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Sharing economy, car sharing, coworking, i gruppi di acquisto ed altri fenomeni di condivisione

1. L’etica della condivisione

1.2. Sharing economy, car sharing, coworking, i gruppi di acquisto ed altri fenomeni di condivisione

Assimilare l’idea che l’unica risposta davvero resiliente alla crisi (anzi alle crisi) sia un nuovo stile di vita e una nuova forma mentis improntata sulla necessaria condivisione, apre la porta alla cosiddétta sharing economy.24

Il termine sharing economy si può tradurre con «economia della condivisione» ma non esiste una sua definizione puntuale e accettata in modo unanime dalla comunità scientifica, anche perché essa ingloba al suo interno tutta una serie di esperienze provenienti da una lunga tradizione. Ad esso poi si associano altri termini anglofoni (peer economy, access economy, crowd economy, per esempio) la cui traduzione è spesso complessa e difficilmente univoca e che, di conseguenza, sono utilizzati dai differenti autori in modo parzialmente intercambiabile.

Senza soffermarsi sulle implicazioni terminologiche, torniamo al nodo della questione ovvero alla sharing economy intesa come un modello di economia fondata sui «mercati tra pari»25

e sui cosiddétti «modelli di business basati sull’accessibilità»26. Un mercato, quindi, dove i cittadini hanno libero accesso alle risorse, sulla base della condivisione e della collaborazione. Questo ultimo termine è un po’ il cuore della sharing economy, tanto che questo è sempre più spesso sostituito dal termine collaborative economy (traducibile con «economia collaborativa»).

Riprendendo l’impostazione data dal dossier di Nesta27

, basato a sua volta sugli studi28 di Botsman e Rogers, l’economia condivisa è formata da quattro pilastri (consumo collaborativo, la produzione collaborativa, l’apprendimento collaborativo, la finanza collaborativa) ai quali se ne aggiunge solo da qualche tempo un quinto, la governance

24 L'etica della condivisone si inserisce a sua volta in un filone di pensiero che comprende tutti i fenomeni che hanno come scopo ultimo una maggior salvaguardia del pianeta e dell'umanità (per esemplificare, l'economia sociale e solidale, gli human rights, il mondo della cooperazione, il mutualismo, il commercio equo, i sistemi di pagamento complementari o alternativi, i sistemi di scambio locali, le associazioni di mutua assistenza, la decrescita, i movimenti di slow food, slow town, la rivendicazione del buen vivir, i diritti della natura, l'ecologia politica, gli indignados, Occupy Wall Street, la ricerca di indicatori di ricchezza alternativi, i movimenti sulla sobrietà, le teorie del care, le nuove teorie sui commons e così via. Si veda AA. VV., Manifesto convivialista. Dichiarazione d'interdipendenza, Pisa, Ets, 2014. pp. 21 - 22. 25 Rapporto Business Innovation Observatory, 2013.

26 Ibidem.

27 K. Stokes - E. Clarence - L. Anderson, Making sense out of the UK Collaborative Economy, London, Nesta Collaborative Lab, 2014.

28 R. Botsman - R. Rogers, What’s mine is yours: the rise of collaborative consumption, HarperCollins, New York NY, United States, 2010.

collaborativa.29

Il consumo collaborativo nasce come modello economico negli Stati Uniti alla fine del 1900. Il termine appare per la prima volta nel 1978, quando i due ricercatori Felson e Spoeth lo inseriscono in un articolo, facendone un primo modello teorico30

. Nel 2007, il giornalista Algar lo riutilizza per un altro scritto ma è solo nel 2010, con l’uscita dell’opera di Rogers e Botsman What’s mine is yours: the rise of collaborative comsuption, che il termine indica non solo più modelli teorici ma anche applicazioni concrete di nuovi schemi economici.

Si tratta di pratiche di collaborazione e condivisione del consumo sulla base di piattaforme spesso virtuali nell'ambito delle quali rientrano numerosissimi casi.

Dal punto di vista dell’utilizzo dei beni in senso stretto, basta pensare a pratiche come il bartering (ovvero il baratto tra privati o aziende) oppure ai gruppi solidali di acquisto, i cosiddétti Gas o ancora a fenomeni sempre più diffusi come il car pooling, il car sharing o il bike sharing.31

La «casa» non sfugge a questa tendenza e diventa così anch'essa oggetto della sharing economy attraverso nuove forme di condivisione dell’abitazione (come vedremo a breve) o fenomeni ancor più recenti come il couch surfing32o come il sito Airbnb.33

La produzione collaborativa include invece l'insieme delle pratiche attraverso le quali un gruppo di persone collabora per produrre beni e servizi e sviluppare prototipi. Gli esempi più comuni sono l’open-manufacturing e l’open-design. Vi rientrano anche i cosiddétti FabLabs (Fabrication Laboratories), laboratori e studi attrezzati con tecnologia d'avanguardia concepiti per l'auto-fabbricazione da parte degli utenti degli oggetti più svariati. Ogni oggetto o tecnologia prodotta nei Fab labs viene messa poi a disposizione della comunità di utenti.

