La mia ricerca etnografica, preceduta dallo studio degli avvenimenti storici e della letteratura scientifica prodotta fino al 2005, ha scelto di privilegiare l'area geografica della Guipúzcoa dove, nel corso del secolo passato, l'etnonazionalismo ha operato con maggiore incisività rispetto alle altre province basche.
Ho scelto quindi di risiedere in una zona rurale, in un baserri situato nella parte superiore della collina che si affaccia sulla costa marina di Deba.
Il baserri, caserio in lingua castigliana, rappresenta l'unità abitativa più semplice nel territorio basco ed è sempre situato, per le sue funzioni produttive e sociali, in aree montane o rurali159.
Dopo un’attenta ricerca durata all’incirca un mese, nel corso del quale ho alloggiato presso la residenza dell'Opera universitaria di San Sebastián, mi sono indirizzato verso il baserri “Donibane”, gestito dalla signora Rosa F. e dalla sua numerosa famiglia, che comprende due figli, il genitore paterno e la madre del marito, deceduto anni prima.
Si tratta di un complesso molto ampio, in cui la zona residenziale comprende tre diverse aree abitative: una destinata alle permanenze temporanee di pellegrini e turisti, una occupata dalla famiglia proprietaria del baserri e una adibita a mini appartamenti per minori in difficoltà, gestiti dai servizi sociali di San Sebastián.
Io alloggiavo in una stanza poco distante dalla seconda area del baserri, quella produttiva, che include due capannoni per collocare gli attrezzi agricoli, tra cui quattro trattori, magazzini per la raccolta dei prodotti agricoli e infine recinti e gabbie per gli animali da allevamento, tra i quali una decina di mucche, due tori e circa un centinaio di piccoli animali da allevamento (conigli e galline). Il baserri “Donibane” comprende inoltre un ampio frutteto e una zona non abitata e non utilizzata per le attività produttive, residuo della struttura iniziale.
Come già avvenuto per la scelta della piccola cittadina, la decisione di abitare nel baserri “Donibane” non è stata dettata dal caso, ma attuata in sintonia con i presupposti alla base
del progetto etnografico: la letteratura etnologica mostra il baserri come istituzione sociale fondamentale all'interno della cultura rurale basca. Alcuni studiosi, come Joseba Zulaika160, arrivano ad affermare che la crisi del baserri può essere considerata una delle cause alla base della trasformazione, negli anni Cinquanta, delle forme di azione e rappresentazione simbolica all'interno dell'universo culturale dell'etnonazionalismo.
La mia scelta rispondeva anche a motivazioni di carattere logistico, come il fatto di vivere in un'area rurale e allo stesso tempo avere la possibilità di raggiungere agevolmente la periferia di Deba percorrendo un sentiero situato lungo il cammino per Santiago de Compostela.
La struttura residenziale in cui ho soggiornato è il risultato della ristrutturazione di un
baserri che stava per essere dismesso dalle sue funzioni produttive a causa delle ricorrenti
crisi economiche che hanno colpito il settore agricolo sulla costa orientale della Guipúzcoa, nella prima parte degli anni Sessanta. Crisi che comportavano un progressivo abbandono del lavoro agricolo da parte delle giovani generazioni, a favore del settore industriale. Una situazione storicamente analoga e con effetti sociali simili a quella verificatasi agli inizi del Novecento in Vizcaya, quando i processi d’industrializzazione spinsero la popolazione rurale a trasferirsi alla periferia di Bilbao.
Il baserri, o baserria, è un’istituzione sociale fondamentale nella cultura rurale basca e la sua trasformazione o abbandono sono sempre stati il segno di radicali trasformazioni e mutamenti sociali. Le aree circostanti Deba e Itziar sono state definite da Zulaika come “una sociedad tipicamente de caserio”.
Nel parlare quotidiano, quando in Guipúzcoa si utilizzano i termini baserri oppure caserio, generalmente si fa riferimento a due tipologie di strutture: la casa rurale in senso classico e l'unità produttiva nella sua totalità, che comprende spazio abitativo, persone, terra, granaio e animali da allevamento.
