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Il contraddittorio delle parti verso le prove ammesse d' ufficio ex art 183 comma 8° c.p.c

CAPITOLO 2) IL CONTRADDITTORIO DELLE PARTI RISPETTO ALL'INIZIATIVA DEL GIUDICE NELLA FASE ISTRUTTORIA DEL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE (E

8. Il contraddittorio delle parti verso le prove ammesse d' ufficio ex art 183 comma 8° c.p.c

In base all'art. 183 comma 8° c.p.c. il legislatore ha previsto un ulteriore caso di contraddittorio delle parti verso i rilievi officiosi del giudice, in questo caso relativamente alla necessità di concessione di un termine per la controdeduzione di mezzi di prova, nel caso in cui il giudice proceda ad un' iniziativa probatoria d' ufficio: “nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova con l'ordinanza di cui al settimo comma (l'ordinanza emanata fuori udienza con cui il giudice può provvedere sulle richieste istruttorie e assumere i mezzi di prova ammissibili e rilevanti), ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi nonché depositare memoria di replica nell'ulteriore termine 288 La disciplina dell' art. 101 comma 2° c.p.c sarà dettagliatamente analizzata nella terza parte della presente indagine, nel cap. 2.

perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere ai sensi del settimo comma”. Questa disposizione, volta ad evitare che il giudice assuma un' iniziativa probatoria officiosa senza suscitare il contraddittorio con la concessione di un termine per la difesa, introdotta nell'art. 183 con la riforma del 2005, in realtà è trasmigrata sostanzialmente dal previgente art. 184 ultimo comma che così prevedeva: “nel caso in cui vengano disposti d' ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si intendono necessari in relazione ai primi”289.

La differenza tra le due norme sta nel fatto che il termine di difesa pare sia riferito al solo caso di esercizio di poteri istruttori d' ufficio, in occasione dell'ordinanza con cui il giudice provvede sulle iniziative probatorie delle parti, ovvero l'ordinanza dell' art. 183 comma 7° c.p.c.290.

Però dall’art. 183, comma 8° c.p.c., non si evince con chiarezza se l’ordinanza ex art. 183, comma 7° c.p.c. costituisca il termine ultimo entro cui il giudice è tenuto ad esercitare i suoi poteri officiosi, o se gli stessi possano essere esercitati anche in una fase successiva del processo.

Non sembra individuarsi una preclusione espressa, ma soltanto una regolamentazione delle modalità di introduzione delle prove d' ufficio in una particolare fase dell'iter processuale; inoltre il fatto che il comma 8° sia strutturato come periodo ipotetico (“nel caso in cui vengano”), sembra come regolare l’eventualità in cui il giudice ritenga di fare uso dei suoi poteri istruttori d’ufficio, già nella fase preparatoria del processo, nulla prescrivendo in merito ai tempi di esercizio di tali poteri.

Probabilmente può intendersi, certamente non come una decadenza, ma come una sorta di invito rivolto al giudice, affinchè possa esercitare l'iniziativa probatoria con l'ordinanza ammissiva delle prove di parte per una razionalizzazione della tempistica processuale291.

Perciò nonostante la novellata dizione della disposizione normativa, il potere officioso del giudice, ove consentito, può esser esercitato anche in una fase successiva del processo, al di fuori dell'udienza dell' art. 183 comma 7°; non si può 289 CECCHELLA, in CECCHELLA, AMADEI, BUONCRISTIANI, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Milano, 2006, 20-21.

290 ID, Il nuovo processo, loc.cit.. 291 ID, Il nuovo processo, 21.

certo ritenere che sia venuta meno la libertà temporale per il giudice di provvedere officiosamente alla disposizione dei mezzi di prova per tutto il corso del processo e alla possibilità delle parti, in tale evenienza, di aver la facoltà di formulare mezzi in controprova entro un termine determinato292293.

