3. Vicende antropologico-giuridiche della comunità: criticità fisiologiche e influenza della mancata giuridificazione
3.4. Modi di acquisizione dei fondi e degli edific
Un altro aspetto problematico riguarda la ricerca e la successiva acquisizione del fondo o dell'edificio necessario.
Per ciò che concerne la ricerca, chiaramente è compito dei residenti impegnarsi per trovare dei fondi o delle strutture che siano idonei al tipo di comunità che si vuole creare. Vi sono infatti differenti ipotesi: si può acquisire un fondo libero e costruire ex novo una comunità; si può acquistare un edificio già pronto per essere abitato in comune oppure da ristrutturare.
Le variabili sono molte e sono strettamente legate alla tipologia di struttura tanto che è impossibile trovare una regola sempre valida ma si possono comunque rintracciare delle grandi categorie.
Per i condomini solidali, per esempio, non si pongono in linea di massima problemi di acquisizione del fondo poiché si tende ad utilizzare strutture abitative già esistenti.
Per quanto riguarda invece cohousing, gated communities e social housing la ricerca del fondo sarà effettuata solo nel caso in cui vi sia da costruire ex novo. Questo accade di norma se i fondatori hanno intenzione di stabilirsi in un'area rurale mentre invece se la scelta ricade sull'area urbana sarà molto più probabile acquistare immobili da ristrutturare.
Il problema si presenta di nuovo quando si parla di ecovillaggi e comunità intenzionali. Queste strutture solitamente necessitano di un fondo ampio, situato in una zona non edificata. Non debbono esserci nelle vicinanze immediate altre residenze singole o villaggi poiché i problemi con i vicini residenti sono spesso gravosi da risolvere. Al contempo, la comunità deve essere comunque abbastanza raggiungibile: questo soprattutto nel caso in cui siano previste forme di lavoro esterno considerando anche che - se si vuole mantenere con coerenza l'impostazione eco-sostenibile- sarà improbabile che vi sia la disponibilità di molti mezzi di trasporto privato.
La scelta è influenzata poi da altri fattori come la dimensione che si ha intenzione di conferire alla comunità, la sua localizzazione, i servizi che si vogliono avere nei dintorni e così via. Un aspetto con risvolti interessanti in questo ambito riguarda il profilo prettamente ecologico: potrebbe venire naturale pensare che sia molto più ecosostenibile costruire una comunità su un'area rurale poco abitata. Invece, se si valutano attentamente le conseguenze delle scelte di localizzazione, giungiamo a risultati opposti: costruire (anche se in modo ecosostenibile) in aree rurali provoca un impatto ambientale assai maggiore di quello prodotto edificando o ristrutturando in città. In un'area non urbana i residenti dovrebbero spostarsi in automobile, andrebbero eseguiti interventi sul territorio anche invasivi (per esempio, le fognature), occorrerebbe cementificare, si consumerebbero suolo e verde pubblico.47
Questo per ribadire, prima di continuare con l'analisi delle vicende preliminari della vita comunitaria, che le scelte, quando c'è di mezzo una comunità, non sono mai scontate.
Una volta individuato un terreno libero, quindi, sorge il problema di come acquisirlo. Le possibilità possono essere molteplici e chiaramente anch'esse cambiano non solo in base agli ordinamenti ai quali si fa riferimento ma anche in relazione alle normative delle varie zone e dei differenti enti locali.
Abbiamo provato a costruire delle grandi categorie giuridiche che potessero essere adatte per differenti ordinamenti.
La prima grande categoria di modi di acquisizione è costituita da quella che potremmo chiamare occupazione abusiva.
Questa è un'ipotesi che si verifica abbastanza frequentemente.
Spesso infatti i residenti, soprattutto nelle fasi iniziali nelle quali essi non sono pienamente consapevoli della portata del loro progetto e delle considerazioni che andrebbero fatte a medio-lungo termine, agiscono in modo assolutamente spontaneo e, una volta individuato un terreno o un edificio abbandonato, lo occupano abusivamente.
In Italia, vi è il caso del Popolo della Valle degli Elfi, un ecovillaggio insediato nell'Appenino toscano. In una prima fase, i residenti occupano dei ruderi abbandonati nel bosco e iniziano a risistemarli. Trattandosi di un'operazione abusiva questo crea delle grandi tensioni nei rapporti con la pubblica amministrazione e con il vicinato ma il clima diventa più disteso quando ci si rende conto che l'intervento della nuova comunità migliora il patrimonio locale, poiché garantisce una cura dell'ambiente naturale che altrimenti non sarebbe possibile.
