• Non ci sono risultati.

Fenomenologia del conflitto di interessi dell’intermediario mobiliare

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 101-107)

5. Le iniziative internazionali a fronte dei recenti scandali finanziari

1.4 Fenomenologia del conflitto di interessi dell’intermediario mobiliare

L’analisi della tassonomia del conflitto di interessi non sarebbe completa se non facessimo riferimento all’elaborazione casistica rinvenibile negli ordinamenti con mercati finanziari più evoluti, che permette di descrivere con maggiore accuratezza il fenomeno74.

In generale, è possibile distinguere due tipologie di conflitti75:

(i) conflitto interno, che si verifica quando l’intermediario, o un soggetto a questo collegato o appartenente al medesimo gruppo, è portatore di un interesse ulteriore rispetto al guadagno atteso dal cliente; l’intermediario è indotto ad agire opportunisticamente, di solito estraendo una rendita o trasferendo un rischio non correttamente riflesso nel prezzo76;

74

Una interessantissima, ed in parte ancora attuale, analisi comparativa sul tema è in ANNUNZIATA (1993), p. 327 ss.

75

La medesima distinzione è rinvenibile all’art. 18(1) della MiFID dove si fa riferimento sia ai conflitti di interesse fra “imprese e clienti” che a quelli “fra due clienti”, e meglio specificata nella premessa (24) della Direttiva 2006/73/CE di secondo livello MiFID ai sensi della quale: “Tra le circostanze che devono essere

considerate tali da far sorgere un conflitto di interesse devono rientrare le situazioni nelle quali esista un conflitto tra gli interessi dell’impresa, o di taluni soggetti collegati all’impresa o al gruppo di impresa, e gli obblighi dell’impresa nei confronti della clientela; o tra gli interessi divergenti tra due o più clienti nei confronti di ciascuno dei quali l’impresa ha degli obblighi”. La norma peraltro riprende l’impostazione già

adottata all’art. 10 della direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993 (c.d. ISD), sostituita dalla MiFID. Similmente la Metodologia IOSCO, p. 118, richiama la necessità che clienti nella medesima condizione siano trattati in modo simile (v. infra). Un Autore ha criticato questa impostazione (con riferimento alle disposizioni della MiFID) in base alla considerazione che il conflitto di interessi presuppone un rapporto giuridico, che è quello tra l’intermediario e cliente, mentre non è rinvenibile alcuna relazione fra i diversi clienti, per cui “un conflitto di interessi fra i clienti, tale per cui la banca debba equamente trattare l’insieme dei clienti, non è affatto prospettabile” (v. MAFFEIS (2004) p. 463). Ci sembra invece che l’impostazione adottata in sede comunitaria e generalmente riconosciuta dalla dottrina sia corretta, in quanto evidenzia due fenomeni economico-giuridici distinguibili e che richiamano strumenti di gestione del conflitto differenti. In particolare, nel conflitto interno l’interesse che incide sul rapporto con il cliente è quello proprio (in senso ampio) dell’intermediario, mentre nel conflitto esterno l’interesse che incide sempre sul medesimo rapporto intermediario-cliente (e non certo su quello tra cliente e cliente) è un interesse altrui, alla cui cura l’intermediario è obbligato. In questa seconda ipotesi diviene rilevante il trattamento dei clienti in causa, nell’ambito del quale potrebbe manifestarsi il conflitto.

76

Cfr. WALTER, p. 3, il quale fornisce un’interessante casistica di conflitti di interesse nel rapporto tra intermediario e cliente, sia istituzionale che retail.

(ii) conflitto esterno, dovuto alla circostanza che l’intermediario presta i propri servizi nei confronti di una pluralità di clienti, di cui taluni sono più profittevoli degli altri: l’intermediario potrebbe ritenere conveniente agire in modo opportunistico per favorire il cliente (o una tipologia di clienti) dal quale si aspetta di ottenere il maggior il guadagno a discapito dell’altro77.

