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Disposizioni speciali in materia di gestioni collettive

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 153-161)

3. La disciplina italiana del conflitto di interessi precedentemente il recepimento della Direttiva MiFID

3.4 Disposizioni speciali in materia di gestioni collettive

Partendo dal diritto comunitario, da cui il nostro deriva, il conflitto di interessi nella prestazione dei servizi di gestione collettiva è disciplinato nella Direttiva 86/611/CEE sugli organismi di investimento collettivo (come successivamente modificata, di seguito la “Direttiva UCITS”) in termini analoghi alla ISD. In particolare, ai sensi dell’art. 5-septies (1)(b) della Direttiva UCITS, gli Stati membri devono prevedere a carico delle società di gestione un obbligo di strutturarsi e organizzarsi “in modo tale da ridurre al minimo il rischio che gli interessi degli OICVM o dei clienti siano lesi dai conflitti d’interessi tra la società e i suoi clienti, tra i suoi clienti, tra uno dei suoi clienti e un OICVM, o tra due OICVM”. Secondo l’art. 5-novies (d), alle società di gestione deve essere imposto l’obbligo di “sforzarsi di evitare i conflitti di interessi e, qualora ciò non sia possibile, provvedere a che gli OICVM che gestisce siano trattati in modo equo”.

In Italia le suddette disposizioni sono state trasposte all’art. 40, co. 1(b) del TUF, che stabilisce a carico del gestore in monte un obbligo di organizzarsi in modo tale da “ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse”, mentre la regola dell’agire in conflitto di interessi prevede il rispetto del criterio dell’“equo trattamento degli Oicr”. Pertanto, anche nell’ambito delle gestioni collettive si rinviene la medesima stravagante circolazione della clausola generale del fair treatment intervenuta per i servizi di investimento, con tutte le problematiche interpretative di cui si è già precedentemente discusso (v. par. 2.2). Tuttavia, a differenza che nell’ambito disciplina dei servizi di investimento, per le gestioni collettive all’equo trattamento non fa seguito alcun riferimento al principio della trasparenza225.

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L’art. 40.1(b) legge: “Le Sgr devono (…) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di

conflitti di interesse anche tra i patrimoni gestiti e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque un equo trattamento.” Un’ulteriore disposizione rilevante ai fini che ci constano è l’art. 36 (Fondi

comuni di investimento), comma 4, ai sensi del quale: “Nell’esercizio delle rispettive funzioni, la società

promotrice, il gestore e la banca depositaria agiscono in modo indipendente e nell’interesse dei partecipanti del fondo”.

In effetti, già prima della trasposizione della MiFID il regime di trasparenza applicabile agli organismi di investimento collettivo era decisamente più blando rispetto alla regola generale del consenso informato prevista all’art. 27 del Regolamento Intermediari. Ciò poteva spiegarsi in parte dalla circostanza che la natura e le caratteristiche del servizio sono tali per cui – a differenza che nelle gestioni individuali, dove il cliente ha diritto ad impartire in ogni momento istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere226 – il partecipante in monte è, per così dire, strutturalmente privo di qualunque possibilità di incidere sulle scelte di investimento del gestore, a cui è delegata la più ampia discrezionalità nei limiti degli obiettivi di investimento indicati nel prospetto e dei vincoli di legge. In questo settore, dunque, non è configurabile alcuna forma di tutela fondata sull’autorizzazione specifica del singolo investitore. Nulla avrebbe impedito, tuttavia, l’adozione di un regime di trasparenza sufficientemente stringente da permettere al risparmiatore di conoscere e giudicare la posizione e le scelte del gestore in materia di conflitti, così da poter valutare in modo più consapevole l’opportunità di investimento e disinvestimento nel particolare organismo. In questo modo, l’informazione avrebbe contribuito alla valorizzazione del funzionamento dei meccanismi di mercato, che vedono nel potere di scegliere a quale gestione affidarsi e nella facoltà di cambiare prodotto una modalità essenziale attraverso cui l’investitore può, sul fronte della domanda, incidere sulla qualità del servizio.

Invece, la portata della regola sul conflitto di interessi dettata dall’abrogato art. 49 del Regolamento Intermediari non risultava coerente con quanto raccomandato dalla best practice internazionale, sia in ragione del limitato operare della regola del fair treatment, che per la mancanza di una piena trasparenza circa la presenza di conflitti di interesse nell’espletamento di compiti di gestione collettiva.