29 Si veda Rapporto Dalla sharing economy all'economia collaborativa. L'impatto e le opportunità per il

mondo cooperativo, Fondazione Unipolis, 2015, disponibile in http://www.fondazioneunipolis.org/wp-

content/uploads/2015/12/Ricerca-Economia-collaborativa-e-Cooperazione.pdf

30 M. Felson - J. L. Spaeth, Community structure and collaborative consumption: A routine activity approach, in American Behavioral Scientist, 21 (4), 1978, pp. 614 - 624.

31 Spesso confusi, i due termini hanno due significati differenti: con il car pooling, più soggetti viaggiano insieme nella medesima automobile, solitamente di proprietà di uno dei viaggiatori, dividendo le spese di viaggio e partecipando a quelle di manutenzione; il car sharing è invece una sorta di autonoleggio a tempo con postazioni site in diverse zone della città. Vi è anche un'altra soluzione, chiamata car sharing peer-to-

peer, attraverso la quale il gruppo di persone iscritte al servizio condivide l'utilizzo di un'auto in una sorta di

multiproprietà. Il bike sharing è come il car sharing ma, come si intuisce, si utilizza la bicicletta, in un'ottica ancora più ecosostenibile.

32 Con la parola couchsurfing (letteralmente «fare surf sui divani») si indicano in generale i fenomeni nati sulla scia del servizio gratuito di scambio di ospitalità gratuita diffuso attraverso una piattaforma virtuale lanciato nel 2003 dalla società Couchsurfing International Inc.

33 Airbnb è un sito finalizzato a mettere in contatto chi ricerca un alloggio per brevi periodi e chi ha spazi da

Rientrano in questa categoria anche tutte le forme di coworking.34

Nel campo dell'apprendimento collaborativo possiamo includere tutte gli esperimenti di condivisione di conoscenza, i quali spesso si muovono nel mondo virtuale. Pensiamo ai MOOC35 (

i corsi di formazione a distanza gratuiti), a Wikipedia (vera Bibbia della condivisione delle informazioni), alle open source36

, ai social network e così via.

Vi è poi la finanza collaborativa che comprende tutti i nuovi strumenti finanziari e i mezzi attraverso i quali i finanziatori privati scelgono i destinatari del finanziamento. Sono parte di questo insieme fenomeni come il crowdfunding37

o il equity-based crowdfunding.38 Abbiamo infine la governance collaborativa, quinto pilastro della sharing economy, solo recentemente aggiunto ai quattro pilastri tradizionali.39

Possono essere ricompresi in questo settore le collaborazioni e i procedimenti partecipati tra i cittadini, la pubblica amministrazione, i privati e il no profit e le pratiche di gestione dei beni comuni.

Quello che è certo, a prescindere dalle classificazioni e dalle definizioni, è che la sharing economy propone un nuovo modello di mercato basato su forme di consumo più consapevoli e collaborative. Si tratta in sostanza di condividere attraverso un uso comune una risorsa, senza far ricorso alle tradizionali forme di compravendita, di scambio o di reciprocità, e abbattendo così i confini tra finanziatori, produttori e consumatori. A tutto questo deve aggiungersi necessariamente una piattaforma tecnologica che permetta un veloce scambio di informazioni e un abbattimento delle distanze spaziali.

La crescita dell’economia condivisa e dei suoi sottoinsiemi pare inarrestabile.

I motivi di questa diffusione sono da rintracciarsi, come abbiamo visto, nella crisi economica

34 Il coworking consiste nel condividere spazi di lavoro e strumentazione senza però necessariamente dover condividere anche l'attività lavorativa. Di solito sono gruppi di professionisti occupati in vari ambiti. 35 I MOOC esistono anche in lingua italiana. Per esempio, possiamo citare quelli organizzati dall'Università

Ca' Foscari, quelli della piattaforma e-learning realizzata dall'Università degli Studi di Napoli Federico II o ancora quelli offerti dal Politecnico di Milano e dal sistema Trio della Regione Toscana.

36 Con il termine open source si indica un software di cui vengono resi pubblici e liberamente utilizzabili i codici sorgente, così che i programmatori indipendenti possano apportarvi modifiche ed estensioni tramite un sistema di licenze d'uso.

37 Con il termine crowdfunding si raggruppano le pratiche di finanziamento collettivo in cui finanziatori decidono di sostenere determinati progetti.