Si tratta di una struttura molto semplice nella sua organizzazione, che generalmente si sviluppa orizzontalmente su di un solo piano suddiviso in due parti: la prima utilizzata come spazio abitativo per le persone, la seconda destinata agli animali. Esiste poi un terzo spazio che svolge la funzione di magazzino o granaio e che di solito è fisicamente collegato alle due parti precedenti.
La casa, pensata e vissuta attraverso questa modalità spaziale, appare quasi come un’area protetta. Al suo interno le persone, il granaio, il magazzino degli attrezzi da lavoro e gli animali formano un’entità unica e totale, finalizzata alla persistenza e alla riproduzione di se stessa. Nelle tre aree si riscontra un’interazione continua tra persone, animali e utensili. Il risultato di questo interagire è una relazione dinamica tra la struttura architettonica, i limiti ecologici nel rapporto uomo-animale e le necessità produttive.
Osservando l'area rurale di Deba, si resta colpiti dalla particolare distribuzione dei baserri nell'ambiente. Isolati e distanti uno dall'altro essi si contrappongono, nel paesaggio, alla concentrazione di case e di strade caratteristica del piccolo centro di Deba. Osservati dalle montagne che circondano Deba, possono essere rappresentati come punti dispersi che assediano, da grande distanza, l'abitato urbano.
Tradizionalmente, fino agli anni Settanta, il baserri era gestito da una struttura familiare di tipo allargato, basata su forme di diritto consuetudinario. Spesso era amministrato da due nuclei familiari, il primo facente riferimento al “vecchio padre” (guraso zarrak), l’altro al figlio maschio (guraso gazteak) insieme ai figli. Oltre ai due nuclei familiari originari vi si trovava il gruppo domestico, che poteva includere membri acquisiti per discendenza, matrimonio e/o adozione. In alcuni casi sono ammesse nel nucleo domestico persone che non necessariamente presentano legami di sangue o relazioni particolari con i membri della famiglia. Ne possono ad esempio far parte anche individui privi di un proprio nucleo familiare, che lavorano o lavoravano per la baserria.
Condizione essenziale per far parte del gruppo domestico è aderire alle finalità del baserri e riconoscersi nella sua “particolarità”. Ogni baserri ha un proprio nome e all'entrata della struttura abitativa si possono generalmente trovare alcuni segni che rimandano alla sua storia. A ogni baserria sono attribuite una specifica identità, originalità e immutabilità. Il baserri, come emerge dalla lettura di molteplici testimonianze sulla vita dei contadini baschi, è percepito e considerato come una “piccola patria”.
La dispersione dei baserri all’interno dello spazio paesaggistico è in parte legata alla loro specifica funzione produttiva: per motivi economici, la terra che circonda la casa deve comprendere tra i cinque e i dieci ettari di terreno coltivabile, quindi sul piano geografico le singole unità sono necessariamente separate da ampie distanze. Giuridicamente, casa e terra risultano indivisibili e rimangono tali anche nella successione ereditaria.
Considerando complessivamente gli elementi di carattere architettonico, economico, giuridico e sociale che lo caratterizzano, possiamo affermare che il baserri rappresenta, sul piano simbolico, la produzione e la cultura agricola nella sua totalità.