Un conflitto del primo tipo si verifica quando la banca colloca quote di un fondo comune gestito da un soggetto a cui essa è legata da rapporti di gruppo.78 Ulteriore caso tipico di sfruttamento di un conflitto interno è quello della banca che nel gestire i portafogli della clientela favorisce la vendita di prodotti finanziari emessi da società appartenenti al proprio gruppo ad un prezzo eccessivo o a prescindere dal profilo di rischio del risparmiatore o di criteri efficienti di diversificazione79.

Altro esempio è quello in cui un intermediario ha erogato credito, l’emittente finanziato versa in una situazione di crisi e ciononostante il titolo viene allocato sul cliente in modo da trasferire su di questi il rischio finanziario che altrimenti avrebbe sostenuto la banca80. In questa circostanza, l’intermediario può reputare conveniente avvantaggiarsi della propria superiorità informativa per

77

Questa tipologia di conflitto origina dalla circostanza che l’industria finanziaria trae maggiori profitti dalle attività di collocamento di titoli sul mercato primario e secondario e di consulenza in occasione di operazioni societarie straordinarie, rispetto a quelle di negoziazione e gestione dei portafogli di investimento per conto della clientela. Si veda PLATTNER, p. 5.

78

Così Trib. di Parma del 7 febbraio 2005, cit. in GOBBO,SALODINI (2006), p. 30, 26, nt. 93 e .

79

Cfr. Trib. Firenze del 30 maggio 2004 e del 19 aprile 2005 che hanno riconosciuto la sussistenza di un conflitto di interessi quando la banca è allo stesso tempo emittente e collocatrice, cit. in GOBBO,SALODINI

(2006), p. 30, p. 26, nt. 92; cfr. anche comunicazione Consob n. 20844/2000 e risp. quesiti nn. 1009635/2001 e 1011290/2001, su www.consob.it.

80

Cfr. Trib. di Venezia del 22 novembre 2004 e Trib. di Monza del 16 dicembre 2004, cit. in GOBBO, SALODINI (2006), p. 30, p. 26, nt. 91. Si questa tipologia di conflitto di interessi si fa anche menzione nell’indagine conoscitiva svolta dal Ministro dell’Economia a seguito degli scandali Cirio e Parmalat, citata in nt 5: “(…) una parte del sistema bancario italiano non ha solo supportato l’accesso delle imprese italiane

al mercato dei corporate bonds, ma ha anche identificato nell’apertura del nuovo canale una chance per ridurre la propria esposizione ad eccessi di rischio di credito assunti in precedenza. In dati casi, in corso di accertamento, l’accesso delle imprese al nuovo canale di finanziamento ha, in specie, avuto, per impulso di alcune banche, carattere indebitamente forzoso. In dati casi, in corso di accertamento, si sono concretizzati evidentissimi casi di conflitto d’interessi tra banche ed imprese, tra banche e proprie società di gestione del risparmio, tra banche e risparmiatori. In dati casi, via corporate bonds, si è realizzato un sostanziale swap tra attivi bancari e risparmio. Una parte non marginale del risanamento del sistema bancario italiano è stata fatta realmente, ma una parte è stata fatta tanto con operazioni sui cosiddetti non performing loans, su cui è necessario vigilare, quanto con swap, che hanno integrato, via traslazione dei rischi, il tipico paradosso della composizione: l’idea di potersi liberare di alcuni stock di rischio di credito in eccesso, trasferendoli a carico di terzi (risparmiatori o fondi) via mercato obbligazionario, l’illusione bancaria di poter considerare questa tecnica come risolutivamente liberatoria”. Sul ruolo delle banche nel crack Cirio vedi ampiamenteDI

STASO (2003-2004), p. 33 ss. eONADO (2003),p. 517 ss. che evidenzia come l’esposizione delle banche sul gruppo Cirio si dimezza grazie alle emissioni obbligazionarie compiute tra il 1999 e il 2002 e detenute interamente da privati risparmiatori, nonostante inizialmente destinate ai soli investitori professionali. Per il caso Parmalat cfr. DI STASO (2004), p. 38 ss.