38 Il crowd-sourced equity consiste, secondo la definizione che ne dà la Consob, in una modalità di finanziamento che consente a società non quotate in borsa di ottenere risorse finanziarie dal pubblico a fronte di quote azionarie, reperendolo su piattaforme web (anche per importi minimi). Tramite il finanziamento, l'individuo acquista un diritto di partecipazione nell'impresa. Si veda Consob, Equity crowdfunding: cosa devi assolutamente sapere prima di investire in una «start-up

innovativa» tramite portali on-line, disponibile on-line in http://www.consob.it/main/trasversale/risparmiatori/investor/crowdfunding/index.html#c1.

39 Si veda ancora Rapporto Dalla sharing economy all'economia collaborativa. L'impatto e le opportunità per

(e non solo economica) ma occorre considerare anche che è in atto un rovesciamento del modo di pensare l’economia, soprattutto se vista in rapporto alla società. Il che comporta non solo dei benefici ma anche dei rischi poiché la crescita della sharing economy potrebbe mettere a dura prova i vari compartimenti economici tradizionali.

Sarà dunque necessario - al fine di sfruttare al meglio queste nuove prospettive - progettare interventi di ampio respiro che coinvolgano il tessuto economico già esistente, il no profit, le amministrazioni pubbliche e i cittadini. Solo in questo modo la sharing ecomony potrà essere davvero - così come è stata definita in un articolo del Time Magazine dal suo senior editor Walsh - «una delle dieci idee destinate a cambiare il mondo».40

La sharing economy, così genericamente intesa, si muove e si sviluppa in differenti direzioni, delle quali abbiamo fatto una brevissima panoramica al fine di avere una maggior consapevolezza dell’ampiezza del fenomeno che ci sarà utile nel proseguo della trattazione. I differenti modi di abitare che ci apprestiamo ad analizzare non sono infatti, come accennato sopra, che una parte del consumo collaborativo. Nel proseguo vedremo anche come gli altri pilastri della sharing economy siano utilizzati, più o meno consapevolmente, per quanto riguarda le questioni inerenti alla gestione interna di queste nuove forme abitative.

1.3. Il convivialismo

Nel 1973 Ilian Illich pubblica La convivialità41

proponendo la creazione di una società conviviale, ove ognuno abbia la possibilità di utilizzare gli «strumenti»42 che gli stanno intorno per realizzare le proprie intenzioni.

La società conviviale di Illich è una società fatta di spazi aperti, fondata su «un accordo comunitario sul profilo tecnologico di un tetto comune sotto al quale tutti i membri di una società vogliono vivere, invece di costruire piattaforme di lancio da cui solo pochi membri della società vengono spediti sulle stelle»43

. È un tipo di struttura sociale che vive di una «politica di auto-limitazione volontaria e comunitaria»44

, improntata sulla «ricerca dei limiti

40 B. Walsh, 10 Ideas that Will change the World, in Time Magazine, Marzo 2011.

41 I. Illich, La convivialità, Milano, Oscar Saggi, 1978 (ed. or. La convivialité, Seuil, Paris 1973). 42 Ivi, p. 29.

43 G. Esteva, Nuovi ambiti di comunità per riappropriarsi del comune, traduzione dell'intervento al convegno

After the Crisis: the Thought of Ivan Illich today, Oakland, 1-3 agosto 2013 (tit. or. Commonism: enclosing the enclosers), p. 10.

massimi alla produttività istituzionale e al consumo di servizi e merci, in base ai bisogni considerati, all'interno della comunità, soddisfacenti per ogni individuo».45

L'idea della convivialità è dimenticata per anni fino a che nel 2011 a Tokio, durante un convegno dedicato proprio ad Illich, il francese Alain Caillé (fondatore del Mauss46

), espone la teoria secondo la quale l'eredità lasciata dall’autore possa essere utilizzata per rielaborare una strategia al fine di superare la crisi politica, economica, valoriale ed ecologica. Su questa base, ma anche riprendendo le idee di Gorz, Alain Caillé, chiama a raccolta un gruppo di studiosi e intellettuali provenienti da ogni parte del mondo e questo eterogeneo gruppo di lavoro redige e pubblica nel 2013 il Manifesto convivialista, già tradotto in una decina di lingue.

