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I laboratori della sussidiarietà: la partecipazione attiva e la comunità

1. L’etica della condivisione

1.5. I laboratori della sussidiarietà: la partecipazione attiva e la comunità

Abbiamo parlato poco sopra dei beni comuni e del loro rapporto con il concetto di comunità. Il problema principale di queste risorse è - come abbiamo visto - capire chi e come debba incaricarsi di gestirli.

Se un bene non è pubblico e non è privato, può appunto appartenere solo alla comunità di riferimento e abbiamo già appurato quali siano le difficoltà che si incontrano nel circoscriverla.

Il passo successivo è capire come il bene comune (o anche il bene privato ad utilizzo comune) debba essere gestito dalla comunità.

Una delle possibilità è affidare la gestione del bene comune alla cura dei cittadini, intesi come parte della comunità di riferimento e dare così luogo a processi di partecipazione che possono essere di varia entità e toccare il loro punto di massimo sviluppo con la creazione ex novo di comunità.

Il concetto di partecipazione, così in voga negli anni '70 grazie al movimento operaio e studentesco, torna in auge solo dopo la metà degli anni '90, quando entrano in crisi l’individualismo e il capitalismo, ma con connotazioni differenti, sia dentro che fuori i confini nazionali. Per esempio, in Inghilterra la partecipazione prende il nome di Community capacity building, rinviando alla capacità dei cittadini di fare e di costruire e ponendo appunto l’accento sul fattore comunitario. In Francia e in Olanda, la partecipazione diventa coesione sociale e gestione della città dal basso. In Italia perde i connotati di carica rivoluzionaria e di conflittualità mostrati negli anni '70.

Inizia, anche in questo caso, un utilizzo veramente esteso del termine che finisce per

79 M. R. Marella, La difesa dell'urbans commons in AA. VV, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei

ricomprendere qualsiasi tipo di contributo alla vita pubblica da parte dei cittadini, in qualunque ambito esso si manifesti, dalle «politiche del Welfare al mondo della scuola a quello dell’attività culturale e artistica, dalla promozione della salute alla tutela dell’ambiente e alla prevenzione dei rischi».80

Restringendo il campo e rendendolo funzionale ai nostri scopi, la partecipazione riguarda più strettamente temi come il coinvolgimento dei cittadini e delle comunità (già esistenti sul territorio oppure di nuova creazione), le pianificazioni territoriali, le politiche di sviluppo locale, le rigenerazioni urbane intese come riqualificazioni fisiche ma anche come «cura della attività sociali che accompagnano la riqualificazione».81

Concentrando l’attenzione sulla dimensione spaziale, si pone il problema di capire quali siano le aree da destinare alla partecipazione pubblica e alla cura comunitaria.

Possiamo suddividere gli spazi in tre categorie, utilizzando il concetto di nicchie ecologiche intese come le regioni dell’ambiente in cui sono presenti elementi favorevoli o sfavorevoli allo sviluppo dei soggetti con particolari caratteristiche.

Si possono così distinguere tre cerchi concentrici82

che vedremo di seguito. In primo luogo, vi è la cosiddétta nicchia ecologica interna ovvero la nicchia degli spazi privati, dove si svolge la vita intima dell’individuo. Essa comprende anche le strutture residenziali e semiresidenziali per adulti e le comunità di accoglienza per giovani. Troviamo poi la nicchia ecologica intermedia, nella quale rientrano i luoghi pubblici percepiti come familiari e frequentati con regolarità (si tratta di spazi aperti, come giardini o piazze, o di esercizio commerciali, di luoghi dove vengono forniti i servizi essenziali e così via). In ultimo luogo, vi è la nicchia ecologica esterna: sono gli spazi che il cittadino non percepisce come propri ma piuttosto come meri spazi pubblici situati sul suolo locale.

La comunità, per sua stessa natura, si muove a cavallo fra queste dimensioni cercando di coniugarle o comunque di creare ponti di collegamento.

Per capire meglio il nesso tra comunità e nicchie in cui essa opera, occorre precisare che il necessario rapporto tra partecipazione e comunità cambia a seconda della definizione di quest'ultima che intendiamo accettare.

Se partiamo da una concezione tipicamente tönnesiana83

, la comunità «non può essere

80 D. Ciaffi - A. Mela, La partecipazione. Dimensione, spazi, strumenti, Roma, Carocci Editore, 2011, p. 14. 81 Ivi, p. 15.