Un altro esempio è quello danese di Christiania: anche in questo caso i residenti occupano una ex zona militare della città, dando così luogo a una comunità intenzionale.48
Un altro grande gruppo di modi di acquisizione è costituito da quelle che sono le titolazioni collettive di risorse territoriali.
Capita - ancora non molto frequentemente - che gli enti pubblici attribuiscano il diritto di godimento o addirittura la proprietà di terreni (più raramente di edifici) a gruppi di aspiranti comunardi.
Sono scelte fatte per ragioni di opportunità politica e perché a volte le autorità sono consapevoli che esternalizzare la cura del territorio, soprattutto quando si tratta di terreni abbandonati, incolti e lontani dai centri urbani, sia conveniente, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista gestionale.
Come si intuisce, questo modo di acquisizione è strettamente connesso alla tematica dei beni comuni che abbiamo analizzato nel capitolo II.
Il concetto di bene comune rimanda «alla nozione, complessa e variegata, di proprietà collettive, di antica tradizione giuridica e dalla funzione storica importantissima, spesso designate come usi civici».49
Gli usi civici, i quali stanno tornando di grande attualità a fianco del crescente interesse per la tutela del territorio, sono diritti di godimento spettanti ad una collettività su terreni di proprietà di un comune, di una frazione o di privati.
Il contenuto dei medesimi è assai vario: si va dalla facoltà di alpeggio a quella di pascolo a diritto di spigolare o di raccogliere. Di fatto gli usi civici possono estendersi anche su aree private ma ai nostri fini ci interessano gli usi civici su aree pubbliche (le proprietà collettive, appunto).
Negli ordinamenti di common law gli usi civici ricoprono da sempre un ruolo importante, sia per il loro sviluppo autonomo che per contrapposizione a pratiche altrettanto radicate come le enclosures.50
Del resto, la loro importanza è determinata dalla concezione anglosassone della proprietà vista come un «bandle of rights», un fascio di diritti, facilmente divisibile e distribuibile fra diversi soggetti. In common law, il bene comune viene inteso non come un'attribuzione di appartenenza ma piuttosto come l'attribuzione di diritti d'uso sul bene.
48 Lo vedremo in modo più approfondito nel capitolo IV.
49 M. Foroni, Beni comuni e diritti di cittadinanza. Le nuove Costituzioni sudamericane, Vignate (MI), Lampi di stampa, 2014, p. 51.
Per ciò che concerne gli ordinamenti di civil law occorre fare una distinzione.
Nel diritto di origine germanica, gli usi civici sui terreni sono diffusi e spesso si ricollegano ad istituti di origine antica; negli ordinamenti di tradizione romanistica, invece, la proprietà collettiva sono sempre rimaste «compresse» fra la proprietà pubblica e la proprietà privata enfatizzata dal Codice napoleonico.51
Ad ogni modo, gli usi civici e gli strumenti similari, nati per le comunità spontanee locali, potrebbero essere «riciclati» per attribuire diritti alle comunità intenzionali e agli ecovillaggi. In Italia, di fatto, gli usi civici sono rimasti latenti per molti anni e nessuno li ha utilizzati fino a che non si è sviluppata la prassi di permettere ai Comuni di alienare i terreni gravati dagli usi civici.
Se da una parte si è iniziato a smobilizzare questi fondi, in controtendenza, invece, sta prendendo campo un'altra idea: quella di attribuire questi terreni a cooperative agricole e ecovillaggi che potrebbero riqualificare e migliorare le zone, custodendo il territorio circostante. Detto questo non siamo in grado di quantificare quanti terreni potrebbero essere destinati a questo scopo poiché, anche dopo il procedimento di ricognizione messo in moto dalla legge n. 1766 del 192752, ancora oggi non possiamo dire quanta sia la superficie sottoposta a uso civico (ma secondo alcuni studi potrebbe arrivare fino ad un sesto del territorio nazionale).
Gli usi civici potrebbero dunque rappresentare una grande opportunità per le comunità intenzionali.
Un'ulteriore categoria può essere individuata nell'insieme dei contratti a titolo gratuito.
