CAPITOLO 3) IL CONTRADDITTORIO DELLE PARTI RISPETTO ALL' INIZIATIVA DEL GIUDICE NELLA FASE ISTRUTTORIA DEL PROCESSO DEL LAVORO (E
6. Segue I limiti di applicabilità del potere officioso.
Sostanzialmente non controversa appare l' opinione secondo cui il giudice non può disporre prove di ufficio su fatti non allegati o diversi da quelli allegati dalle parti516: non può dunque il giudice, per una ritenuta esigenza di pervenire alla
verità, farsi carico della ricerca di circostanze che le parti non abbiano introdotto in giudizio. Merita attenzione il problema se il giudice possa disporre mezzi istruttori solo quando la fonte materiale della prova dei fatti sia stata esposta dalle parti o emerga dalla assunzione delle prove dedotte dalle parti stesse517, ovvero se,
fermo che i fatti debbono essere stati legittimamente acquisiti al processo, possa il giudice svolgere una ricerca per individuare delle fonti di prova518; la scelta tra le
due soluzioni è in buona parte condizionata dalla opinione circa il ruolo del giudice del lavoro, aderendo alla prima opinione chi è dell'avviso che un'opera di ricerca più penetrante metta in discussione la imparzialità del giudice.
Il giudice del lavoro deve esercitare i suoi poteri nei limiti dei fatti dedotti dalle parti; è questo il principio che costituisce il nucleo essenziale ed indefettibile del sistema dispositivo (secundum alligata partium). Il tema d'indagine deve essere determinato nei suoi elementi concreti dalle parti e non dal giudice. Il giudice non può d'iniziativa indicare fatti rilevanti per la soluzione della controversia, e ricercarne le prove. L'allegazione dei fatti, oggetto della prova, è monopolio delle parti, l'iniziativa è esclusiva, e non può il giudice intervenire. Sia i fatti primari, sia i fatti secondari, devono essere allegati dalle parti. I fatti primari (o fatti giuridici principali) devono essere allegati negli atti c.d. introduttivi; i fatti secondari possono essere allegati anche successivamente, nel corso del processo519, o
risultanti da atti processuali (ad esempio testimonianze, interrogatorio delle parti, documenti prodotti, ecc.). Il giudice, quindi è vincolato dall'attività di allegazione 516 Cass. Civ. 3 giugno 1997, n. 4935.
517 MONTESANO-VACCARELLA, Manuale di diritto processuale del lavoro, Napoli, 1996, 189; Per Cass. 15 gennaio 1998 n. 310 il giudice, quando le risultanze dì causa offrono significative piste dì indagine ove reputi insufficienti le prove già acquisite, ha il dovere di provvedere d' ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale in atti.
518 LUISO, Il processo del lavoro, cit., 192.
519 ANDRIOLI-BARONE-PEZZANO-PROTO PISANI, Le controversie in materia di lavoro, Bologna 1987,711 ; VERDE, Norme inderogabili, tecniche processuali e controversie di lavoro, in Riv. dir. Proc.,1977, 220-255; CAPPELLETTI, La testimonianza della parte nel sistema
delle parti, ma è però elemento attivo e non passivo del contraddittorio; infatti deve dirigere il processo "e richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione" (art. 183, comma 4, c.p.c.)520. Con l'aggiunta del comma
2° dell'art. 101 c.p.c. tale principio è stato rafforzato, difatti è vietato al giudice di emettere sentenze di terza via. Infatti, adesso il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, deve a pena di nullità riservare la decisione, concedendo alle parti un termine non inferiore ai 20 e non superiore ai 40 giorni, dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione. Nel rito lavoro non è però possibile seguire strettamente la norma del comma 2° dell'art.. 101 c.p.c., poiché la fase di decisione è diversa da quella del rito ordinario; il giudice del lavoro dovrà indicare la questione e rinviare la discussione, eventualmente se richiesto, concedendo termine per note difensive (argomentando dall'art. 420, comma 6° e 429, comma 2°, c.p.c.), rispettando il termine minimo non inferiore a 20 giorni. La discussione infatti nel rito lavoro è fondamentalmente orale.