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Cfr. art. 24(1)(b) del TUF. A ben vedere, tuttavia, le esigenze di tutela del risparmiatore che si avvale del servizio di gestione individuale non solo differenti rispetto a quelle del sottoscrittore di quote di un OICR. Questo spiega l’evoluzione della disciplina delle gestioni collettive che, inizialmente concentratasi sugli aspetti prudenziali e di stabilità, è oramai sempre più vicina a quella dei servizi di investimento. Significativa è stata in questo senso l’emanazione delle direttive nn. 107 e 108/2001/CE che hanno introdotto anche in questo settore regole di condotta del gestore (v. artt. 5-septies e 5-nonies dell’UCITS), elaborate sulla falsariga di quelle previste nella ISD. Questo trend e l’esigenza ad esso sottesa sono riconosciuti anche dal CESR, cfr. The Role of CESR in the Regulation and Supervision of UCITS and Asset Management Activities

in the EU, (ref. CESR/03-378b) dell’ottobre 2003. Al contrario, come è stato osservato da CHIO (1998), p. 506, il TUF – al pari delle disposizioni precedenti - insiste sulla diversità tra le gestioni collettive ed individuali, ponendo a carico degli intermediari regole di comportamento differenti rispetto a quelle contemplate per la prestazione dei servizi di investimento. Tuttavia, non è possibile individuare dal punto di vista sostanziale una netta linea di demarcazione tra le due attività. L’Autore continua, nelle p. 508 e ss., con l’indicazione degli elementi giuridici che permettono di differenziare i due servizi, pur così funzionalmente simili (particolarmente, la natura del diritto del risparmiatore sul patrimonio, la possibilità o meno di questi di intervenire nella gestione e la personalizzazione della gestione all’interesse del singolo o della massa). Si veda riguardo questi profili anche ANNUNZIATA (2005), p. 269 ss.

In particolare, il primo comma dell’art. 49 del Regolamento Intermediari autorizzava il gestore ad operare in conflitto (anche quando esso fosse derivato da rapporti di gruppo, rapporti di affari propri o di società del gruppo), a condizione che fosse garantito un “equo trattamento degli OICR avuto riguardo agli oneri connessi alle operazioni da seguire”. La disposizione era particolarmente criticabile in quanto dava rilevanza ai fini dell’applicazione del già dubbio criterio dell’“equo trattamento” al solo aspetto dei costi connessi alla gestione in conflitto, ignorando che, come chiaramente espresso dallo IOSCO, la presenza di un interesse in contrasto avrebbe potuto incidere su altri profili riconosciuti ugualmente meritevoli di tutela dal punto di vista degli investitori. Questi aspetti ulteriori trovavano già riconoscimento in un’altra disposizione normativa contenuta nel Regolamento Intermediari. Essi erano riflessi nelle generali regole di condotta dettate in materia di gestione collettiva all’art. 48 (ora art. 65), in cui si dava rilevanza non solo all’esigenza di contenimento degli oneri a carico del fondo, ma anche ai doveri di: (a) operare in modo indipendente e conforme ai principi del TUF; (b) rispettare gli obiettivi di investimento formalizzati nel prospetto informativo; (c) astenersi da ogni comportamento che possa avvantaggiare un patrimonio gestito, ai danni di un altro; (iv) acquisire una conoscenza adeguata degli strumenti finanziari, beni ed altri valori nei quali investire; (v) in ogni caso, operare al fine di ottenere dal servizio di gestione il miglior risultato possibile. Tutti questi obblighi non trovavano corrispondenza nella regola dell’equo trattamento dettata all’art. 49 del Regolamento Intermediari. Per questa ragione, la norma male si conciliava con i più estesi obiettivi di tutela alla base della regolamentazione delle gestioni collettive, peraltro espressi nel medesimo Regolamento.

Si sarebbe potuto osservare che il lassismo della regola trovava un bilanciamento nello strumento genetico/preventivo del divieto per le società di gestione del risparmio di svolgere attività diverse dalla gestione collettiva, individuale e di fondi pensione (art. 33 del TUF). Tuttavia, tale disciplina – nell’apparenza più rigorosa in quanto basata su vincoli di tipo strutturale – non eliminava il rischio di abusi derivanti dallo sfruttamento di conflitti derivanti dall’appartenenza del gestore ad un complesso gruppo polifunzionale. Tale pericolo, ben evidenziato dagli standard IOSCO, è tanto più concreto nel mercato italiano, dove – come sottolineato sia dalla Consob che dalla Banca d’Italia nelle rispettive Relazioni annuali 2006 – la quasi totalità dell’attività di gestione è svolta da soggetti riconducibili, sotto il profilo proprietario, a gruppi bancari,

circostanza che evidentemente moltiplica i conflitti ed amplifica il rischio di abusi227.