favorire il rimborso del credito erogato e scaricare sulla platea degli investitori la propria esposizione, senza rendere note al mercato le difficoltà finanziarie dell’emittente indebitato.81 I recenti scandali finanziari hanno messo in evidenza proprio queste potenzialità conflittuali derivanti dallo svolgimento simultaneo delle attività bancarie di raccolta ed erogazione del credito (c.d. commercial banking) e la prestazione di servizi di investimento (c.d. investment banking) quali il collocamento e la negoziazione di titoli emessi dalla società finanziata quando questa sia decotta82. L’inconciliabilità degli interessi di cui l’intermediario è simultaneamente portatore si manifesta nella “tentazione” di conquistare nuovo business rendendo più laschi i criteri per l’erogazione del credito e contemporaneamente sfruttando le asimmetrie informative per esternalizzare il costo derivante dalla probabile insolvenza dell’impresa finanziata sulla platea dei risparmiatori83.

Passando all’ipotesi di conflitto esterno, esso si presenta quando l’intermediario è al servizio di una pluralità di clienti portatori di interessi divergenti, per cui la massimizzazione dell’utilità dell’uno può comportare una riduzione dell’utilità dell’altro. Ad esempio, è comune nell’ambito di un gruppo polifunzionale che un intermediario agisca come underwriter, mentre un altro operi come società di gestione del risparmio. In questa situazione, sotto un profilo economico, il conflitto è tra l’interesse dell’un cliente, l’emittente, a vendere i titoli sul mercato primario al più elevato prezzo possibile e l’interesse dell’altro cliente, il sottoscrittore di quote di fondi, che vorrebbe i titoli fossero acquistati al prezzo più basso possibile, in modo da massimizzare il ritorno economico della gestione. Pertanto, a seconda del prezzo a cui la banca e la società di gestione acquisteranno il titolo verrà favorito l’un cliente anziché l’altro84. È’ bene sottolineare che, anche nell’esempio appena fatto, la presenza di interessi contrastanti non necessariamente conduce ad un comportamento opportunistico. La società di gestione può, infatti, “gestire” il conflitto, ossia decidere di

81

In simili termini BOCHICCIO (2007),p. 468. La centralità della questione del trasferimento del rischio agli investitori retail è stata riconosciuta anche dalla Commissione Europea che, successivamente al crack della Parmalat, ha emesso nel 2004 una Comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo sulla prevenzione e la lotta delle pratiche societarie e finanziarie scorrette; sul punto cfr. p. 4.

82

Cfr. CAPPIELLO (2007), p. 40, ANNUNZIATA (2004), p. 177, BOCHICCHIO (2003), CESARINI (2005),p. 21, DRAGHI (2005),p.15, MESSORI (2004),p. 43,PAGNONI (2005), p. 159, SALANITRO (2004),p. 555,FIMMANÒ

(2004), p. 409, VELLA (2004),p. 468.

83

Come è noto, l’esternalità è il costo (o un beneficio, in ipotesi di esternalità positiva) associato all’esercizio di un’attività che non è sopportato da colui che esercita detta attività, ma da terzi “esterni”. Questa situazione comporta un’alterazione dei meccanismi di incentivo e di efficiente ripartizione delle risorse, meccanismo che presuppone che i costi sociali siano riflessi nei prezzi. La soluzione ai problemi di esternalità è nel costringere gli agenti a tener conto dei costi che la loro azione provoca sui terzi.

84

Su questo esempio ALBERTAZZI (2006) ha sviluppato un modello economico che evidenzia che, da un punto di vista teorico, l’opportunità di introdurre una regolamentazione particolarmente stringente in termini di rigida separazione delle attività di una banca universale è inversamente correlata al livello di razionalità dei partecipanti al mercato e, pertanto, al livello di sofisticazione e sviluppo del mercato finanziario locale.

scioglierlo eseguendo l’operazione con una parte terza a condizioni più convenienti per la propria clientela85.