L’uso della parola «conviviale» non è il medesimo di quello fatto da Illich ma, come spiega proprio Caillé in una recente intervista, «il nocciolo del termine risale alla sua etimologia latina, cioè il saper vivere assieme. Ed oggi, per riprendere i termini di Marcel Mauss, è di bruciante centralità il saper vivere assieme senza massacrarsi».47

Nel Manifesto è infatti promossa l’arte del convivere, valorizzando le relazioni sociali, la cooperazione, la cura reciproca degli individui e dell’ambiente circostante. La proposta convivialista non va contro il mercato di per sé ma cerca di trovare una terza via posta tra Stato e individuo, tentando di raggiungere un punto in comune tra le differenti ideologie anti neo-liberiste. Ognuno dei sessantaquattro intellettuali firmatari (ai quali, negli anni, se ne sono aggiunti un altro centinaio) rappresenta infatti una corrente di pensiero, una rete associativa, una rete di reti assai diversificate fra di loro.48

Ciò che li unisce è appunto il considerare come nemico comune il capitalismo finanziario ed economico e la sensazione di dover intervenire urgentemente contro questo tipo di società, dove la crescita illimitata e l’incapacità della comunità umana di valorizzare il comune, hanno condotto ad una situazione disastrosa. Ciò che si prospetta è la creazione di una società post-crescita basata su nuovi valori che sappia reagire appunto alle varie crisi in corso e che si concretizzi appunto nel vivere insieme. Si tratta di dare forma ad una nuova ideologia politica, il convivialismo, che si mostrerà «nell’infinita miriade di iniziative intraprese in comune dai cittadini, cioè dalle donne e dagli

45 G. Esteva, Nuovi ambiti di comunità per riappropriarsi del comune, traduzione dell'intervento al convegno

After the Crisis: the Thought of Ivan Illich today, Oakland, 1-3 agosto 2013 (tit. or. Commonism: enclosing the enclosers), p. 10.

46 Si veda quanto già detto a proposito del Mauss nel capitolo I.

47 Si veda intevista di D. Zappalà a A. Caillé, Caillè: meglio conviviali che liberisti, disponibile su http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/meglio-conviviali-che-liberisti.aspx

48 A. Caillé, Vivere insieme contrapponendosi senza massacrarsi, in AA. VV., L'arte della condivisione. Per

uomini che si riuniscono a vari fini, nelle associazioni, se vogliamo e più generalmente nella società civile auto-organizzata».49

Il mercato e la ricerca di reddito non sono di per sé incompatibili con questa prospettiva se rispettano i «postulati di comune umanità e socialità, e dal momento in cui sono coerenti con le considerazioni ecologiche»50

.

Il testo individua preliminarmente cinque questioni da risolvere: la questione morale (che cosa gli individui possono sperare e cosa invece debbono proibirsi?); la questione politica (quali sono le comunità politiche legittime), la questione ecologica (che cosa possiamo pretendere dalla Natura e cosa possiamo concedere in cambio?) la questione economica (che quantità di ricchezza materiale possiamo produrre?) e, infine , la questione religiosa o spirituale (ovvero quella che i convivialisti chiamano la questione del senso).

Per rispondere a queste domande, il Manifesto mette in luce quattro principi.51

In primo luogo, vi è il principio della comune umanità che afferma che occorre rispettare l’umanità di per sé, a prescindere dalle differenze etniche, linguistiche, religiose o sociali. Vi è poi il principio della comune socialità, secondo cui il più grande patrimonio dell’umanità sono le relazioni sociali. Ancora troviamo il principio di individuazione grazie al quale ognuno, nel rispetto dei principi precedenti, può formare la propria «individualità in divenire, sviluppando le proprie capacità, la propria potenza di essere e di agire senza nuocere a quella degli altri nella prospettiva di una libertà uguale»52 e infine il principio di opposizione controllata che garantisce agli individui la possibilità di differenziarsi accettando e gestendo il conflitto, inteso come un componente fisiologico della natura umana.

Il problema è che ciò che contraddice questi principi e non permette così di rispondere alle cinque questioni «è il circolo vizioso che collega fra loro - con un maggior o minor grado di prossimità e connivenza - la Hýbris, la corruzione, l’esplosione delle disuguaglianze, il capitalismo finanziario e speculativo, i paradisi fiscali e la criminalità organizzata».53.

Se queste sono le premesse teoriche, la proposta concreta è quella di una migliore distribuzione delle risorse con l’introduzione di un profitto massimo e di un salario minimo; l’utilizzo delle tecnologie a servizio dell’ecologia; l’accessibilità assoluta alle risorse informatiche e telematiche. In sintesi, il convivialismo altro non è che «l'arte di vivere

49 A. Caillé, Vivere insieme contrapponendosi senza massacrarsi, in AA. VV., L'arte della condivisione. Per

un'ecologia dei beni comuni, op.cit., p. 77.

50 AA. VV., Manifesto convivialista, op. cit., p. 42. 51 Ivi, pp. 34 ss.

52 A. Caillé, Vivere insieme contrapponendosi senza massacrarsi, in AA. VV., L'arte della condivisione. Per

un'ecologia dei beni comuni, op. cit., p. 79.

insieme (con- vivere) che valorizzi la relazione e la cooperazione e che permetta di contrapporsi senza massacrarsi, prendendosi cura degli altri e della Natura»54

o, come rileva Favole, di «un ben vivere a crescita zero»55

basato sulla logica del dono e della reciprocità.56

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