Si deve evidenziare in questo caso la mancanza di una previsione simile a quella contenuta nell’art. 38, comma 3° c.p.c. ove viene previsto che l’incompetenza per valore, per materia e per territorio inderogabile debbano essere rilevate di ufficio entro un termine prestabilito, perciò i poteri del giudice di disporre l’assunzione dei mezzi di prova d' ufficio non sono soggetti a limitazione, e sono quindi esercitabili anche dopo che le parti siano decadute dalla facoltà di dedurre richieste istruttorie294.

Nonostante la mancata riproduzione295 della disposizione contenuta nell’art. 421

comma 2° c.p.c. secondo cui il potere del giudice può essere esercitato “in qualsiasi momento”, le preclusioni istruttorie non riguardano le prove disposte ex officio, che sfuggono a qualunque limitazione temporale, dovendosi al riguardo osservare le singole norme che prevedono poteri officiosi come l’interrogatorio libero può essere disposto in “qualunque stato del processo” ex art. 117 c.p.c.. o al giuramento suppletorio o estimatorio, o all’audizione di testi di riferimento ritenuti superflui o già sentiti ex art 257 c.p.c..

In secondo luogo la formulazione dell’art. 183 comma 8° c.p.c. presuppone verosimilmente che il potere delle parti sia già consumato; in caso contrario, l’assegnazione di uno specifico termine per controdedurre sarebbe totalmente superfluo.

292 ID, Il nuovo processo, loc. cit.

293 Il termine perentorio del giudice, per concedere alle parti la controdeduzione di mezzi di prova in relazione a quelli officiosi, non è rigidamente predeterminato dalla norma.

294 BALENA, Le preclusioni nel processo di primo grado, in Giur. It., 1996, IV, 283, nota n. 59. 295 Il fatto per cui il legislatore non ha riprodotto la norma del rito del lavoro (art. 421 comma 2° c.p.c.), probabilmente è determinato dal più ampio potere del giudice del lavoro di poter disporre officiosamente qualunque prova anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, facoltà che non è concessa al giudice del rito ordinario, dato che i mezzi di prova che può ammettere d’ufficio sono soltanto quelli che risultano aliunde. Essi sono, in particolare: la consulenza tecnica d’ufficio, per quanto si ritenga comunemente che non si tratta di un mezzo di prova (artt. 61 e 191 c.p.c.); l’interrogatorio libero delle parti (art. 117 c.p.c.); l’ispezione di persone o cose (artt. 118 e 258 c.p.c.); la richiesta di informazioni alla p.a. (art. 213 c.p.c.), il giuramento suppletorio o estimatorio (artt. 240 e 241 c.p.c.); il confronto fra testimoni (art. 254 c.p.c.); l’assunzione di testi di riferimento, indicati da altri testi (art. 257 c.p.c.) o dalle parti (art. 281-ter); l’audizione di testi ritenuti superflui o la nuova audizione di testi già escussi (art. 257 c.p.c.); il giuramento nelle cause di rendimento di conti (art. 265 c.p.c.).

Non c’è dubbio, dunque, che il potere del giudice di assumere prove d’ufficio sia esercitabile anche dopo che le parti siano decadute dalla facoltà di dedurre richieste istruttorie.

Il giudice dovrà pertanto assegnare alle parti un termine perentorio, affinchè possano dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione alle prove disposte d’ufficio; le nuove prove richieste dalle parti saranno ammissibili solo nella misura in cui esse risultino effettivamente connesse all'iniziativa probatoria officiosa, pertanto, la parte a cui danno può andare la prova officiosa potrà formulare sia la prova contraria diretta (vertente sugli stessi fatti oggetto della prova d’ufficio), che la prova contraria indiretta (relativa a fatti diversi dai quali possa dedursi, in via congetturale, l’insussistenza o la diversa configurazione dei fatti oggetto della prova d’ufficio)296. Si deve escludere, comunque, che attraverso

tale eccezionale riapertura dei termini possano introdursi nel processo fatti non già ricompresi nel thema decidendum (ad es., non sarà possibile attraverso una prova contraria indiretta dimostrare fatti integranti un' eccezione in senso stretto non tempestivamente formulata). Una parte della dottrina sostiene che la possibilità della parte che può essere danneggiata dalla prova officiosa, di poter articolare le prove contrarie anche se per essa sono già maturate le preclusioni istruttorie, abbia lo scopo di tutelare espressamente il diritto di difesa297, sulla scia

della dottrina che ha evidenziato i rischi connessi alla eventuale coesistenza non tanto di poteri delle parti e di poteri del giudice quanto “di poteri del giudice non limitati e poteri delle parti fortemente circoscritti da un sistema di preclusioni rigide”298