Quanto invece all’estensione dei poteri officiosi, è tuttora controverso se essi possano essere esercitati in relazione alla fonte di prova o al mezzo di prova. Da un lato, si è sostenuto521 che nulla possa il giudice di fronte all’inerzia della parte
nell’indicazione della fonte di prova (dato della realtà materiale da cui desumere la fonte di conoscenza, ad esempio l’individuazione delle persone che conoscono il fatto e possono, pertanto, essere chiamate a deporre); l’impulso officioso in tal caso, concernerebbe solo la realizzazione di tutte le formalità imposte dal rito, attraverso le quali la fonte materiale indicata dalla parte è acquisita agli atti (onere 520 Per la giurisprudenza dominante la sentenza emessa su una questione rilcvabile d'ufficio e non sottoposta al vaglio (contraddittorio) delle parti è nulla, Cass. 9 giugno 2008, n. 15194; Cass. 31 ottobre 2005, n. 21108; Cass. 21 novembre 2001, n. 14637: "11 giudice, che ritenga, dopo l'udienza di trattazione, di sollevare una questione rilevabile d'ufficio e non considerata dalle parti, deve segnalarla alle medesime e consentire loro di eccepire e di argomentare in merito; qualora il giudice decida la controversia sulla base di una questione non previamente sottoposta alle parti, la sentenza è nulla per violazione del principio del contraddittorio (nella specie, la S. C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva deciso di un'opposizione a ordinanza ingiunzione facendo perno sulla questione della sussistenza in astratto del potere sanzionatone, non sollevata dalle parti né a queste sottoposte dal giudice)". Sull'argomento S. CHIARLONI,
La sentenza della terza via in cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie, in Giur. it.
2002, I, 1363; LUISO. Questione rilevata d'ufficio e contraddittorio: una sentenza
rivoluzionaria?, in Giust. Civ., 2002, I, 1611. Contra Cass. 27 luglio 2005, n. 15705. 521 MONTESANO-VACCARELLA, Manuale, cit., 152.
di capitolazione e di indicazione della lista dei testimoni). Quindi, una volta acquisiti agli atti il fatto e la fonte di prova, anche in caso di successiva inerzia della parte, il giudice potrà attivarsi nello scegliere uno dei mezzi tipizzati dall’ordinamento, attraverso cui dare accesso nel giudizio, la fonte materiale di conoscenza indicata dalla parte. La portata dell’art. 421 c.p.c. si ridurrebbe in tal modo in un esonero della parte dall’osservanza degli oneri minori di carattere strettamente processuale, che concernono la proposta della prova: onere di richiesta della prova; oneri relativi alle modalità di formulazione dell’oggetto della prova e dell’interrogatorio. Altra dottrina, invece, afferma l’iniziativa autonoma del giudice anche nella ricerca delle fonti materiali di prova522. Alle due tesi estreme si
oppone un orientamento che si colloca su un piano intermedio. Respingendo l’eccessiva dilatazione dei poteri del giudice sino alla ricerca della fonte materiale di prova, ma nel contempo escludendo l’ipotesi riduttiva di mera articolazione del mezzo di prova, si afferma che il giudice dovrà pur sempre trarre la fonte materiale di prova dagli atti del giudizio, anche se non necessariamente dalle indicazioni delle parti523. Quindi, in relazione, ad esempio, alla prova testimoniale, il giudice
potrà desumere l’indicazione dei testimoni anche da documenti prodotti o esibiti, da informazioni delle associazioni sindacali, dai rilievi compiuti in occasione dell’accesso sul luogo di lavoro.La giurisprudenza ha dimostrato di esercitare molto cautamente i poteri di iniziativa istruttoria, sempre con l’intento di integrare i poteri della parte nell’assolvimento degli oneri processuali minori. Va segnalato che il principio secondo cui l’esercizio del potere d’ufficio è discrezionale e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimità è stato esteso all’ipotesi inversa, nel senso che il giudice non è tenuto a motivare perché non si sia valso di quel potere524; ma la Cassazione ha anche affermato525 che il giudice non può limitarsi a
fare meccanica applicazione del criterio formale dell’onere della prova, ma deve porsi il problema se tale materiale non solleciti l’esercizio dei suoi poteri officiosi, dando conto delle ragioni che lo hanno indotto a non esercitare il potere conferitogli dalla legge. Si legge in recenti sentenze della giurisprudenza di 522 VOCINO-VERDE, Appunti sul processo del lavoro, Napoli, 1986, 87.
523 TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987, 105.
524 Cass. 30 maggio 1989, n. 2588, in Notiz. giur. lav. 1989, 761; Cass. Civ. 9 aprile 1990, n. 2941, Notiz. giur. Lav., Rep. 1990, voce procedimento davanti al pretore, n. 7.
legittimità, la precisazione che il mancato esercizio del potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori, pur non essendo direttamente denunziabile in sede di legittimtà, anche in assenza di espressa motivazione sul punto, può, tuttavia, tradursi in un vizio di illogicità della decisione, in particolare quando questa si fondi su di un elemento probatorio offerto da una parte e contrastato dall’altra, non dotato di una sicura affidabilità, qualora dal contesto del provvedimento non possano desumersi le ragioni che hanno indotto ad ometterlo526.