A proposito di questa dimensione totalizzante, Rosa, nata e cresciuta nel baserri “Donibane”, mi disse:
Una baserria è come un piccolo paese, ha un suo nome, una sua storia, una sua identità e anche una sua personalità. È come Deba, Itziar, Ondarroa o Elioraga. Possedere come casa (etxea) un caserio è diverso dal vivere in un appartamento in città. Un caserio è un nome, una famiglia, una comunità allo stesso tempo. Io sarei potuta rimanere qua tutta la vita e non andarmene mai. Poi le cose sono cambiate, mi sono sposata e sono andata a vivere a Deba. Di solito solo i figli maschi rimangono nel caserio. Poi però io sono dovuta tornare, quando è morto mio marito. Sono tornata nella casa, nella mia casa. Qui mi sentivo protetta e mi sento protetta anche oggi, anche se le cose sono mutate rispetto a quando ero giovane. Pur non essendo la primogenita, alla fine ho preso io il controllo della casa. Curo mio padre, ho fatto da infermiera a mia madre, ho tirato su i miei figli. C'è stato quel problema che ti ho detto, quando ho fatto entrare nel caserio quel nostro ex contadino, quando volevo ristrutturare perché con la frutta e le bestie non ce la facevo proprio. Lui non era mai uscito dalla campagna ed è per questo che ha fatto tanti errori e poi si è litigato. Io, invece, sposandomi sono andata in città, Patxi lavorava nel commercio e così ho capito che le cose stavano cambiando e che se volevo salvare il caserio dei genitori si doveva cambiare strada, fare altro. Poi la sfortuna mi ha riportato qui e allora ho messo in pratica quello che avevo imparato a Deba e ci siamo salvati. Abbiamo messo insieme un po’ di turismo, di frutteto, di latte e formaggi e poi c’è stata l'idea di Ines di fare questo spazio per i ragazzi sfortunati.161
Nel suo racconto, Rosa fa riferimento alla crisi subita dall'istituzione sociale del baserri. Dagli anni Sessanta, l'economia che ruota intorno alla baserria162 non è più sufficiente per soddisfare i bisogni dei nuclei familiari che la compongono. Il tipo di produzione, su base
161 Intervista n. 1.
familiare, non riesce a competere con la grande produzione di latte, carne e prodotti vegetali. Le giovani generazioni scelgono le opportunità di lavoro nate con lo sviluppo industriale e le case rurali progressivamente si svuotano.
Nel 1975, come illustra l'economista Exetezarreta163, il beneficio annuale che si ottiene da un baserri di cinque ettari, concentrandosi principalmente sulla produzione di grano e la vendita di latte, risulta minore del salario mensile di un lavoratore impiegato nell'industria meccanica. Tra il 1975 e il 1990, secondo i dati dell’ufficio economico del comune di San Sebastián, più del settanta per cento di queste strutture sono state vendute, abbattute oppure riutilizzate a fini diversi. Chi ha resistito, come Rosa, è riuscito a farlo solo affiancando alla produzione agricola attività turistiche o di carattere socio-assistenziale.
Il collasso di queste strutture, in cui lavoro e vita familiare formavano una totalità economica, culturale ed esistenziale, non produsse soltanto un forte esodo rurale verso la città. Esso modificò anche gli scenari politici baschi, coinvolgendo, come spesso accade in questi processi di trasformazione sociale, l'universo dell'etnonazionalismo basco, che raccoglieva un grande consenso nelle aree rurali, non esclusivamente in termini elettorali, ma soprattutto sul piano dei significati culturali su cui costruire la comunità immaginata di
Euskal Herria.
Nella prima fase della ricerca sul campo mi muovevo ogni giorno dal “Donibane” per raggiungere Deba, Zarautz e Ondarroa; in una seconda fase il terreno di ricerca si è allargato, comprendendo le aree museali di Gernika, Ziortza-Bolibar e Bilbao.
Quando mi sono presentato al baserri ho chiesto di poter affittare una stanza come studente, per seguire un corso di euskara. In seguito, verificato che potevo risiedere senza particolari problemi logistici, ho specificato alla proprietaria del “Donibane” quale lavoro stavo svolgendo, spiegando che ero un “investigador de Antropología” della “Universidad de Milano-Bicocca”. Rosa ha accolto senza troppa sorpresa l’esplicitazione delle mie intenzioni di ricerca e mi ha proposto di trasferirmi in una diversa abitazione all’interno del
baserri, dal momento che la mia permanenza sarebbe stata prolungata.
Inizialmente, la possibilità di inserire Rosa tra gli informatori sul campo non era stata nemmeno valutata, ma nel corso del tempo la donna ha assunto questo ruolo. Rosa mi ha permesso di scoprire ed entrare in contatto non soltanto con la comunità di Deba e Itziar,
ma più in generale con la dimensione culturale di questa piccola area di Guipúzcoa. Una delle caratteristiche chiave di Rosa, nel suo ruolo di informatrice sul campo, è stata quella di non appartenere direttamente al mondo culturale e politico dell'etnonazionalismo patriottico, pur conoscendolo attraverso le reti amicali e sociali di Deba interessate alle tematiche nazionaliste.