Inoltre, i pervasivi legami tra enti creditizi ed SGR fa sì che le reti commerciali dei prodotti di gestione vengano a coincidere con quelle del rispettivo conglomerato di appartenenza, con la conseguenza che la conquista di nuovi mercati finisce per intervenire non già stimolando l’intrinseca qualità del prodotto, quanto forzando l’aspetto distributivo228. In questa situazione, l’attività delle società di gestione: “appare orientata al facile traguardo di un’espansione non fondata sul contenimento del costi operativi, bensì sulla capacità di ampliare la rete distributiva”229.

Nel secondo comma del medesimo art. 49 del Regolamento Intermediari si prendevano in considerazione gli ulteriori profili di conflitto derivanti dalla prestazione da parte di terzi di servizi in favore delle società di gestione del risparmio e delle SICAV. La disposizione si rendeva necessaria per via del fatto che la SGR, autorizzata ad effettuate solo attività di gestione, può avvalersi nell’espletamento delle proprie funzioni dei servizi di investimento di altri intermediari, che operano di volta in volta come negoziatori, o che prestano servizi di ricezione e trasmissione di ordini, collocamento o servizi accessori. Il tema è alquanto “scottante”, considerato che i forti legami proprietari tra gestori e imprese di investimento incrementano il rischio che i servizi siano prestati in quantità e/o ad un costo eccessivi. Gli abusi sono favoriti soprattutto laddove le medesime persone fisiche titolari di deleghe di gestione nella SGR svolgono compiti operativi in imprese appartenenti al medesimo gruppo finanziario.

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La Banca d’Italia precisa, tuttavia, che: “La prevalenza degli intermediari inseriti in gruppi bancari e

assicurativi è una caratteristica comune dei principali mercati continentali. Tra i primi 20 operatori europei dell’asset management nelle classifiche dell’Institutional Investor, 18 erano costituiti da gruppi bancari ed assicurativi.” Questo aspetto è riconosciuto da WYMEERSCH (2006), p. 7 e p. 13, il quale evidenzia che, al contrario di quanto occorre in europa continentale, nel mercato statunitense ed anglossassone le gestioni collettive non fanno necessariamente capo a gruppi bancari.

228 Si legge a tale proposito nella Relazione annuale 2006 della Banca d’Italia: “L’industria italiana del

risparmio gestito rimane basata sull’integrazione verticale fra reti distributive (banche e assicurazioni) e fabbriche di prodotto, con ruolo predominante delle strutture distributive. (…) In Italia, il modello di integrazione verticale ha consentito (…) la creazione e lo sviluppo delle fabbriche di prodotto, ma non ha stimolato la loro capacità di proporsi con strategie autonome al di fuori del gruppo di appartenenza.” Su

questa problematica si faccia riferimento anche allo studio di CAPRIGLIONE (2002), particolarmente p. 456 e ss; nonché al saggio di COSTI,MESSORI (2005),p. 68 e ss.

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Così CAPRIGLIONE (2002), p. 459. Come sottolinea PENATI (2004), pp. 474-475, a partire dal 1993 e sino alla fine del 2000, banche ed assicurazioni si sono trasformate in “gigantesche reti di distribuzione dedicate

alla vendita al dettaglio”, costruendo reti molto costose e sfruttando l’eccezionalità delle rendite finanziarie

occorse in quegli anni, anche a seguito del minor rendimento dei titoli di stato. Ciò ha fatto digerire ai risparmiatori commissioni troppo elevate, ma sarebbe stata un’illusione credere che gli elevati margini derivanti dal risparmio gestito sarebbero durati in eterno. Ora, secondo l’Autore, non resta alle banche italiane che tagliare i costi di distribuzione, ridurre quelli di gestione e puntare sulla qualità dei prodotti.

In questo ambito, il Regolamento Intermediari richiedeva innanzitutto alle Sgr e alle SICAV di individuare i casi in cui le condizioni contrattuali che regolano il sevizio del terzo sono in conflitto con gli interessi degli OICR gestiti e di assicurare che:“a) che il patrimonio degli OICR non sia gravato da oneri altrimenti evitabili o escluso dalla percezione di utilità ad esso spettanti; b) che vengano illustrate agli investitori nel prospetto informativo le fonti di reddito o le altre utilità percepite a fronte della prestazione del servizio di gestione collettiva dalla società di gestione del risparmio o dalla SICAV non direttamente derivanti dagli OICR a titolo di commissioni gestionali.”