82 Ivi, pp. 20 ss.

considerata semplicemente come uno strumento per assumere delle decisioni»84

ma piuttosto come la «continuazione diretta e pressoché spontanea delle relazioni che già sussistono tra i membri di una comunità locale».85

Così considerata, la partecipazione deve concretizzarsi secondo le forme e le modalità valide in ambito comunitario, tenendo conto delle consuetudini e facendo attenzione, nel caso in cui proponga nuovi tipi di intervento, a non distruggere l’universo simbolico condiviso su cui si basa la comunità. È chiaro che in questa concezione la partecipazione ha una forte carica di appartenenza identitaria rispetto al territorio nel quale si vive. La partecipazione dovrà muoversi entro un ambito spaziale delimitato, sviluppando pratiche di autogestione, e rimarrà nella nicchia ecologica di primo tipo: la comunità sarà così uno spazio di relazioni private esteso ad un complesso di relazioni sociali connaturate da un livello quasi identico di intimità e conoscenza.

Il discorso può essere ripetuto più o meno identico anche se consideriamo una concezione di comunità di tipo weberiano che, pur distinguendosi da quella tönnesiana per diversi aspetti, descrive anch’essa la comunità attraverso la prevalenza dei legami affettivi e non di quelli di interessi.

Riprendiamo invece le definizioni sociologiche anglosassoni e consideriamo la comunità come società locale dove «il desiderio di successo e lo spirito di iniziativa […] possono essere esercitati in piena sintonia con i principi ed i valori»86 che la sostengono. La partecipazione, anche in questo caso, è basata su un tessuto sociale già consolidato ma vi è tuttavia un ruolo più ampio dell’iniziativa singola e collettiva: non si tratta solo di condividere un territorio e dei valori comuni, ma di concretizzare questa condivisione in scelte e azioni, attraverso il confronto tra gruppi differenti, anche se uniti da forti vincoli di appartenenza. Partendo da queste premesse, un ruolo fondamentale lo assumono gli aspetti procedurali e operativi della partecipazione. Ci stiamo muovendo sempre all’interno della prima nicchia ecologica ma stavolta la partecipazione diventa fattore di aggregazione di una società civile, dotata di un capitale sociale, di istituzioni proprie e in grado di comunicare efficacemente con i livelli sovralocali.

Un ulteriore significato attribuibile al rapporto tra comunità e partecipazione può essere quello che riprende i concetti della cosiddétta psicologia di comunità.87

In questo caso,

84 D. Ciaffi - A. Mela, op. cit., p. 58. 85 Ivi, pp. 58 - 59.

86 Ivi, p. 60.

87 La psicologia di comunità è un campo di ricerca focalizzato su problematiche umani e sociali che si rivolge in modo particolare ai rapporti tra la sfera del collettivo (comunità) e quella personale (psicologica).

la comunità diventa strumento di cura di un territorio in crisi, attraverso un lavoro sul campo, l’utilizzo di modelli di ricerca partecipata, la necessaria responsabilizzazione della comunità locale nella gestione dello spazio in cui vive, evitando che questo diventi al contempo una deresponsabilizzazione degli enti locali e un disimpegno delle istituzioni.

Per capire l'entità e lo stadio di sviluppo del fenomeno della partecipazione, facciamo riferimento, a titolo di esempio, a quanto sta accadendo nel nostro ordinamento, nel quale stanno nascendo vari progetti, tutti focalizzati alla concretizzazione dei principi di sussidiarietà orizzontale espressi nella Costituzione.

Per esempio, si può fa riferimento alla istituzione dei contratti di quartiere88

, ovvero di quei progetti di recupero urbano promossi dai Comuni al fine di rivalutare, con la partecipazione degli abitanti, quartieri o zone particolarmente degradate o segnate da una scarsa coesione sociale. Ancora, meritano di essere citati i Programmi complessi, i quali si fondano sulla necessità di condivisione delle scelte di strategia politica e urbana tra cittadini, istituzioni e categorie economiche presenti sul territorio.89 Vanno poi considerati i Patti di programmazione negoziata90

i quali hanno più o meno le medesime finalità dei precedenti; i Piani sociali di zona91, i progetti integrati di sviluppo locale e i Piani di sviluppo locale, facenti affidamento sui fondi strutturali dell’Unione Europa.

Vi sono state dunque negli anni tutta una serie di iniziative volte a promuovere la partecipazione del singolo come tale e all’interno della comunità, spesso purtroppo contrassegnate da una scarsissima applicazione pratica (fanno eccezione i contratti di quartiere, dai quali sono nate esperienze interessanti a Torino e Milano).92

Da ultimo, possiamo citare (perché particolarmente significativo e di rilevanza nazionale ma soprattutto perché ancora in fase di concreta applicazione) il lavoro di ricerca e di analisi del laboratorio Labsus.93

Labsus nasce nel 2004, incorporando fin da subito nella sua normativa interna la cosiddetta

88 L. n. 662 del 2006 e L. n. 21 del 2001.

89 Per esempio, i programmi di recupero urbano ex D.M. 1.12.94 e art. 11 L. 493 del 1993; o ancora i Programmi di riqualificazione urbana ex D.M. 21.13.94. e L. 179 del 1992.

