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Il Franchismo a Deba, l’esilio e il carcere di Saturraran

L’area di Deba, in particolare il borgo di Itziar, dove negli anni Venti e Trenta vivevano numerosi militanti nazionalisti, fu coinvolta fortemente e drammaticamente nella guerra civile del 1936-1939: morirono una cinquantina di persone sui campi di battaglia e negli scontri intorno ai paesi della Guipúzcoa, quasi tutti giovani contadini che si erano arruolati nei battaglioni baschi in difesa della Repubblica.

La memoria degli eventi legati alla guerra civile si trasmise di generazione in generazione. Tra le persone che ho intervistato a Deba, soltanto due erano nate prima del 1935. Ogni volta che ponevo domande sul rapporto tra etnonazionalismo e violenza politica in Guipúzcoa, venivano citati gli “eventi del Trentasei”, per gli intervistati un caso puro di violenza politica. La guerra civile rappresenta il criterio di giudizio per classificare e descrivere quanto poi hanno vissuto, anche dopo la fine della guerra e del Franchismo. Nello stesso tempo questo evento simboleggia, all’interno della memoria etnica, tutto quanto è accaduto all'etnia basca89. Per chi ho intervistato a Deba e per i figli o i nipoti delle persone vissute nel regime franchista, le lotte degli indipendentisti e le azioni militari di ETA rappresentano la prosecuzione della guerra civile, che nella memoria storica collettiva di Deba diventa il prototipo cognitivo e la genitrice di tutti gli atti di violenza politica avvenuti prima, durante e dopo l'esperienza del Fronte Popolare90.

La guerra civile, nei racconti raccolti tra gli informatori sul campo e gli intervistati, assume anche il ruolo di spartiacque cronologico per collocare temporalmente un evento privato: gli intervistati introducevano in genere la narrazione situandola “prima della guerra civile” oppure “dopo la guerra civile”. In particolare, conversando in merito al coinvolgimento nelle lotte nazionaliste delle generazioni che si sono succedute a Deba, le persone con un’età anagrafica oltre i cinquant’anni usavano frequentemente l’espressione “después de la guerra”, oppure “historias de antes de la guerra”.

Nel 1936 Deba insorse contro i franchisti e contro le truppe basche di Navarra e Álava che si erano schierate con i nemici della Repubblica. La cittadina fu occupata militarmente nel

89 Utilizzando una metafora presa dalla psicologia della Gestalt potremmo dire che l'evento Guerra Civile si fa principio di ridefinizione di ogni evento collegato alla vita sociale e pubblica della comunità di Deba. 90 Diventa talvolta anche un fatto caricaturale: nell'estate del 2009, mentre mi trovavo a Deba, lessi nelle pagine locali di “El País” che un gruppo di taglieggiatori erano stati arrestati in quanto, spacciandosi per militanti di ETA appartenenti a una cellula militare dedicata ad un caduto della guerra civile, esigevano dai commercianti tangenti definite “tasse politiche”.

luglio del 1937 dagli italiani, alleati con la falange di Franco. Non ci furono arresti, né persone ferite o morte a causa di scontri a fuoco. La presenza degli italiani si estese anche alle montagne e ai boschi intorno a Deba e Itziar. Appena gli italiani se ne andarono, arrivarono i tedeschi. La maggior parte dei cinquanta contadini e operai che morirono, arruolati nelle truppe repubblicane, caddero nella difesa di Bilbao e San Sebastián. Altri abitanti di Deba furono fatti prigionieri e inviati nelle carceri di Madrid o Santona per poi essere trasferiti in zone dell’Andalusia dove svolsero attività obbligatorie di carattere lavorativo. Quasi tutti, tra il 1941 e il 1942, fecero ritorno nei loro paese di origine. Alcuni di loro furono arrestati più volte nel corso degli anni Cinquanta, in quanto sospettati di aver svolto attività clandestina per il Partito Nazionalista Basco, altri migrarono negli Stati Uniti e in America Latina. Tra di essi due fratelli del padre di Rosa F., la figura che ha assunto il ruolo di principale informatrice sul campo nella mia etnografia a Deba.

M.T. Perché lasciarono Deba, nel 1944, i fratelli di suo padre?