Nell’esercizio dei poteri di direzione del processo di cui all’art. 175 c.p.c. il giudice può quindi discrezionalmente stabilire il momento in cui ammettere i mezzi di prova di ufficio. Poiché l’esercizio di tali poteri presuppone comunque la compiuta definizione del thema probandum e del thema decidendum, è comunque logico ritenere che il giudice faccia uso di tali poteri dopo le deduzioni istruttorie delle parti e, salvo casi particolari, anche dopo l’assunzione dei mezzi di prova dovendosi in proposito sottolineare che il giuramento suppletorio, il confronto fra 296 Cass. 4 febbraio 1994, n. 1163.

297 VIAZZI, Poteri del giudice e poteri delle parti nel processo civile, in Questione Giustizia, 1996, 110.

testi e l’assunzione dei testi de relato presuppongono che le prove siano state non solo richieste ma anche assunte.

La fonte del mezzo di prova disposto di ufficio deve risultare dal materiale di causa non potendo il giudice andare alla sua ricerca in violazione del divieto di scienza privata; in altri termini il giudice non ha poteri di allegazione d’ufficio.

La fonte di conoscenza del mezzo di prova, inoltre, non può consistere in una indicazione tardiva della parte e, cioè, in una indicazione formulata quando il

thema decidendum e, conseguentemente, il thema probandum, siano già stati

definiti, poichè l’esercizio del potere officioso non può essere inteso come uno strumento di bilanciamento degli effetti negativi delle preclusioni sui poteri delle parti, e ciò anche in considerazione del fatto che i poteri istruttori del giudice di appello nel rito del lavoro non possono essere esercitati per porre rimedio alle decadenze già maturate in danno delle parti.

Va però precisato che non è tardiva l'indicazione della fonte di prova “nuova”, cioè quella formulata dopo la scadenza delle barriere preclusive, ma che trae spunto dalle risultanze della attività istruttoria già espletata.

Se si deve escludere che il potere di iniziativa probatoria del giudice sia un rimedio contro gli effetti delle preclusioni, deve a maggior ragione escludersi che il potere del giudice possa costituire lo strumento di sostegno per la parte “debole”, volto ad impedire che l’accertamento dei fatti possa essere stravolto a danno della parte stessa proprio a causa della sua debolezza: in un processo impostato sul principio, scrupolosamente garantito del contraddittorio paritario non esiste infatti una parte processuale “debole” rispetto all’altra299.

Altre questioni di carattere prettamente concettuale riguardano la natura libera o necessitata del potere istruttorio officioso e i limiti entro i quali tale potere deve essere esercitato. Quanto al primo quesito, deve escludersi che il giudice abbia l’obbligo di assumere prove officiose e che la parte interessata alla assunzione possa quindi censurare il mancato esercizio di tale potere300. Il giudice deve

ovviamente effettuare la valutazione della rilevanza della prova al momento 299 FABBRINI, Potere del giudice, loc..cit.

300 Sul mancato esercizio da parte del giudice del potere (discrezionale) di assumere testi di riferimento, Cass. 26 giugno 1997, n. 5706, in Giust. civ., 1998, I, 843; sulla insindacabilità dell’esercizio del potere-dovere del giudice ex art. 421 c.p.c., Cass. 3 luglio 1992, in Foro it., 1994, I, 1177.

dell’esercizio dei poteri officiosi, una valutazione comunque improntata a criteri di discrezionalità, (basandosi sui presupposti di idoneità della prova e non superfluità, ossia l'esistenza di una lacuna istruttoria e la possibilità di superarla). Se il giudice avesse il dovere di esercitare il potere istruttorio officioso, la parte potrebbe censurare il mancato esercizio del potere; cioè la parte, anche dopo essere decaduta dal proprio potere istruttorio, potrebbe ugualmente pretendere ed ottenere l’ammissione delle prove che emergano dagli atti301. L’unico significato

della preclusione consisterebbe, riduttivamente, dunque nel fatto che, successivamente ad essa, la parte non potrebbe più indicare ulteriori mezzi di prova.