Si noti che il conflitto di interessi occorre anche in seno all’intermediario che opera esclusivamente nell’ambito dell’uno o dell’altro canale di raccolta (c.d. intermediario specializzato). Un esempio tipico nel ramo delle banche di investimento è quando l’attività di underwriting si combina con quella ricerca e analisi finanziaria (tema che verrà trattato nel successivo capitolo) o con la consulenza, anche incidentale alla negoziazione, o con la gestione di portafogli prestata nei confronti degli investitori.

Per citare un caso che ricade nella tipologia di conflitto interno, qualora la domanda di mercato dei titoli acquistati a fermo si riveli inferiore alle aspettative della banca, questa potrebbe trovare “economico” disfarsi dei titoli in eccesso immettendoli in gestione o consigliandone l’acquisto anche a discapito dell’interesse del cliente. E’ inoltre facile che si verifichi un conflitto esterno, qualora l’attività di underwriting risulti di gran lunga più profittevole della prestazione dei servizi nei confronti di investitori retail e per questa ragione l’intermediario sia indotto a preferire l’interesse dell’emittente a vedere il proprio titolo oggetto di aggressive politiche di vendita rispetto a quello del cliente retail di ricevere consulenze finanziarie indipendenti86. D’altronde, un potenziale conflitto di interessi è insito anche nella semplice prestazione dell’attività di negoziazione, quando l’intermediario agisce sia per conto proprio che per conto terzi, e nella gestione individuale di portafogli di investimento nel caso in cui l’intermediario compia un elevato numero di operazioni al solo scopo di guadagnare commissioni di negoziazione (c.d. churning)87.

85

La difficoltà sotto un profilo pratico che cela tale tipo di approccio è nel valutare ex post se l’intermediario abbia effettivamente operato nell’interesse del cliente. Tale difficoltà è senz’altro meno sentita negli ordinamenti angloamericani, favorevoli al controllo decentralizzato tramite l’ampio esercizio di azioni civili e dotati di corti specializzate e procedure giurisdizionali più celeri ed efficienti rispetto ai paesi di civil law. Altri casi prasseologici di conflitto sono in MASI (1998), pp. 66-67.

86

Esempi di questo genere di abusi sono riscontrabili anche sul mercato statunitense nei casi Enron e Worldcom. In Europa, il problema del conflitto tra attività creditizia e mobiliare è generalmente visto come un caso particolare del più amplio problema del conflitto tra le diverse attività del mercato mobiliare, così che la disciplina del conflitto di interessi è tradizionalmente trattata non con riferimento specifico alla banca universale, ma nell’ambito della regolamentazione dei servizi di investimento; cfr. ANNUNZIATA (2004), p. 179 e COMPORTI (2005),p. 601.

87

Più in generale, il conflitto si verifica tra l’attività di gestione del portafoglio proprio e l’attività di gestore delegato del portafoglio della clientela quando nel riposizionare il proprio portafoglio verso attività meno rischiose, l’intermediario ha interesse a trasferire ai propri clienti parte del rischio vendendo loro le attività di cui intende disfarsi. L’incentivo, come evidenziato da GUISO (2004), può avere origine dal fatto che la cessione ai propri clienti evita i costi di transazione che verrebbero prodotti se l’operazione fosse eseguita sul mercato e fornisce all’intermediario un ulteriore guadagno dovuto alle commissioni pagate dalla clientela. Sul

Peculiari situazioni patologiche di sfruttamento dei conflitti di interessi si presentano inoltre nell’ambito delle gestioni collettive, come dimostra l’esperienza statunitense che recentemente ha visto coinvolti i fondi comuni in attività fraudolente di market timing e late trading88. Il market timing si verifica quando il gestore di fondi trasmette informazioni riservate sulla valorizzazione del patrimonio di un fondo ad un terzo, in cambio di favori quali maggiori opportunità di business o di collaborazioni; il terzo a sua volta sfrutta l’informazione compiendo lucrative operazioni di acquisto e di vendita del fondo. Il late trading occorre quando un broker permette ad un proprio cliente di inserire un ordine di negoziazione di una quota di un fondo dopo l’orario in cui viene calcolato il patrimonio netto e dunque determinato il prezzo. In questo modo, il cliente viene messo in condizione di poter sfruttare la conoscenza del nuovo prezzo effettuando trading in base al prezzo del giorno precedente. In alcuni casi i gestori del fondo sono a conoscenza del late trading e ne beneficiano sia sottoforma di commissioni ristornate dal cliente in percentuale dei guadagni ottenuti, che di accresciuti investimenti in fondi effettuati dal cliente favorito. Comune ad entrambe le ipotesi è la circostanza che il gestore utilizza informazioni in suo possesso per estrarre benefici non concordati né resi trasparenti agli investitori del fondo, con ciò violando precisi doveri fiduciari nei loro confronti89.

