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Da circa due anni nei mass media generalisti spagnoli (reti televisive pubbliche e private e grandi quotidiani) lo spazio informativo dedicato a temi inerenti alla vita e alla cultura nella Comunità Autonoma dei Paesi Baschi appare irrisorio, quasi assente. Se si individuano articoli, essi occupano spazi marginali che si riducono a informare circa qualche sciopero in risposta alla grave crisi economica che investe la Spagna. In alcuni casi, nelle pagine interne del “Mundo” o “El País” troviamo qualche recensione riguardante feste popolari, avvenimenti sportivi o rassegne cinematografiche che si svolgono in territorio basco. Questi articoli, confrontati con quelli del passato, si riducono a semplici elenchi o descrizioni di eventi147.

Il motivo di questo calo d'interesse va cercato nella scelta da parte di ETA di abbandonare, almeno temporaneamente, la lotta armata contro il governo spagnolo e di aprire un tavolo negoziale tra nazionalisti e governo di Madrid.

Nata nel 1959 da una scissione del Partito Nazionalista Basco, ETA ha commesso, dalla sua fondazione fino all'estate del 2009, 862 omicidi, principalmente tra le forze dell'ordine spagnole, francesi e basche, ma sono stati colpiti anche rappresentanti politici e semplici cittadini, vittime delle autobombe preparate dall'organizzazione.

Alle azioni più sanguinose se ne sono affiancate molte altre, dal 1970 in poi, di carattere propagandistico: dai sequestri agli incendi sistematici di cassonetti e arredi urbani, che nella strategia militare di ETA sono chiamati Kale borroka.

Questo clima continuo di guerra a bassa intensità tra ETA e Stato spagnolo ha sempre attirato grandissima parte dell'attenzione dei media sul tema della violenza politica nei Paesi Baschi. Analizzando le annate complete di “El País” dal 2009 al 2012, raramente ho

147 Prima della tregua tra ETA e Stato spagnolo, queste iniziative culturali diventavano spesso casse di risonanza dei nazionalisti, che vi si inserivano in modo non concordato con gli organizzatori e cercavano forzatamente di diffondere i loro messaggi.

trovato informazioni o approfondimenti che toccassero aspetti o problemi di carattere culturale nelle tre province basche. La rappresentazione di questa parte di Spagna che emerge nei media spagnoli è quella di un'etnia totalmente sussunta e identificabile nelle pratiche terroristiche di ETA148.

Nonostante la presenza di ETA, che ha fatto della separazione dalla Spagna il proprio progetto politico, la maggioranza della popolazione non è favorevole alla lotta armata, anche se nelle ultime elezioni del 2011 più del quaranta per cento degli abitanti delle tre province basche ha indirizzato le proprie preferenze elettorali verso Amiur, una coalizione nata dalle ceneri di Herri Batasuna, che si oppone costantemente al governo spagnolo. Non mostrarsi favorevoli alle azioni di ETA e nello stesso tempo votare in modo da far eleggere come Lehendakari (presidente del Governo della Comunità Autonoma Basca) un rappresentante delle associazioni dei familiari dei presos (detenuti per reati politici appartenenti all'organizzazione ETA), è la prima delle molte contraddizioni che segnano il rapporto tra nazionalisti e popolazioni basche.

Una seconda contraddizione interna ai Paesi Baschi riguarda la coesistenza in essi di una forte componente che, a livello sociale e politico, si identifica con l'arcipelago dei partiti e delle associazioni culturali etnonazionaliste, mentre la restante parte della popolazione, pur definendosi basca per ragioni genealogiche o perché comprende e parla la lingua euskara, accetta la sovranità spagnola e combatte duramente le azioni terroristiche.

Per queste persone, la nazione Euskadi o Euskal Herria (com’è definita dai nazionalisti dal postfranchismo in poi) non esiste affatto. Esiste la Spagna, suddivisa in diciassette regioni autonome, una delle quali è la Comunità Autonoma dei Paesi Baschi.

Un terzo aspetto problematico è la dislocazione territoriale delle sette province in cui la popolazione basca, intesa come insieme d’individui che parlano la lingua euskara, è distribuita. Gli etnonazionalisti lottano per il riconoscimento di queste province considerandole un’unica nazione e si oppongono alla realtà giuridica, che vede i Paesi Baschi sotto la sovranità di due differenti Stati, Francia e Spagna. La storiografia francese, quella spagnola, e in misura minore (per l’esiguità dei testi e delle ricerche prodotte rispetto a tali tematiche) la storiografia basca, hanno mostrato come fino all'Ottocento la divisione dei territori bascofoni tra Francia e Spagna non comportasse problemi nel

148 Cfr. M. A. Iglesias, Memoria de Euskadi. La terapia de la verdad, todos lo cuentan todo, Madrid, Aguilar, 2009.

rapporto tra le popolazioni e gli organi di governo di Parigi e Madrid.

I problemi iniziarono a sorgere in seguito, per due ordini di motivi, di carattere giuridico e sociale. Il primo ordine di motivi, sul piano dell'amministrazione giuridica, concerne la riduzione dei diritti storicamente acquisiti nei fueros e l'emanazione di decreti che comportavano un maggior controllo da parte della monarchia, specie per quanto riguarda Vizcaya e Guipúzcoa.

Il secondo interessa la dimensione socioeconomica, in particolare il progressivo avanzare della modernizzazione attraverso l'industrializzazione della zona di Bilbao, che ha creato nuove contraddizioni sociali, andate a sommarsi a quelle già presenti, costituite dalla progressiva perdita di potere dei fueros a vantaggio del potere centrale. E proprio nella Bilbao di fine Ottocento, in esponenziale sviluppo economico e industriale, nascerà il movimento nazionalista di Sabino Arana a rivendicare la formazione di un nuovo Stato indipendente.

In questa prima fase di industrializzazione, è possibile assistere a forti movimenti migratori da altre zone della Spagna verso i Paesi Baschi. I Paesi Baschi diventeranno un territorio abitato da persone provenienti da zone diversissime, rendendo la situazione ancora più complessa, giacché l'arrivo di galiziani, catalani e valenciani renderà il rapporto tra le tradizioni culturali ulteriormente complesso e articolato. Con l'avvento dell’industrializzazione, diviene sempre più difficile individuare il “tipo basco puro” idealizzato nella narrazione etnonazionalista dedicata ai fueros149. Da questo momento, con l’arrivo dei nuovi migranti, gli etnonazionalisti porranno alla popolazione il problema di differenziarsi non soltanto da chi abita al di fuori delle sei province e da quelli che non conoscono l'euskara, ma anche dai gruppi che vivono nei loro stessi territori ma appaiono privi delle caratteristiche sopra citate.

Sul riconoscimento e la discriminazione tra baschi e non-baschi si svilupperanno due tendenze all'interno del movimento nazionalista. Da una parte, sarà considerato basco chi, genealogicamente, presenta almeno un genitore con cognome basco, dall'altra tutti quelli che parlano la lingua euskara. Dagli anni Venti in poi, sarà riconosciuto come appartenente alla nazione basca esclusivamente chi, oltre a parlare il basco, può vantare all’interno del proprio albero genealogico la presenza di almeno un parente con cognome basco.

149 Narrazioni in cui si parla del “tipo basco come tipo ariano” oppure della nobiltà universale dell'abitante di Guipúzcoa, al di là dell’appartenenza sociale. Chi apparteneva ai fueros di Guipúzcoa e Vizcaya, se accusato di reati o eresie legate alla pratica religiosa cristiana, non poteva essere sottoposto a tortura.