Quanto ai limiti entro cui il potere istruttorio deve essere esercitato, una autorevole dottrina ha stabilito che “il potere di ufficio del giudice, nel ragionevole coordinamento con i poteri delle parti può tendere solo ad evitare, per quanto possibile, l’applicazione dell’art. 2697 c.c.”302. Il potere del giudice va quindi

esercitato proprio (ed esclusivamente) per evitare l’applicazione di tale regola, per cui, a contrariis, deve affermarsi che i poteri d' ufficio non sono esercitabili se le prove raccolte consentano la ricostruzione del fatto rilevante.

A riguardo è stato rilevato che la situazione che consente l’intervento d' ufficio del giudice, è quella della semiplena probatio che sta alla base proprio del potere di deferire di ufficio il giuramento suppletorio che rappresenta un chiaro temperamento alle rigide conseguenze derivanti dall’applicazione dell’onere della prova303.

Secondo un diverso orientamento se, in presenza di una lacuna istruttoria, vi sia ancora la possibilità di acquisire la conoscenza dei facta probanda304 e di

301 Nel senso che il mancato esercizio di un potere discrezionale (nella specie quello di disporre l’escussione di testi di riferimento) non integra né una violazione della norma che prevede il potere, né un difetto di motivazione della sentenza, ma ciò solo fino a quando la parte non solleciti l’esercizio del potere stesso, Cass. 26 giugno 1997 n. 5706, in Giust. Civ., 1998, I, 843. 302 FABBRINI, Potere del giudice, cit. 736.

303 VIAZZI, Poteri del giudice, cit., 109.

304 LOMBARDO, La prova giudiziale. La prova giudiziale. Contributo alla teoria del giudizio di fatto nel processo, Milano, 1999, 404; Cass., 2 marzo 2006, n. 4611, ove si legge che “Il

provvedimento con il quale il giudice in ossequio a quanto disposto dall'art. 134 c.p.c. e al disposto di cui all'art. 111, comma 1, cost. sul "giusto processo regolato dalla legge" - esplicita le ragioni per le quali reputa di far ricorso all'uso dei poteri istruttori ovvero, come nella specie, ritenga di non farvi ricorso, può essere sottoposto al sindacato di legittimità per vizio di motivazione qualora non sia sorretto da congrua e logica spiegazione nel non aver fatto espletare mezzi istruttori relativi al punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe

conseguenza l’incertezza potrebbe essere superata, perché esistono fonti di prova che consentono di disporre la prova d’ufficio, in tal caso il giudice non potrebbe rimanere inerte ma sarebbe tenuto ad esercitare il proprio potere officioso. Pertanto, in base a questo orientamento si può ritenere che il giudice ha il dovere di disporre la prova d’ufficio tutte le volte in cui risultano sussistenti i presupposti di esercizio del suo potere305.

Deve infine osservarsi che in forza dell’art. 359 c.p.c. la norma in esame deve trovare applicazione anche nel caso in cui il potere officioso sia stato esercitato dal giudice d’appello.

Una ulteriore differenza, tra l'art 183 comma 8° c.p.c. e il previgente art 184 ultimo comma, è che sono espressamente concesse memorie di replica da depositare entro il termine perentorio assegnato dal giudice, in modo tale che le parti possano replicare a loro volta tra di loro, dopo aver replicato nei confronti del giudice, con i mezzi di prova necessari in relazione ai rilievi istruttori officiosi.

9. Segue. “Alcune questioni” connesse alla pratica applicazione dell'art 183 comma

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