3.3 La griglia teorica di partenza: teorie antropologiche sul nazionalismo
3.3.3 Connor e il senso di appartenenza all'etnia
Una prospettiva radicalmente diversa si trova nell'analisi svolta sull'etnonazionalismo dal politologo Walker Connor, considerato un pioniere in questo campo per la profondità delle sue analisi e per aver previsto la rilevanza politica e culturale dei fenomeni legati alle ideologie nazionaliste e alla formazione degli Stati e delle Nazioni nel mondo occidentale contemporaneo.
Lo studioso americano ha una formazione di base di orientamento marxista, con particolare riferimento al pensiero di Althusser e alla sua analisi sul rapporto tra struttura e sovrastruttura.
Negli anni Settanta, in controtendenza rispetto al mainstream dominante nelle scienze sociali, Connor è stato tra i primi studiosi a porre l’attenzione sulla questione degli etnonazionalismi. In più occasioni lo studioso ha evidenziato come non fosse in atto alcuna “rinascita” del nazionalismo. Al contrario, il tema della nazione e del nazionalismo, così come il problema dell'etnia, non avrebbe mai abbandonato lo scenario socio-economico occidentale.
Nonostante i fenomeni della razionalizzazione, in senso weberiano, i nazionalismi nelle loro diverse declinazioni continuavano a esistere in pubblicazioni clandestine o nei racconti che le generazioni si tramandavano nel tempo.
L'analisi degli etnonazionalismi in Connor, nella prima fase della sua ricerca, parte da una critica radicale alle teorie politologiche allora dominanti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che traducevano il paradigma della modernizzazione, applicato alla formazione dei nuovi Stati, nella teoria della “costruzione della nazione”. Questa prospettiva, entro cui matureranno in seguito anche analisi come quella di Huntington sullo “scontro di civiltà”120, affermava che i valori occidentali incorporati nell'idea di Stato emersa con l'illuminismo si sarebbero estesi anche alle nazioni sottoposte ai processi di decolonizzazione. Connor dimostrò invece che proprio il fattore “sviluppo tecnologico”,
120 Cfr. S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del
che avrebbe dovuto diffondere il modello classico europeo di Stato, stava producendo effetti opposti.
La diffusione dei media, alla base del villaggio globale preconizzato anni prima da McLuhan, non aveva creato processi di uniformità e omologazione identitaria tra la popolazione delle nazioni che stavano uscendo dal colonialismo. Contrariamente a quanto previsto dalla teoria politologica della “creazione della nazione”,121 rinascevano le rivendicazioni identitarie e i gruppi sociali tendevano a differenziarsi non solo in base a condizioni economiche, legate alla struttura in classi e ceti nella società, ma anche a partire da criteri etnici. In questo processo, un ruolo cruciale era giocato dai mezzi di comunicazione di massa che, come vedremo analizzando il pensiero di Anderson, avranno grande peso nella costruzione della “comunità immaginata”.
I mezzi di comunicazione, consentendo una sempre maggiore quantità di contatti tra gruppi e individui, avrebbero generato non fenomeni di ibridazione ma di contrapposizione e conflitto tra comunità etniche. Questo a causa della complessa relazione di distinzione tra il proprio gruppo etnico e gli altri gruppi, che Barth ha descritto nelle sue ricerche etnografiche a proposito dei contatti tra etnie che si creano negli spazi di frontiera122. A differenza di Gellner, Connor non ritiene che il concetto di nazionalismo sia l'effetto di dinamiche storiche contingenti e nemmeno condivide la prospettiva costruzionista, che legge l'etnia come risultato di processi sociali legati alla valorizzazione di tradizioni culturali o folkloriche da parte di un atto volontario, prodotto all'interno di un gruppo sociale. A giudizio dello studioso statunitense, la coscienza nazionale nasce da strati psicologici profondi presenti nell'individuo.