Per acquisire fondi idonei alla costruzione degli ecovillaggi si potrebbe infatti utilizzare il metodo della concessione del terreno in comodato d'uso gratuito da parte del proprietario. In alcuni casi è l'ente locale proprietario del terreno che concede lo spazio in comodato d'uso gratuito, esternalizzando così la cura dell'area in questione oppure allo scopo di condonare situazioni abusive all'interno del proprio territorio (si veda quanto detto sopra a proposito
51 M. Foroni, op. cit., pp. 52 ss.
52 Dopo un periodo di altalenante fortuna degli usi civici nel nostro ordinamento, la l. n. 1766 del 1927 (seguita poi dal regolamento n. 332 del 1928 e dal n. 1070 del 1930) procede ad una ricognizione degli usi civici esistenti, ne vieta la costituzione di nuovi e ne facilita la liquidazione. I fondi gravati dagli usi civici vengono assegnati ai comuni e alle associazioni oppure concessi in enfiteusi ai residenti del posto meno abbienti. Delle liquidazione si occupano dei Commissari regionali nominati dal Csm fra i magistrati di grado non inferiore alla qualifica di Magistrato di Corte d'Appello. Al provvedimento legislativo è seguito tuttavia un lungo silenzio in dottrina sulla materia. Ad oggi, con le attribuzioni di compiti fatte alla regioni, sono gli organi regionali che se ne occupano attraverso atti amministrativi.
degli usi civici).
In altri casi invece si tratta di proprietari privati che stipulano l'accordo e che poi entrano a far parte della comunità stessa come accade, esemplificando, nell'ecovillaggio Giardino della Gioia in Puglia, ove il lotto di terreno è di proprietà di uno dei membri che lo concede in comodato d'uso agli altri coabitanti.
Talvolta invece i privati proprietari sono esterni al progetto comunitario e allora saranno spinti alla concessione del comodato al fine di risistemare un terreno e o un edificio che altrimenti andrebbe deteriorandosi.
Non possiamo poi non menzionare l'enfiteusi, istituto attraverso il quale il proprietario del fondo potrebbe concedere l'utilizzo del terreno alla comunità, in cambio di un canone e di un miglioramento del fondo stesso.
E continuando con la nostra classificazione, dobbiamo citare tutti quei modi di acquisizione che riportano all'istituto della locazione.
Si tratta di un'ipotesi meno impegnativa sotto il profilo delle durata e dell'impegno economico.
In questo caso tutto si sviluppa al medesimo modo in cui si configura un contratto di locazione fra privati cittadini: è chiaro tuttavia che - in assenza di riconoscimento - rimane da stabilire (esattamente come accade nel caso dell'acquisto) con quale «veste» giuridica sia preferibile presentare la comunità.
Ancora non possiamo dimenticarci di citare tutti quelle acquisizioni che rientrano nei casi di acquisto del singolo.
Nel caso in cui i residenti sono infatti fortemente convinti di voler sperimentare la vita comunitaria, possono acquistare il terreno.
Alcune volte sono i singoli soggetti che acquistano differenti particelle del terreno o di edifici (o singole unità abitative nel caso del cohousing o del condominio solidale) di cui mantengono la proprietà unitamente ad un diritto di comproprietà sugli spazi comuni, dando origine così ad una struttura di tipo condominiale. È quello che succede nella comunità degli Upacchi, per esempio.
In un caso come questo, non vi sarà nessuna differenza rispetto alle ordinarie operazioni di compravendita tranne per il fatto che, agendo in gruppo, i condomini possono ottenere condizioni assolutamente più vantaggiose.
terreno, di un immobile da costruire o di un edificio già costruito.
In questi casi può aggiungersi l'attribuzione ad un soggetto giuridico collettivo (che potrebbe essere una cooperativa, un'associazione o una fondazione) della mera gestione degli spazi pubblici, mantenendo intatta la struttura condominiale.
Un'altra possibilità potrebbe essere quella della costruzione in cooperativa ovvero dell'acquisto del terreno e della successiva costruzione fatta da una cooperativa che tuttavia non entra mai nella proprietà.
É possibile così portare a termine la costruzione della struttura senza l'ausilio di una società immobiliare, appaltando i lavori ad impresa edile o facendoli in auto-costruzione.
Lo scopo mutualistico è proprio quello di fornire ai soci il bene «casa».
I soci, infatti, conferiscono alla cooperativa, a modo di corrispettivo per la stipulazione dei contratti preliminari, le necessarie risorse economiche. Una volta terminata la costruzione, la cooperativa si scioglie e possono così aprirsi varie ipotesi.
Può accadere infatti che le abitazioni vengano assegnate ai singoli soci. Si dà spazio così anche in questo caso alla nascita di una struttura condominiale con un'eventuale assegnazione della proprietà della gestione degli spazi comuni ad un ente giuridico collettivo (si veda quanto rilevato poco sopra), che a questo punto potrebbe essere la medesima cooperativa che si è occupata della costruzione.
Una seconda ipotesi è quella che prevede (e sarà il caso delle comunità) che il soggetto giuridico collettivo sia proprietario di tutto il complesso, attribuendo ai residenti un diritto personale di godimento.53