90 La definizione viene dal Decreto interministeriale n. 32 del 1995: ci si riferisce nello specifico ai Patti

territoriali ex L. 662 del 1996 e d. l. n. 173 del 1998 e Deliberazioni Cipe 1 marzo 1997 e 11 novembre

1998, e ai Prusst (Programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio) ex D. M. 8.10.1998.

91 Art 19 della L. n. 328 del 2000.

92 Si veda AA. VV. Percorsi condivisi. Contributi per un atlante di pratiche partecipative in Italia, (a cura di G. Allegretti - M. E. Frascaroli) Calenzano (Firenze), Alinea editrice, 2006, pp. 29 ss.

Carta della sussidiarietà.94

La Carta è un documento emerso dalla Prima Convenzione nazionale della sussidiarietà, la quale affida la tutela dei beni comuni ad un mix gestionale fatto di cittadini attivi, enti e imprese, facendo leva sul tessuto sociale italiano, da sempre impegnato in numerose forme di volontariato.

Labsus, insieme alla amministrazione comunale di Bologna, è partito dall’idea di redigere un regolamento per colmare il vuoto normativo esistente tra il principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, c. 4 e la sua applicazione pratica. Il regolamento è stato poi adottato da moltissimi altri comuni i quali stanno via via implementandolo attraverso la stipula dei cosiddétti Patti di collaborazione. I Patti di collaborazione non sono altro che lo strumento giuridico destinato a disciplinare i termini e le condizioni nel rispetto delle quali debbono svolgersi le esperienze di cura o di riqualificazione o ristrutturazione dei beni e degli spazi comuni urbani. Tramite i Patti viene data una forma ufficiale alle singole fattispecie (spesso già esistenti sotto forma di convenzioni) di collaborazione tra le amministrazioni comunali o di quartiere ed i cittadini attivi o le associazioni. Ogni Patto avrà una propria struttura e proprie caratteristiche: in parte perché chiaramente è adottato da ogni comune con l'inserimento di dettagli differenti, in parte perché le condizioni specifiche debbono essere contestualizzate. In ogni caso si potranno però rinvenire degli elementi costanti. Per esempio, come si può leggere in uno di questi Patti, ogni intervento di cura sarà effettuato «sulla base di una programmazione condivisa e dinamica»95 attraverso la creazione di un tavolo di co- progettazione, che serva da occasione di confronto periodico tra i soggetti coinvolti.

In generale, i patti di collaborazione prevederanno poi metodi di partecipazione alla cura dei beni privati ad uso pubblico e dei beni pubblici da parte dei cittadini e delle associazioni, in cambio di qualche beneficio, come, ad esempio, riduzioni sugli importi delle imposte e le tasse comunali.

Esperimenti simili sono presenti anche altrove.

In Francia, per esempio, troviamo quella che è chiamata la politique de la ville, uno strumento che promuove le esperienze locali improntate alla partecipazione sia in orizzontale che in verticale.

In Germania, invece, esistono una serie di programmi integrati della Soziale Stadt (città sociale integrata) che si concretizza in un politica urbana abbastanza recente (a

94 La Carta della sussidiarietà è disponibile su www.labsus.org/la-carta-della-sussidiarietà

95 Il testo è ripreso dal primo Patto di collaborazione stipulato in Italia. Si tratta di quello sottoscritto dal Quartiere San Donato di Bologna con il Comitato Graf San Donato per la cura dell’area di Piazza Spadolini e dei giardini Bentivogli e Vittime di Marcinelle.

differenza di quella francese che trova i propri natali già negli anni '70) indirizzata all’integrazione sociale, allo sviluppo interdipartimentale, alla cooperazione, alla valorizzazione delle società locali, alla sostenibilità ambientale.

In Inghilterra si parla invece di progetti di community activisme, i quali sono finalizzati alla risistemazione dei quartieri e delle città e affiancano a queste attività anche tutta una serie di servizi sociali.96

In territorio scozzese, nello specifico a Glasgow, possiamo segnalare l'esistenza di numerose Housing Associations. Si tratta di organizzazioni a base comunitaria nate per riqualificare quartieri degradati. L'idea nata negli anni '70 nasce dalla presa di coscienza che l'unico modo di ristabilire un legame fra cittadini e vita urbana, cercando di garantire a tutti un livello di vita quanto meno dignitoso, è quello di ripartire a livello locale: il che significa affidare il controllo delle questioni locali alle persone che vivono nella zona interessata, rafforzando così la comunità e gli individui che ne fanno parte. Attraverso l'elezione di comitati di gestione si riesce a riqualificare l'edilizia, fornendo la possibilità per tutti di accedere ad alloggi dignitosi e a sistemare aree degradate, come parchi giochi e piazze.97

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