giuridica di un comportamento umano: o in quanto comportamento illecito, che rende passibile di pena l’agente; o in quanto comunque comportamento assunto produttivo di effetti giuridici”.

110

Così PANEBIANCO,p. 354. In termini simili si esprime anche il FSF che fornisce la seguente definizione di standard: “Standards are guidelines or principles that set out what are widely accepted as good principles or

practises in a given area (…). International standards are generally accepted by the international community as being objective and relatively free of national biases. (…) Standards are not an end in themselves but a mean for promoting sound financial systems and sustained economic growth.” (si veda www.fsforum.org). Il

FSF differenzia gli standard internazionali tra (i) principi (principles), di solito formulati in termini generici e in quanto espressione di canoni fondamentali flessibili; (ii) pratiche (practices), maggiormente dettagliate e volte ad indicare la migliore applicazione pratica di un principio; e (iii) linee guida (guidelines) che offrono un’indicazione specifica dei requisiti da soddisfare. Sulla soft law nel settore finanziario si veda anche GIOVANOLI, pp. 33-59, DIALTI, che a p. 536-537 cita numerose fonti bibliografiche in materia e JORDAN -MAYNONI,LEMMA (2006).

111

combinazione di vari meccanismi che ne assicurano l’effettività, l’adesione ad esse delle condotte nonostante i loro dettami non siano astrattamente vincolanti112.

A ben vedere, la mancanza di un’efficacia formalmente cogente, considerata da alcuni il tallone di Achille degli standard internazionali113, ne costituisce il reale punto di forza, un quid plus che ne ha permesso l’affermazione e la diffusione. L’ampio uso della soft law in campo finanziario si giustifica, infatti, proprio con la difficoltà di raggiungere un accordo sufficientemente ampio in una materia ove stridenti sono le differenze normative non solo tra paesi in uno stadio di sviluppo diverso, ma anche nell’ambito della ristretta cerchia dei Paesi Industrializzati114. La formalizzazione di norme e principi non vincolanti, negoziati tra Stati con economie relativamente omogenee (ambito OCSE) o da esperti tecnocrati (ad esempio IOSCO), è apparsa allora la soluzione più rispondente a conciliare l’obiettivo della convergenza normativa con le esigenze di celerità e flessibilità tipiche di mercati globali in continua e rapida evoluzione115.

Il processo decisionale che conduce alla definizione dei codici di condotta si caratterizza per la dimensione ridotta dei comitati ove sono negoziati, circostanza che ne facilita evidentemente il decision-making. Inoltre, l’adozione di delibere per consensus conferisce maggiore legittimità ed autorevolezza agli standard116. Tutto ciò ha favorito l’impressionante popolarità di tale approccio regolamentare, così diverso da quello che tradizionalmente caratterizza il diritto internazionale classico. Malgrado l’assenza di istituzioni sopranazionali rappresentative di interessi generali e legittimate ad emanare norme precettive, ne è emersa un’abbondante produzione di regole che di fatto costituisce un peculiare ed atipico ordinamento finanziario internazionale117.

112 Cfr. LEMMA (2006), p. 603 ss. 113 Cfr. GIOVANOLI, p. 45. 114

Come osservava con riferimento agli accordi di cambio GOLD (1983), la difficoltà ad utilizzare forme di regolamentazione hard nel campo finanziario dipende dal fatto che: “[f]irmer rules of law would be

undesirable because they would reduce the choice of policies available to governments”; secondo l’Autore

ciò che in realtà rileva non è tanto il carattere formalmente vincolante o meno della norma, quanto l’effettività della stessa. Si dirà in seguito come gli standard internazionali si caratterizzano esattamente per questo profilo: pur non essendo formalmente vincolanti, essi vengono diffusi secondo modalità che ne incentivano fortemente l’adozione.

115

Sul punto si vedano tra tutti EATWELL, The challenging facing international financial regulation, p. 14 ss e JORDAN-MANONI, p. 15.

116

V. DIALTI, p. 541.

117

In questo senso, BRESCIA MORRA, pp. 13-14. Si noti come l’atipicità degli standard in campo finanziario è tale da distanziare tali fonti dagli atti di soft law prodotti in altri settori del diritto internazionale. Mentre il

soft law è generalmente creato da soggetti di diritto internazionale, specialmente dalle organizzazioni

finanziarie piuttosto che dagli Stati (cfr. l’analisi svolta da THÜRER (2000), p. 454), in campo finanziario il primato è di autorità tecniche (IOSCO, Comitato di Basilea) ed il coinvolgimento di soggetti privati è massiccio.

Tale è stato il successo della soft law che le raccomandazioni sono divenute un sostituto, piuttosto che un complemento, delle tradizionali norme di hard law. Considerato il loro tenore generale ed astratto, simile a quello tipico di una qualunque norma giuridica interna, e considerato che sono indirizzati a soggetti diversi da quelli che hanno contribuito alla loro elaborazione, gli standard internazionali svolgono una funzione definibile para-legislativa. Tuttavia, come si è detto, il loro obiettivo non è un’armonizzazione tecnico-normativa, ma il coordinamento di pratiche orientate ad un fine condiviso. In altri termini, la soft law ha finito per supplire alla difficoltà di trovare l’accordo necessario alla stipula di trattati vincolanti, riempiendo efficacemente uno spazio normativo vacante. Gli standard internazionali hanno composto un sistema agile di fonti, in grado di colmare vuoti di legittimazione e di plasmare la norma ad esigenze particolari ed a realtà locali: uno strumento insomma con cui dare priorità alla flessibilità, a discapito della certezza del diritto118.