Pertanto, per un verso il Regolamento esprimeva la necessità che i rapporti con i terzi fossero tali da non costituire una forma di traslazione sugli investitori di costi (incluse le mancate utilità) non strettamente necessari ai fini della gestione o non conformi ai prezzi ed alle condizioni di mercato. Si trattava di una norma che guarda alla sostanza del fenomeno, imponendo sulla SGR il raggiungimento di un preciso risultato funzionale alla tutela dell’investimento effettuato dai risparmiatori. L’altro profilo, quello della trasparenza, risultava invece carente, in quanto per le gestioni collettive la normativa si limitava a prevedere una disclosure nel prospetto informativo del fondo dei soli conflitti derivanti da fonti di reddito o altre utilità della SGR diverse dalle commissioni gestionali. Gli standard IOSCO, invece, raccomandano una regolamentazione di ben più ampio respiro, e tale da assicurare agli investitori un’informazione completa sui conflitti e sulle procedure e le politiche interne adottate dall’intermediario per gestirli.230

Passando agli aspetti strutturali, organizzativi e di governance, il principale presidio deputato alla tutela degli investitori dal rischio di comportamenti opportunistici del gestore collettivo è la frapposizione tra il fondo ed il gestore della banca depositaria, la quale – oltre che garantire una migliore separazione patrimoniale – ha il compito di vigilare, in modo indipendente e nell’interesse dei partecipanti, sulla conformità dell’operare del gestore con la legge ed il regolamento del fondo231. Sotto un profilo formale, una tale soluzione appare in linea con la best practice internazionale, che abbiamo visto aver riconosciuto

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La disciplina comunitaria dei prospetti informativi risolve solo in parte questa carenza informativa, in quanto pur prevedendo l’inclusione nel prospetto di informazioni più dettagliate e complete circa la sussistenza in capo al gestore di conflitti di interesse, quelle norme non si applicano alle gestioni collettive, con l’eccezione dei fondi chiusi. Pertanto, è solo per questa categoria di fondi che trova applicazione il più pervasivo regime di trasparenza dettato nella direttiva prospetti.

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Cfr. art. 36(4) del TUF ai sensi del quale “Nell’esercizio delle rispettive funzioni, la società promotrice, il

gestore e la banca depositaria agiscono in modo indipendente e nell’interesse dei partecipanti al fondo”. I

compiti della banca depositaria sono esplicitati all’art. 38 del TUF. L’interposizione della banca depositaria è stata sancita sin dalla prima direttiva UCITS 85/611/CEE, che impone l’obbligo di affidare i beni del fondo e della SICAV in custodia presso un depositario; sul ruolo della banca depositaria cfr. FERRARIS DI CELLE E

SZEGO (1998), p. 394 ss., ENRIQUES (2000-III), p. 167 ss., COLAVOLPE (2005),p. 615 ss.,DESIDERIO (2004), p. 161 ss.

questo modello come una delle possibili modalità di prevenzione dei conflitti di interesse e di monitoraggio dell’attività del gestore.

Tuttavia, critiche potevano sollevarsi in considerazione delle peculiarità strutturali del nostro mercato finanziario. Salvo rare eccezioni, le banche depositarie in Italia sono società appartenenti al medesimo gruppo finanziario dei gestori, con la conseguenza che tra controllore e controllato vi è una colleganza poco favorevole all’espletamento di una vigilanza indipendente232. Manca un qualsivoglia incentivo per favorire la presenza di società di gestione non controllate da gruppi bancari233 ed i requisiti stabiliti dalla Banca d’Italia per l’autorizzazione all’assunzione dell’incarico di banca depositaria non sembrano sufficienti a porre al riparo dal rischio, evidenziato anche dallo IOSCO, che l’indipendenza si risolva nel rispetto di attributi meramente formalistici234.

L’unico presidio che sembrerebbe poter garantire un esercizio indipendente della funzione di controllo potrebbe essere la regola ex art. 38, co. 2 del TUF per cui la banca depositaria è responsabile nei confronti della società di gestione del risparmio e dei partecipanti al fondo di ogni pregiudizio da essi subito in conseguenza dell'inadempimento dei propri obblighi. Tuttavia, come dimostra il

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Il medesimo problema è sentito a livello comunitario, come emerge dalla Comunicazione della Commissione Europea del 30 marzo 2004, concernente la “Regolamentazione relativa ai depositari degli OICVM negli Stati membri: esame e possibili sviluppi futuri”. In particolare, al par. 2.3 si riconosce che “le

garanzie tecniche” per garantire l’indipendenza del depositario “sono molto limitate” (nella direttiva si

prevede solo un divieto di contrarre prestiti e effettuare vendite allo scoperto per conto dei fondi). Ricordiamo che, allo stato, i depositari non godono del passaporto comunitario e, secondo la Commissione Europea, i mercati nazionali appaiono chiusi alla competizione da parte di depositari esteri (v. par. 4.1.1).