Il senso della nazione è un legame psicologico tra le persone e un’entità come lo Stato o la comunità etnica. Un legame con valenze inconsce, che produce la credenza di essere legati ad alcuni individui e di essere differenti da altri che appartengono a una diversa nazione. Il concetto di credenza123 assume quindi una rilevanza centrale nel pensiero di Connor, così
121 P. Scarduelli, La costruzione dell'etnicità, cit., p. 112. 122 Cfr. F. Barth, I gruppi etnici e i loro confini, cit.
123 Il discorso antropologico ha affrontato il tema della credenza in due direzioni: da un lato, un lavoro etnografico consistente nella descrizione e analisi delle credenze che accomunano i membri di un gruppo sociale e che costituiscono parte della cultura del gruppo sociale studiato. Si tratta di studiare le “credenze” attraverso la ricerca etnografica, ovvero elencare e analizzare gli oggetti delle convinzioni dichiarate all’etnologo dagli attori sociali. Antropologi come Rodney Needham e Dan Sperber hanno sviluppato invece un’analisi epistemologica del concetto di credenza, come stato mentale fondato su un atteggiamento di certezza attraverso cui gli individui accettano un’idea e la considerano vera. In questa direzione, è possibile individuare un'analogia tra l’antropologia culturale e l’analisi di Connor.
come la dimensione psicologica a esso legata.
Un legame psicologico analogo a quello che, nell'ambito della psicologia sociale, è denominato “senso di appartenenza”. Esso nasce dal bisogno di affiliazione e si concretizza in azioni e sentimenti di condivisione con altri delle stesse preferenze e dei medesimi valori. Questo sentimento di appartenenza, che può essere tradotto in termini di “solidarietà meccanica” rimane costante e proietta sulla nazione il carattere di stabilità e indissolubilità nel tempo. In questo senso la teoria di Connor può essere inserita all'interno di quelle concezioni della nazione e del nazionalismo che A. D. Smith definisce perenni.124
Gli individui che condividono questo sentimento e che riconoscono di avere origini comuni creano la nazione. Le origini comuni possono essere un mito di fondazione, una narrazione fantastica oppure la rielaborazione di un evento storico particolare, che all'interno di una tradizione diviene momento fondante del gruppo etnico.
Connor può essere definito un “essenzialista”, giacché ritiene l’etnia esistente come prodotto di un sentimento psicologico di appartenenza a un’entità chiamata nazione.
Conseguentemente, per lo studioso il nazionalismo identifica il concetto di etnia con quello di nazione. L'etnia, intesa come insieme dei tratti di distinzione di una specifica popolazione rispetto ad altri gruppi sociali, diviene il nucleo perenne della nazione. Parlare di nazionalismo o etnonazionalismo significa compiere la medesima operazione teorica. Il sentimento psicologico di appartenenza alla comunità nazionale precede il fatto di condividere una tradizione o una lingua e le molteplici determinazioni culturali che caratterizzano le società umane. Le radici sostanziali dell'etnia vanno ricercate nelle pulsioni profonde che caratterizzano la natura umana, al di là dei processi di socializzazione primari e secondari.
Per quanto riguarda i baschi, nella sua raccolta di saggi Etnonazionalismo125 Connor illustra due aspetti riguardanti le cause dei processi di etnicizzazione di questa popolazione.
Nel primo caso, rileva come le rivendicazioni identitarie dell'etnia basca non siano dovute a cause di tipo economico: l'analisi fatta all'inizio del primo capitolo conferma quest’osservazione. Negli ultimi trent'anni, gli abitanti della Comunità Autonoma dei Paesi Baschi godono di un reddito pro capite tra i più alti di Spagna, insieme ai cittadini catalani.
124 A. D. Smith, La nazione. Storia di un'idea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, p. 80. 125 W. Connor, Etnonazionalismo, cit., pp.250-251.
Il secondo aspetto concerne la teoria del sentimento psicologico di appartenenza considerata come essenza del nazionalismo, mentre elementi come la lingua, assunti come fattori di distinzione etnica, sarebbero secondari.
La storia culturale dei Paesi Baschi e il lavoro che ho svolto sul campo offrono dati che sembrerebbero confutare l’osservazione di Connor. Dalle interviste svolte, dalle analisi dei documenti storici e dall'osservazione della vita quotidiana a Deba, l'uso e la valorizzazione dell'euskara emergono come elemento fondamentale alla base del sentimento di appartenenza al gruppo etnico. Esso si associa alla memoria collettiva e individuale della violenza subita durante il franchismo e alla condivisione delle pratiche culturali che rientrano all'interno della dimensione del folklore. Gli etnonazionalisti, nelle loro azioni e nelle loro politiche etniche, hanno sempre fatto largo uso del discorso sulla lingua euskara, prima ancora che sul sentimento di affiliazione alla comunità basca.