Pur in mancanza di una sanzione stabilita a fronte della mancata adesione, le norme di soft law sono senz’altro in grado di produrre effetti indiretti, ossia di tipo meta-giuridico e politico, nonché sanzioni “attenuate” e “non tradizionali”119. Innanzitutto, gli atti di soft law producono un effetto definito di “liceità”, ossia la certezza per chi vi si conformi, di non commettere un illecito nei confronti degli Stati (o, in caso di istituzioni tecniche come lo IOSCO, delle altre autorità) che vi abbiano votato a favore o che comunque l’abbiano approvati senza alcuna riserva120.

Anche in assenza di vincolatività sul piano giuridico, gli standard possono diventare, in pratica, cogenti una volta recepiti spontaneamente dagli operatori di mercato e/o dagli ordinamenti nazionali, anche eventualmente attraverso provvedimenti delle autorità amministrative membri degli standard setter. Tale seconda modalità di recepimento è favorita dalla circostanza che nella gran parte degli ordinamenti nazionali il diritto finanziario è un sistema complesso di regole, la cui definizione di dettaglio è lasciata alla discrezionalità delle autorità preposte alla vigilanza di settore.

Per le Autorità che partecipano agli organismi che hanno elaborato i codici di condotta, il recepimento dei principi diviene oggetto di un best effort, come

118

Si esprime in termini simili DURANTE,p. 4.

119

Di fatto, molti Autori dubitano che la soft law possa rientrare nell’ambito del diritto. Secondo GIOVANOLI, ad esempio, la soft law è piuttosto una policy reccomendation che può utilmente contribuire all’interpretazione delle norme vincolanti ad esso collegate (v. p. 7); secondo PASTORE (2003), invece, proprio in quanto la soft law rinvia al momento interpretativo ed applicativo essa è parte di un sistema giuridico che al giorno d’oggi presenta un intrinseco carattere polivalente e dinamico (v. p. 12 ss.).

120

espresso nell’introduzione degli Objectives and Principles of Securities Regulation, dove si legge:

“IOSCO members through their endorsement of this document express their commitment to the objectives and principles it sets out. Insofar as it is within their authority, they intend to use their best endeavours within their jurisdiction to ensure adherence to those principles. To the extent that current legislation, policy or regulatory arrangements may impede adherence to these principles, they intend that changes should be sought”.

Per quanto concerne più specificatamente l’ordinamento italiano, si noti come, allo stato, gli standard internazionali vigenti in materia di informazione al mercato godono di un’efficacia rafforzata, in ragione dei rinvii materiali ad essi effettuati dalla normativa primaria, particolarmente agli artt. 98-bis121, 117.2122 e 118-bis123 del TUF. In virtù dei suddetti richiami, gli standard internazionali rappresentano un riferimento che per legge le autorità di vigilanza di settore ed il Ministero delle finanze debbono considerare nell’emanare disposizioni regolamentari in materia contabile e nell’esercitare competenze di vigilanza, quali nel caso della Consob in occasione dell’approvazione dei prospetti informativi.

In ogni caso, e nonostante la sua natura per così dire “informale”, la soft law rappresenta uno strumento importante per affrontare i problemi emergenti, una chiave di lettura per interpretare il diritto interno e talvolta un modello da seguire, un’anticipazione di scelte regolamentari successivamente adottate in seno agli Stati nazionali124. In un certo senso, gli standard internazionali si pongono come

121

Così legge l’art. 98-bis del TUF: “Nel caso di emittenti aventi la loro sede legale in un paese

extracomunitario, per i quali l'Italia sia lo Stato membro d'origine, la Consob può approvare il prospetto redatto secondo la legislazione del Paese extracomunitario, ove ricorrano le seguenti condizioni: a) il prospetto sia stato redatto conformemente a standard internazionali definiti dagli organismi internazionali delle commissioni di vigilanza dei mercati, compresi i Disclosure Standards della IOSCO e b) le informazioni richieste, incluse le informazioni di natura finanziaria, siano equivalenti alle prescrizioni previste dalle disposizioni comunitarie”.

122

Così legge l’art. 117.2 del TUF: “Il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro

dell'economia e delle finanze, individua con regolamento tra i principi contabili riconosciuti in ambito internazionale e compatibili con quelli delle direttive emanate in materia dall'Unione Europea quelli sulla base dei quali gli emittenti strumenti finanziari quotati sia in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione, sia in mercati di paesi extracomunitari possono, in deroga alle vigenti disposizioni in materia, redigere il bilancio consolidato, sempre che i suddetti principi siano accettati nei mercati di paesi extracomunitari”.

123

Così legge l’art. 118-bis del TUF: “La Consob stabilisce con regolamento, tenuto conto dei principi

internazionali in materia di vigilanza sull'informazione societaria, le modalità e i termini per il controllo dalla stessa effettuato sulle informazioni comunicate al pubblico ai sensi di legge, comprese le informazioni contenute nei documenti contabili, dagli emittenti quotati”.

124

Gli standard internazionali hanno rappresentato un importante punto di riferimento anche per la produzione normativa europea. Si veda BRESCIA MORRA,pp.14-15. Sul piano del diritto internazionale la soft

law è utile alla ricostruzione delle norme consuetudinarie, funge da strumento preparatorio di trattati

internazionali e contribuisce a rendere chiara la portata delle convenzioni internazionali in essere, cfr. DI

una sorta di ius comune, un substrato sul quale si basano iniziative in grado di apportare a quelle regole effetti vincolanti; essi emergono come il prodotto di un sistema complesso di incastri tra livello istituzionale sopranazionale e competenze endostatali. Il loro carattere morbido facilita il raggiungimento tempestivo di un accordo sugli obiettivi e per questa via la convergenza verso un modello che nel contesto internazionale sarebbe impossibile diffondere (imporre) con metodi “hard”.

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 45-51)

Outline

Documenti correlati