R.F. Non per motivi direttamente politici, uno di loro era stato

simpatizzante dei nazionalisti e vendeva fuori dalla parrocchia di Itziar il giornale del PNV, ma tornato dal fronte di Bilbao e da Santona si era stufato di tutto. Così, come avevano fatto tanti altri prima della guerra, decise di andare in Cile. L’altro invece se ne andò negli Stati Uniti, passando da Lisbona. Più che altro se ne andavano perché non ne potevano più della fame. Per molti anni qui si è stati quasi sempre al limite della carestia, dopo la guerra si era tornati alla fame dei tempi dei nonni, agli inizi del secolo, e sempre per colpa delle guerre volute a Madrid. Noi riuscivamo a farcela grazie agli animali e ai campi, ma a Bilbao si moriva di fame91.

Rosa, Jorge e Ricardo mi hanno parlato della guerra civile e del franchismo in modo esteso e dettagliato, raccontandomi anche le conseguenze nella vita quotidiana dei cittadini di Deba. Quando sono arrivato a Deba ho cercato di affrontare, quando l'interlocutore mi sembrava disponibile, il tema della memoria della guerra civile. Ma, a parte i casi citati, non tutti erano disponibili a parlare della guerra. La stessa sensazione e reazione si percepiva negli intervistati quando oggetto dell’intervista era ETA. In queste occasioni,

cercavo di riportare la discussione su tematiche riguardanti aspetti dell'etnia basca non direttamente collegati al tema della violenza politica. Probabilmente, se nessuno mi ha mai parlato estesamente della guerra civile, ciò è dovuto anche al fatto che gli anni postbellici sono stati percepiti, vissuti e raccontati alle ultime generazioni di baschi come uno stato ordinario e quotidiano di prosecuzione del conflitto mai terminato. Un insieme di situazioni emotive e stati d'animo caratterizzati da bisogni frustrati, miseria, divieti, controlli. Discriminazioni anche quotidiane, quando una persona di origine basca, riconosciuta come tale nelle altre zone della Spagna, si allontanava dalle tre province92. Il nazionalismo, proprio a causa di questa situazione e delle continue discriminazioni subite anche al di fuori dei territori storici, rappresentò una modalità politica e culturale di difesa dell'identità etnica basca. Un nazionalismo non espresso pubblicamente fino al 1975, ma coltivato negli sport tradizionali e nella partecipazione intensa alle feste, ai riti e ai momenti collettivi che mettevano in scena i tratti distintivi della cultura basca. Al di là della volontà degli attori sociali coinvolti, si creò un rapporto simbiotico tra folklore e istanze nazionaliste.

A Deba in pochi erano disponibili a ricordare gli eventi della guerra civile, e quei pochi erano persone molto anziane. Ma al di fuori del paese, nei pressi della frazione dove è situato il porto industriale di Deba, ho individuato un luogo estremamente significativo per comprendere cosa fosse stato il Franchismo in questa zona: il carcere femminile di Saturraran.

Se Gernika è per i baschi il simbolo della guerra civile, per gli abitanti della Guipúzcoa un luogo chiave della repressione franchista, a livello simbolico, è divenuto recentemente il carcere femminile di Saturraran, situato a Mutriku, una delle frazioni facenti parte dell’area municipale di Deba. Si tratta di uno stabilimento balneare utilizzato come carcere femminile dai franchisti negli anni 1938-1944. Gestito da religiose provenienti da diverse regioni della Spagna, era adibito prevalentemente alla detenzione di militanti nazionaliste. Tra gli abitanti di Deba non si è mai parlato estesamente, negli ambiti di discussione pubblica, di questa struttura: questo almeno è quanto mi hanno riferito Rosa F. e Jorge. D’altra parte, questa mancanza di informazioni a proposito della struttura carceraria poteva essere dovuta alla giovanissima età dei miei informatori negli anni Cinquanta.

92 Nel film del 1979 di Gillo Pontecorvo Ogro, dedicato all'attentato compiuto da una cellula di ETA contro Carrero Blanco, le prime scene mostrano lo spaesamento dei militanti nazionalisti baschi che si trasferiscono a vivere a Madrid prima di compiere l'azione militare.