233

L’opportunità di introdurre in Italia tali incentivi è auspicata anche da COSTI,MESSORI (2005),p. 126.

234

In particolare, ai sensi del Provvedimento Banca d’Italia del 14 aprile 2005 (Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio), “l’incarico di depositario non può essere conferito qualora il presidente dell’organo

amministrativo, l’amministratore delegato, il direttore generale o i membri del comitato di gestione della SGR o della SICAV svolgano una delle seguenti funzioni presso la banca che intende assumere l’incarico: (a) presidente dell’organi amministrativo, amministratore delegato, direttore generale; (b) dirigente responsabile – anche se appartenente ad una struttura intermedia dell’organigramma aziendale – delle strutture organizzative della banca che svolgono funzioni di banca depositaria”. Pertanto, l’elemento

necessario ai fini del soddisfacimento del requisito di indipendenza è, per la Banca d’Italia, la mancanza di identità personale tra i soggetti che rivestono ruoli chiave nel gestore e nel depositario, mentre non ha più rilevanza l’eventuale rapporto partecipativo tra la banca e la società di gestione. Il problema nel contesto italiano è proprio che la banca depositaria è quasi sempre il soggetto che controlla, spesso totalitariamente, il gestore, di tal guisa che il conflitto di interessi è istituzionale e non può essere sufficientemente controbilanciato dalla mera inammissibilità del cumulo di cariche. Cfr. ENRIQUES (2000-III), p. 186 ss., il quale evidenzia tuttavia che è difficile stabilire la bontà di soluzioni alternative, quali l’imposizione alle SGR del ricorso ad una banca non appartenente al gruppo, che potrebbero scatenare una serie di conseguenze in termini di innalzamento dei costi e comportamenti collusivi, di cui è arduo stabilire la portata. Si potrebbe controbattere che la capacità di un gestore di scaricare i costi sui partecipanti dipende dall’esistenza o meno di un assetto di mercato concorrenziale e che, similmente, gli aspetti della collusione tra concorrenti rientra nell’ambito di applicazione delle regole antitrust, della cui applicazione è competente un’apposita autorità; al contrario permettere lo svolgimento delle funzioni di controllo sulla SGR dal socio di maggioranza della stessa vuol dire radicalizzare il conflitto in un settore dove è estremamente difficile valutare ex post la correttezza dei comportamenti degli operatori, considerata l’amplissimo margine di discrezionalità riconosciuto al gestore. Certamente il tema è assai complesso e meriterebbe di essere approfondito dalle autorità italiane mediante un’accurata analisi dei costi e benefici che deriverebbero da una diversa regolamentazione dell’indipendenza del depositario.

fatto che - per quanto ci consta - nessuna azione di responsabilità di tal fatta è stata sinora esercitata, la norma è di difficile applicazione considerato il pesante onere della prova a carico di parte attrice in un giudizio in cui non troverebbe applicazione l’art. 23, co. 6, del TUF ed i problemi di azione collettiva che in questo settore risultano particolarmente forti.

Relativamente agli aspetti più spiccatamente organizzativi, il Provvedimento Banca d’Italia 2005 disponeva che le SGR dovessero adottare sistemi di controllo interno, le cui misure applicative potevano essere determinate dall’intermediario in modo autonomo ed in funzione delle dimensioni, della complessità operativa della gestione e della tipologia di prodotti offerti. Il sistema dei controlli interni doveva essere finalizzato al monitoraggio di linea, al controllo dei rischi, alla verifica della conformità alle disposizioni normative ed alla revisione interna. Il Provvedimento non menzionava esplicitamente il conflitto di interessi tra le materie incluse. Più limitatamente, si prevedeva tra i compiti di alta direzione e di definizione delle strategie interne da parte dell’organo amministrativo quello, formulato in termini alquanto generici, di stabilire limiti e procedure per minimizzare i rischi derivanti dalle situazioni di conflitto di interessi e di verificarne periodicamente la corretta attuazione (v. Titolo IV,

Nel documento LUISS - G. CARLI (pagine 153-161)

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