Conflitti di interessi occorrono anche in seno alla tradizionale banca commerciale quando ad esempio gli intrecci banca-impresa sono tali per cui l’intermediario può essere indotto a favorire il cliente-azionista della banca, finanziandone massicciamente le attività a condizioni diverse da quelle di mercato praticate ad altri clienti90. La presenza di azionisti-imprenditori che abbiano interessi in potenziale conflitto con la banca è infatti generalmente riconosciuta

88

Gli scandali sono occorsi particolarmente nel 2003 ed hanno stimolato la pronta reazione dello IOSCO il cui Comitato Tecnico ha nell’ottobre 2005 emanato una Best Practices Standards on Anti Market Timing and

Associated Issues for CIS (v. infra), disponibile su www.iosco.org. 89

Una casistica ed un’analisi dei fenomeni di market timing e late trading sono in MAHONEY (2004); BIRDTHISTL (2006), p. 1453 ss., il quale considera il conflitto di interessi del gestore applicando il medesimo strumentario analitico generalmente utilizzato per la problematica della remunerazione degli amministratori delle società. Sui presidi predisposti dall’ordinamento statunitense per far fronte a tali pratiche abusive successivamente agli scandali che hanno coinvolto i fondi comuni di investimento nel 2003 cfr. DE NARDIS

(2004), NAGY (2006), p. 12 ss. che analizza l’importanza di una vigilanza pubblica sui fondi; BULLARD

(2006), pp. 1290 ss. e 1316 ss.; MARKHAM (2006), il quale svolge anche un’analisi comparativa delle misure di corporate governance vigenti in relazione alle varie forme di gestioni collettive esistenti negli Stati Uniti. Sulle problematiche regolamentari sollevate dalle violazioni compiute dai fondi sul mercato statunitense e dal coinvolgimento degli hedge fund nelle pratiche di market timing e late trading v. COFFEE (2004) e KARMEL

(2005), particolarmente pp. 929-933.

90

Per un esame delle situazioni di conflitto endobancario cfr. CASSELLA (1996), p. 792 ss.;ENRIQUES (1996), p.635 ss; GUISO (2004), p. 455 ss.; NIGRO (2005), p. 315 ss.; ANNUNZIATA (2004), p. 177 ss.; LUCARINI

(2004), p. 63 ss.; BRESCIA MORRA (2006), p. 91 ss.; MESSORI (2004-I), p. 52 ss.; SARCINELLI (2005), p. 6 ss.; COMPORTI (2005),p. 610. In letteratura statunitense si è appuntata piuttosto sui profili del conflitto derivante dalla circolazione di informazioni riservate; ampia casistica è fornita in BUCK, BOWEN (1999). Le novità introdotte nella legge sulla tutela del risparmio in materia di conflitti di interessi relativamente all’intermediario bancario (particolarmente le modifiche agli artt. 53(4) e 136 del TUB) sono commentate da ANTONUCCI,PARACAMPO (2007), p. 290 ss.

come distorsiva, soprattutto quando tali imprenditori si trovino in difficoltà finanziarie e riescano ugualmente ad ottenere credito sfruttando la propria partecipazione alla definizione delle scelte strategiche della banca. Evidentemente una tale situazione procura un’allocazione inefficiente delle risorse e dei servizi finanziari offerti91. Un’altra ipotesi di conflitto è riscontrabile nel recente caso di scalata bancaria, in cui la Banca Popolare di Lodi operava concedendo finanziamenti a condizioni estremamente vantaggiose a favore dei propri clienti col proposito si raggiungere finalità ulteriori rispetto a quelle dell’erogazione del credito, particolarmente al fine di agevolare l’acquisto del controllo della Banca Antonvenenta92.