Per approfondire la questione ho svolto alcune ricerche nell’Archivio storico della Guipúzcoa a San Sebastián, senza trovare alcun riferimento, se si escludono i saggi pubblicati dopo il 2005. Sono riuscito a raccogliere alcune informazioni soltanto attraverso i racconti dei genitori della titolare di un ristorante, posto accanto all’area dove sorgeva il carcere femminile. Più tardi ho scoperto che tale disponibilità probabilmente era dovuta al fatto che il fidanzato di Carmele, la figlia dei gestori del ristorante, stava scontando una lunga detenzione in Cantabria a causa della sua militanza in ETA.

Il padre della ragazza mi disse:

Di quanto accadeva in questa zona nessuno sapeva nulla. I nostri parenti abitano qui fin dalle guerre carliste, sono migrati dalla Galizia per cercare lavoro. Il mio bisnonno aveva sposato una basca, quindi noi siamo baschi. Discorsi legati alla nazione basca ne ho sentiti da giovane, quando venivano quelli del Partito Nazionalista Basco a fare i comizi. Poi c'è stata la guerra e allora tutto è cambiato, avevamo solo paura, paura di quelli che venivano da Saragozza, dei militari, di quelli della Legione e anche di tutti i turisti spagnoli che venivano qua al mare. Sa, qui venivano le autorità dello Stato spagnolo, gli impiegati, gli alti impiegati delle Diputaciones dell'Aragona. Venivano qua e a Zarautz. Ma noi li evitavamo e parlavamo con loro solo quando li servivamo nei negozi e negli alberghi. Ma si aveva sempre paura, soprattutto in certi periodi quando facevano controlli nelle campagne, perché nessuno lo diceva ma qui c'erano ancora quelli del PNV, nascosti, quelli che avevano combattuto a Bilbao contro gli italiani. E poi c'erano, dove oggi c'è la nostra Taberna, le suore. Sapevamo che c'erano delle donne chiuse dentro, delle donne che avevano combattuto con la Repubblica, poi delle delinquenti, e anche delle basche come noi. A Ondarroa e a Deba hanno iniziato a parlare durante le messe, si diceva che di notte arrivava la Guardia Civil e portavano via le donne. Poi ad un certo punto, ma noi non c’eravamo accorti di nulla, i sacerdoti e le vecchie che qui sapevano tutto dicevano che le suore spagnole della casa se n’erano andate. Ma noi non

abbiamo visto nulla. Forse hanno usato il porto di Mutriku93.

Nel 2005, il primo canale della BBC ha trasmesso il documentario Saturraran, interamente

dedicato alle condizioni di vita delle detenute, tra il 1938 e il 1944, nel carcere femminile di Saturraran.

Poche settimane dopo la diffusione del video, trasmesso dal primo canale televisivo basco, alcuni esponenti di associazioni culturali basche e militanti del disciolto partito di

Batasuna hanno organizzato una serie di manifestazioni per ricordare le persone

imprigionate.

Due anni dopo è stato collocato un monumento nella zona dove sorgeva il penitenziario, dove ogni anno si svolge una manifestazione per ricordare le vittime94.

In tutte le celebrazioni a cui ho partecipato nel corso dei tre anni della ricerca, ho verificato che era sempre previsto un intervento delle associazioni dei familiari dei detenuti appartenenti a ETA, a seguire il discorso dedicato alle donne di Saturraran, vittime del regime franchista. Questi interventi richiamavano un rapporto di fratellanza tra le donne di Saturraran e le presas incarcerate negli ultimi 25 anni e seguivano sempre il medesimo rituale: discorso dei familiari, appello all'amnistia, canto collettivo dell'inno al soldato basco e canto corale dell'inno di Euskal Herria. In nessuna delle tre cerimonie ho registrato riferimenti a prigioniere politiche non basche o alle donne incarcerate per reati comuni.

A partire dagli anni Settanta ha inizio nel regime franchista una trasformazione, il cui esito sarà la nuova democrazia spagnola. In questo stesso periodo l'attività di ETA, in Guipúzcoa, passa da una fase di propaganda clandestina allo scontro diretto con lo Stato spagnolo.