La sua appartenenza a una famiglia di origine completamente basca fin dal Settecento, i rapporti positivi mantenuti per generazioni con le amministrazioni di Deba e del capoluogo di provincia, mi hanno permesso di accedere a diverse reti e istituzioni e contemporaneamente di conoscere le “storie di vita” e le biografie degli abitanti di Deba. Un altro aspetto interessante in Rosa è il suo rimanere distante dalle prospettive e dalle azioni dei nazionalisti, pur rivendicando costantemente la propria appartenenza all'etnia basca: anche grazie a lei, fin dalle prime fasi della ricerca, sono riuscito a distinguere nella pratica e nella successiva testualizzazione del lavoro etnografico l'universo culturale delle popolazioni basche, il folklore, i rapporti con le popolazioni confinanti. Rosa mi ha soprattutto aiutato, come informatrice, a non sussumere la costruzione dell'etnicità unicamente all'agire degli etnonazionalisti.
A questo processo di raccolta e costruzione dei dati sul campo hanno partecipato anche altri membri della famiglia: la figlia ed il figlio di Rosa, la prima medico al pronto soccorso di Bilbao, il secondo ingegnere elettronico trasferitosi per sei mesi in Cile, dove vivono i discendenti dello zio di Rosa, fratello del padre, che dopo la guerra civile emigrò in Sudamerica per mancanza di lavoro a Deba.
I due figli della padrona di casa mi hanno consentito di entrare in relazione con altre persone della loro stessa età, studentesse universitarie che intrattenevano rapporti con il mondo degli etnonazionalisti. Attraverso queste due figure, come emergerà nei paragrafi dedicati alla mia partecipazione alle attività dell'ikastola, ho cercato di comprendere come le pratiche educative di base si relazionassero alla costruzione dell'autorappresentazione di se stessi come appartenenti all'etnia basca.
4.2 - Il viaggio: dal confine franco-spagnolo verso Deba
La scelta della Guipúzcoa come terreno di ricerca si è delineata in seguito all’approfondimento, nel corso del primo anno di dottorato, della letteratura etnografica dedicata ai Paesi Baschi e prodotta prevalentemente in ambito accademico francese, statunitense e spagnolo. Quasi tutte le monografie etnografiche mostravano riferimenti al problema della violenza politica, sempre riconducibile alla guerra civile e all'azione politica e terroristica del gruppo etnonazionalista di ETA.
In numerose ricerche, il riferimento a questa situazione non appariva legato unicamente al tema scelto ma era riportato in quanto elemento di disturbo sperimentato dall'antropologo nel corso della sua ricerca sul campo. Questo appariva evidente anche in etnografie apparentemente lontane da tematiche strettamente legate alla questione dell'etnonazionalismo, dedicate a oggetti e processi culturali come l'alimentazione nelle campagne o gli spazi simbolici della pelota.
Non casualmente Roberta, moglie di Ricardo, prima di partire, mi disse in una conversazione telefonica che il tema del nazionalismo nei Paesi Baschi era “pane quotidiano” e che la storia del nazionalismo era “la storia di ETA”.
Nel mio caso, nonostante l'oggetto della mia ricerca implicasse un ampio spazio dedicato alla violenza sul piano materiale e simbolico, non ho mai incontrato alcun genere di problemi. Mi sono ritrovato a fare ricerca proprio nel momento in cui ETA ha unilateralmente scelto di dichiarare la tregua e questo mi ha permesso di lavorare sul terreno in condizioni favorevoli, soffermandomi nelle interviste su temi che esulavano dalla cronaca più recente. Nel settembre del 2010, in quest’atmosfera non segnata da violenze e non influenzata da quotidiane rappresentazioni mediatiche dedicate al fenomeno del terrorismo di ETA, sono partito in auto per i Paesi Baschi, attraversando la Francia. Ho scelto la via che passa per Tolosa e non per Barcellona, perché le tre province basche dell'Iparralde sono situate ai piedi dei Pirenei e giuridicamente appartengono all'amministrazione dello Stato francese.