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Profili di «confine»: fuori e dentro la comunità

2. I differenti profili della mancata giuridificazione

2.3. Profili di «confine»: fuori e dentro la comunità

Cerchiamo di riassumere quanto detto fino ad ora.

Le comunità scelgono un modello al quale conformarsi fra quelli già esistenti nel loro sistema giuridico e così risolvono almeno parzialmente il problema della riconoscibilità davanti ai terzi.

Inoltre le comunità si auto disciplinano e si autodeterminano con norme volte a definire i rapporti tra i membri.

Vi è così un regime duale. Sommando i due aspetti, il risultato è che la «griglia» giuridica scelta e la normativa interna tracciano il confine tra due discipline differenti applicabili a due soggetti differenti.

I confini spaziali della comunità sono la linea di demarcazione, ovvero il discrimine tra chi sta «dentro» e chi sta «fuori» dalla comunità. Si creano così due (o più di due) aree dove vigono regole differenziate.

Proviamo ad immaginare la comunità come un cerchio e pensare che tutto quello che si trova al suo interno rappresenta il «Noi» comunitario ed è sottoposto ad una determinata disciplina. Al di fuori del cerchio, c'è l'esterno, si esce dalla comunità. Le regole che valgono dentro non possono certamente essere le stesse di quelle che valgono fuori. Del resto, si tratta di veri e propri status giuridici differenti tra chi sta fuori dalla comunità e chi è parte di essa.

Si formano così spazi che sono reali e giuridici al tempo stesso e si creano così i necessari confini.

Questo accade sia nelle comunità intenzionali che nelle comunità spontanee e, nonostante il fatto che apparentemente sembrino due universi fra loro molto distanti, possiamo fare un ragionamento valido per entrambi poiché i meccanismi antropologico- giuridici sono i medesimi. Difatti, sono proprio gli studi antropologico-giuridici a mostrarci che un parallelo è possibile.

Per esempio, pensiamo alla comunità dei pastori barbaricini in Sardegna.29

In questo caso, dove peraltro il diritto orale è stato trascritto in un codice30

, la differenza di status fra il

29 Nella zona nord-orientale della Sardegna vi è una particolare area geografica e sociale, chiamata Barbagia. Terra di tradizionale cultura pastorale e comunitaria, ancora oggi presenta molti aspetti della comunità tradizionale. Vi vigeva - e vi vige ancora, almeno parzialmente - un sotto ordinamento giuridico basato sui sistemi vendicatori. Cfr. M. Pira, La rivolta dell'oggetto. Antropologia della Sardegna, Milano, Giuffré Editore, 1978; G. Musio, La cultura solitaria, Bologna, Il Mulino, 1969; A. Satta, La Barbagia, in L'umana

avventura, Jaca Book, 1988.

30 Nel 1959 Antonio Pigliaru, un filosofo e giurista sardo, dopo un attento periodo di raccolta di dati e di ricerca, trascrive in un codice di 23 articoli tutto il sistema penale dell'ordinamento barbaricino,

terzo e il pastore appartenente alla comunità è netta.

L'art. 2 del codice barbaricino recita che «la legge della vendetta obbliga tutti coloro che ad un qualsivoglia titolo vivono ed operano nella comunità» ed è esplicativo in tal senso: alla vendetta (che è il cuore del sistema giuridico barbaricino) sono tenuti solo i membri esterni sia come soggetti attivi che come soggetti passivi. