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La crisi e l'etica della condivisione come forma di resilienza

1. L’etica della condivisione

1.1. La crisi e l'etica della condivisione come forma di resilienza

Abbiamo detto che è in essere una diffusa tendenza alla condivisione e che questa concerne molteplici aspetti della vita quotidiana.

Preliminarmente proviamo a definire meglio il concetto di condivisione.

La condivisione non è - a dispetto di quanto si è portati a pensare - equivalente al concetto di dono.

1 L'aleatorietà e la relatività delle classificazioni in questo ambito si vedrà più approfonditamente nel paragrafo 2.2. di questo capitolo.

Nella logica maussiana2

, troviamo infatti lo scambio, il dono puro e il dono. Lo scambio economico è inteso come logica predominante dell’homo economicus e come principale motore dell’utilitarismo. Nello scambio si paga un prezzo, di qualsiasi genere, per aver ricevuto qualcosa. Vi è poi il dono puro ovvero quello che viene effettuato per altruismo, in completa gratuità e al quale non corrisponde l'instaurarsi di nessun tipo di reciprocità. Il dono invece non è uno scambio in senso economico né una mera gratuità. Al pari dei rapporti di mercato, il dono crea reciprocità e un obbligo di controprestazione: se si è ricevuto qualcosa in dono ci sentiremo costretti a contraccambiare. Eppure mentre il prezzo chiude la relazione sociale, ponendo fine ad ogni tipo di interazione successiva, il contro-dono, al contrario, la relazione la crea, dando luogo ad un rapporto di intimità tra donante e donatario. Tanto che è sulla logica del dono che si reggono, per esempio, i rapporti di vassallaggio, le gerarchie e alcune piccole comunità.

La condivisione è ancora un’altra via, fuori dalla logica maussiana, ed è «quel fare insieme che si svolge all’interno di una comunità o che costituisce la comunità e in cui si afferma e valorizza un sé relazionale diffuso».3

La condivisione è un concetto ed un valore insito nella natura umana: si condivide già nella maternità, nella convivialità, nelle logiche legate al metodo del consenso; si condividono il dolore, la casa, il cibo, i beni collettivi.4

La condivisione è un concetto che assume forme e modalità di presentazione differenti in base alle dimensioni delle realtà in cui si sviluppa. Se all'interno dei piccoli gruppi quello che Belk5

chiama lo sharing in (la «condivisione nel piccolo») non solo è possibile ma è proprio fisiologico al loro stesso funzionamento, lo sharing out (ovvero la «condivisione su larga scala») è estremamente complicato da mettere in atto. Oggi tuttavia lo sharing out è sempre più diffuso ed in costante evoluzione.

Peraltro è da sottolineare come stia prendendo campo un uso eccessivamente esteso del termine «condivisione», uso che porta con sé il rischio di «annacquarne» il significato, facendolo equivalere a ogni mezzo che permetta, tramite un utilizzo condiviso di qualcosa, un abbattimento dei costi.

2 Ci stiamo riferendo alla teoria del dono di Mauss e al movimento M.A.U.S.S. che dalle sue teorie prende forma (si veda il capitolo I).

3 M. Aria - A. Favole, La condivisione non è un dono, in AA. VV., L'arte della condivisione. Per un'ecologia

dei beni comuni, Novara, Utet, 2015, p. 38.

4 Come suggeriscono Favole e Aria nel saggio citato nella nota sopra, sarebbe interessante analizzare tutti i termini che in italiano iniziano con «con» come consenso, condividere, conviviale, ovvero tutti quei termini che presuppongono alla loro base la logica del Noi; vedi M. Aria - A. Favole, op. cit., p. 39.

Vediamo ora di capire quali sono i motivi che hanno condotto alla rinascita della condivisione e, con essa (come vedremo dopo), della comunità (che della condivisione è forse l'espressione più completa).

Potremmo dire che alla base di tutto potrebbe esserci la crisi che ci circonda e nella cui ombra ormai viviamo da qualche anno, la quale si dispiega in varie direzioni.

Senza soffermarsi troppo sull’argomento (che richiederebbe una trattazione separata e delle conoscenze di altro genere e livello), proviamo ad individuare questi fattori di difficoltà globale e cerchiamo di capire come e quanto incidono sul nostro oggetto di studio.

In primo luogo, vi è ovviamente una crisi a livello economico che non conosce eguali da tempo. Inevitabile conseguenza è la necessità di rivedere i propri stili di vita, cercando di improntarli sul concetto di risparmio di spesa: non si tratta più di risparmiare in senso stretto, ovvero di accumulare il non speso, ma piuttosto di cercare di spendere il meno possibile. É ovvio che condividere - sia che si stia parlando di casa o di beni e servizi di altro genere - necessariamente comporta un vantaggio in questo senso e ciò rappresenta un indubbio fattore causale del ritrovato desiderio di condivisione.

In secondo luogo, vi è una profonda crisi politica con un'evidente carenza di leadership a ogni livello e una mancata coordinazione - militare, sociale ed economica - tra i paesi. Il che, oltre a peggiorare la già difficile situazione economica che stiamo attraversando, contribuisce a mantenere vivo un insostenibile clima di paura e di sfiducia.

Vi è poi la crisi del Welfare e dei servizi sociali. I cittadini, abituati (in misura ovviamente differente in base all’ordinamento giuridico di appartenenza) a ricevere una serie di servizi sociali, talvolta anche faticosamente conquistati nel passato, ne sono improvvisamente privati.

Così sempre più frequentemente vengono a mancare o a essere meno efficaci i servizi sanitari, quelli scolastici e universitari o l’assistenza sociale nei confronti delle categorie più svantaggiate.

Strettamente connessa alla crisi del Welfare, dobbiamo considerare la dissoluzione della famiglia tradizionale allargata. Fino a qualche decennio fa, le famiglie non erano mononucleari6

come oggi e ciò permetteva di trovare in qualche modo dei servizi sociali che

6 Sul processo di nuclearizzazione delle famiglie, si veda AA.VV. Famiglia, reti familiari e cohousing. Verso

nuovi stili del vivere, del convivere e dell'abitare, (a cura di A. Sapio), Milano, FrancoAngeli, 2010. A

causa della crisi della natalità, delle difficoltà economiche e lavorative, dei prezzi eccessivi del mercato immobiliare, la famiglia è passata negli ultimi decenni da essere una struttura allargata ad una di tipo nucleare, ovvero composta da un insieme di persone conviventi, costituito da una coppia, sposata o non sposata, con o senza figli oppure da un solo genitore con figli (si sta facendo riferimento alle definizioni di

potremmo definire «alternativi»7

: le necessità relative alla cura e all'assistenza erano principalmente soddisfatte all'interno del nucleo familiare. Oggi la famiglia è mononucleare ovvero composta dai genitori, di solito entrambi impegnati in attività lavorative fuori casa, e dai figli (o, più spesso, dal figlio).

La dissoluzione del Welfare e quella della famiglia allargata tradizionale creano così un vuoto di servizi sociali che in qualche modo deve essere necessariamente colmato.

In ultimo luogo, non possiamo dimenticare la crisi ambientale ed ecologica. L’idea che prende sempre più campo (ma che stenta tuttavia a tramutarsi in realtà concreta) è che sia assolutamente necessario raggiungere quanto prima quello che è chiamato lo sviluppo sostenibile, ovvero quello sviluppo che «lungi dall'essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali».8

Da questa prospettiva, si sta diffondendo sempre di più la consapevolezza di essere davanti ad una situazione drammatica: vi è stata una riduzione drastica delle risorse da sfruttare e delle fonti energetiche, siamo circondati da un alto tasso di inquinamento, la biodiversità sta scomparendo, scarseggiano il cibo e l’acqua.

In che senso la condivisone può essere d’aiuto per uscire da questo «stallo»?

É chiaro che i vari ambiti della crisi si influenzino a vicenda: ciò da un lato rende più complesso probabilmente individuarne le varie ragioni, dall’altra parte tuttavia delimita l’obiettivo finale da raggiungere che è quello di vivere cercando di spendere il meno possibile, risparmiando denaro ma al contempo anche energie e risorse, provando ad adempiere ai compiti che fino a qualche anno fa erano demandati al servizio sociale o alle famiglie allargate. Questo scopo si può raggiungere anche attraverso la condivisione dei beni, dei servizi e - perché no - dei doveri. È nella natura stessa della condivisione, infatti, condurre ad un risparmio e ad un uso più efficiente delle risorse.

famiglia fornite dall'Istat e disponibili nel sito www.3istat.it.). L'instabilità coniugale comporta anche la nascita di nuclei familiari di tipo unipersonale, cioè costituiti da una sola persona.

7 Nella tradizionale famiglia non mononucleare i bisogni di assistenza e cura erano soddisfatti da membri interni.

8 Rapporto Brundtland, Commissione europea sull'ambiente, 1987. Il rapporto Brundtland (noto anche come

Our Common Future) è un documento adottato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo

sviluppo (WCED) dove viene introdotto il concetto di «sviluppo sostenibile» per la prima volta. Lo sviluppo sostenibile è definito come «quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare

La condivisione diventa così (e così lo sarà la comunità) un metodo resiliente9

per contrastare la crisi ovvero un processo attraverso il quale individui, famiglie o gruppi, che si trovano in situazioni di difficoltà più o meno momentanee, resistono a questi eventi attivando strategie di risoluzione dei problemi (chiamate strategie di coping).

E' in questo clima che si sviluppano sempre di più i fenomeni di condivisione, intesa come utilizzo in comune di una risorsa o di uno spazio, tanto che esiste tutto un filone di studi (ancora non sufficientemente approfonditi) sulla cosiddétta community resilience per i quali eventi stressanti diventano «elementi catalizzatori di spinte solidaristiche e coesione sociale».10

La condivisione, il solidarismo, la cooperazione, il dono come strategie di resilienza sono diventati oggetto di vivaci dibattiti nelle scienze sociali tanto che si parla spesso di filosofia o etica della condivisione.

Secondo gli autori - economisti, sociologi, filosofi - che possono essere raggruppati all’interno di questo filone, l’economia non può essere separata dalle altre attività umane ed è necessariamente radicata nella società. Essi non rifiutano il sistema economico in quanto tale ma piuttosto il dogma del mercato e propongono alternative. Il rimprovero cade sul mercantilismo in generale, sulla eccessiva deregulation, sull’intero modello economico anglosassone (e soprattutto statunitense) che permette la speculazione finanziaria, la totale privatizzazione, la libera circolazione delle merci e - soprattutto - dei capitali. La «ricetta» proposta cerca invece di ritrovare il perduto senso del comune, della cooperazione, della solidarietà. Si prova a costruire un mercato basato sul benessere collettivo e sulla tutela dell’ambiente; si parla di beni comuni, di sviluppo sostenibile, di dono, di scambio e - ovviamente - di comunità. Si parla di condivisione appunto.

Dal punto di vista del mero aspetto pratico, le soluzioni si muovono in più direzioni. In primo luogo, si cerca di favorire lo sviluppo del mutuo aiuto e della solidarietà con esperienze concrete; in secondo luogo, si aumenta la solidità delle reti sociali; in ultimo luogo, c’è una componente attivista che propone l’agire comune per superare i dislivelli sociali e raggiungere il benessere collettivo, convertendo la condivisione in strumento di conflitto e di lotta sociale.

9 Con il termine «resiliente» in psicologia si intende la capacità di reagire positivamente ad eventi traumatici, migliorando la propria condizione. Il concetto viene utilizzato sempre più spesso dalle altre scienze sociali e applicato anche all'idea di comunità. In questo ultimo caso, ci si riferisce a contesti sociali conseguenti a gravi catastrofi naturali o dovute all'azione dell'uomo quali, ad esempio, attentati terroristici, guerre, crisi economiche o ambientali. Le comunità resilienti non solo sopravvivono ma, in queste situazioni di difficoltà, trovano le risorse per una nuova fase di sviluppo.

10 AA. VV. Famiglia, reti familiari e cohousing. Verso nuovi stili del vivere, del convivere e dell'abitare, op.

Secondo il sociologo Fabris, in questo momento di «costante divaricazione tra economia e società»11

stiamo assistendo ad un cambiamento «nell’antropologia dei consumi e stili di vita»12

, sempre più orientato nella direzione del dono, sostituendo il possesso con l’uso temporaneo, l’acquisto con il noleggio, la proprietà con l’accesso.

Fra le differenti modalità in cui la crisi si snoda, ve ne è infatti una ulteriore che prima non abbiamo nominato: la crisi valoriale. La perdita dei valori tradizionali, seguita allo sviluppo economico del dopo guerra, ha creato un vuoto che non è ancora stato colmato. Si cerca allora uno stile di vita differente che tenga conto dei nuovi bisogni emersi dalla crisi economica e si sviluppa la completa consapevolezza che qualsiasi alternativa proponibile si possa realizzare «solo in qualche forma di comunione».13

La condivisione diventa quindi non solo un’alternativa ma la sola alternativa possibile.

Il filosofo Slavoj Žižek pone questo concetto fra le nuove categorie di pensiero da utilizzare per creare una nuova dimensione sociale14

e anche il modello proposto da Braggio poggia su istanze solidaristiche e di cooperazione in ogni settore delle attività umane.15

Serge Latouche, l'ideatore dell'ormai nota teoria della decrescita felice16

, indica la condivisione come chiave di lettura per la sua agenda delle otto "R" ovvero degli otto cambiamenti che insieme costituiscono il circolo virtuoso per arrivare ad una «decrescita serena, conviviale e sostenibile»17: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.

Altri studiosi si focalizzano su aspetti peculiari proponendo però di base sempre il modello della condivisione: l’economista Patel18

si occupa della tematica dal punto di vista della crisi alimentare mondiale, Rifkin invece si concentra sul profilo energetico e propone

11 G. Fabris, La società post-crescita. Consumi e stili di vita, Milano, Egea, 2010, p. 51. 12 Ivi, p. 171.

13 R. Mancini, La logica del dono. Meditazioni sulla società che credeva d'essere un mercato, Padova, EMP, 2011, pp. 58 - 59.

14 S. Žižek, In difesa delle cause perse, Milano, Ponte alle Grazie, 2009; S. Žižek, Dalla tragedia alla farsa, Milano, Ponte alle Grazie, 2010, p. 17; S. Žižek, Ideologia della crisi e superamento del capitalismo, Milano, Ponte alle Grazie, 2010; S. Žižek, Vivere alla fine dei tempi, Milano, Ponte alle Grazie, 2011. 15 Si veda A. Braggio, Cooperare, non competere, disponibile in ventochemuove.it, 19 novembre 2012. 16 La decrescita felice comprende una serie di correnti di pensiero basati sui temi della demitizzazione dello

sviluppo fine a se stesso. In Italia esiste un'associazione (Movimento per la Decrescita felice) fondata da Pallante, esperto di risparmio energetico. La decrescita viene teorizzata da Georgescu Roegen, fondatore della bioeconomia, e poi ripresa da Latouche. L'idea base è che il nesso tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positivo, ma che spesso all'aumento del Pil si associ un peggioramento della qualità delle vita. Si veda anche, per un approfondimento, S. Latouche, La scommesssa della decrescita, Milano, Feltrinelli, 2007; S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Torino, Bollati Boringhieri, 2008; S. Latouche, Il tempo della decrescita. Introduzione alla frugalità felice, Milano, Eléuthera, 2011. 17 S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, op.cit., p. 44.

una nuovo modello di società basato su una terza rivoluzione industriale di cui un pilastro19 dovrebbe essere la creazione di una rete finalizzata proprio alla condivisione dell’energia elettrica.

In questo senso, merita fare un cenno anche alla scuola dell'ecologia sociale che trova in Bookchin il suo maggior esponente.

Nel 1982 Bookchin pubblica il testo Ecologia della libertà20

nel quale si trova la sintesi delle idee dell'ecologia sociale. Preso atto che è in corso un'enorme catastrofe ecologica, l’unica via di fuga a lungo termine è una nuova organizzazione delle strutture sociali e una politica più partecipata fondata su assemblee di vicinato o di quartiere e su altre forme associative similari.

Quella di Bookchin è una proposta che possiamo definire di tipo comunitarista e egli la espone nel libro From Urbanization to Cities21

pubblicato nel 1987 ove si legge che occorre garantire il massimo coinvolgimento dei cittadini nella amministrazione e che «non vi può essere politica senza comunità. E per comunità intendo una libera associazione di cittadini su base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacità economica dai propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunità, organizzate in reti territoriali».22

Concludendo, pare che l’unica via possibile per superare e anzi uscire «arricchiti» dalla crisi, sia proprio la condivisione, considerata in ogni suo aspetto.23

Tornando più specificatamente sulla nostra analisi, la condivisione altro non è allora che l’ingrediente fondamentale della costruzione comunitaria.

19 I pilastri individuati da Rifkin sarebbero cinque: scegliere definitivamente le energie rinnovabili, trasformare gli impianti edilizi in impianti di microgenerazione, applicare l'idrogeno e le altre tecnologie di immagazzinamento dell'energia; unificare le reti elettriche a livello mondiale per condividere l'energia disponile, riconvertire i mezzi di trasporto in veicoli ibridi e elettrici. Si veda, a tal proposito, J. Rifkin, La

civiltà dell'empatia, Milano, Mondadori, 2010; J. Rifkin, La Terza rivoluzione industriale, Milano,

Mondadori, 2011.

20 M. Bookchin, L'ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Milano, Eléuthera, 1988 (ed. or. The Ecology of Freedom. The Emergence and Dissolution of Hierarchy, Palo Alto CA, Cheshire Books, 1982).

21 M. Bookchin, From Urbanization to Cities. Toward a new poltics of Citizienship, London, Cassell, 1995. 22 M. Bookchin, The Rise of Urbanization and the Decline of Citizenship, San Francisco, Sierra Club Books,

1987.

23 Dubbi su questa concezione li pongono Aria e Favole, i quali ritengono che la condivisione pur essendo un modo per uscire dalla crisi, porti con sé il rischio di ricondurre ad una forma di capitalismo in cui permangono differenze sociali ed economiche. M. Aria - A. Favole, op. cit., p. 42.

1.2. Sharing economy, car sharing, coworking, i gruppi di acquisto ed altri

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