Alcuni studi economici recenti hanno evidenziato che, in talune circostanze, le potenzialità di conflitto presenti in un intermediario specializzato, che offre una gamma limitata di prodotti finanziari, sono superiori rispetto a quelli di una banca universale. Il primo intermediario, infatti, avrà incentivi a fornire informazioni distorte al cliente quando la migliore opzione commerciale per il cliente non coincide con nessuno dei prodotti offerti dall’intermediario specializzato. La banca universale, invece, in quanto offre una molteplicità di prodotti, è in grado di fornire un’assistenza maggiormente credibile e più adeguata alle esigenze e alle caratteristiche finanziarie dell’investitore93.

Tuttavia, è generalmente riconosciuto che il rischio di insorgenza del conflitto tende a diventare tanto più forte quanto più sono numerose le attività ed i

91

Proprio in ragione di queste preoccupazioni circa gli effetti negativi del connubio banca-impresa la legge bancaria del 1936 aveva, come è noto, introdotto in Italia un rigido sistema di specializzazione temporale dell’attività bancaria, per cui si distinguevano le “aziende” che finanziavano a breve (entro 18 mesi, c.d. credito commerciale) dagli “istituti” che gestivano mutui di medio/lungo periodo (c.d. credito mobiliare). Le prime erano istituti di credito ordinario, tra cui le banche pubbliche, chiuse all’azionariato estero, le casse rurali e di risparmio, le banche popolari e le ex banche di emissione. Il credito industriale era inizialmente di competenza esclusiva dell’Imi, Crediop e Icipu. Si aggiunsero poi Mediobanca, Centrobanca ed Efibanca. Dalla specializzazione temporale discendevano di fatto anche altre specializzazioni, quali quella territoriale e quella del settore di riferimento. Inoltre, gli enti creditizi venivano suddivisi in pubblici e privati, con forme legali differenti. Tale elevato grado di specializzazione accentuava la segmentazione del mercato e comprimeva il grado di concorrenzialità. Da tali indirizzi regolamentari e dal peso dominante della proprietà pubblica nelle banche italiane e la connessa attribuzione di funzioni di pubblica utilità determinarono per molti anni una sostanziale separatezza fra capitale bancario e industriale. Due eccezioni significative erano rappresentate tuttavia da Mediobanca, la cui struttura proprietaria era incentrata su un patto di sindacato tra banche pubbliche e le principali imprese industriali private, e dal sistema delle banche popolari, con struttura proprietaria diffusa tra imprenditori operanti nell’area di insediamento della banca. Si vedanoMESSORI (2004-I), p. 43 ss.; TARANTINI (1999), p. 22 e COSTI (1994), p. 50. Il sistema bancario italiano è stato poi rivoluzionato dall’arrivo della seconda Direttiva bancaria europea, che ha permesso la nascita e lo sviluppo del modello della banca universale, ha dato l’avvio ad un processo di consolidamento e ad un pervasivo riassetto proprietario delle banche italiane. La nuova normativa ha inoltre allentato le barriere tra banche e imprese e ciò si è tradotto in tempi recenti ad una maggiore rilevanza quantitativa e qualitativa dei legami e degli incroci proprietari fra banche e imprese.

92

Cfr. MALAGUTTI E ONADO (2005), p. 331 ss., in cui si ricostruisce la vicenda nel dettaglio, e COMPORTI

(2005),p. 610 che vi accenna in nota 32. Il caso verrà trattato più ampiamente nel quarto capitolo, in quanto si tratta di una ipotesi di conflitto endosocietario, più che di conflitto nel rapporto tra intermediario e cliente.

93

servizi offerti dall’istituzione e potenzialmente in grado di dare origini ad interessi

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 101-107)

Outline

Documenti correlati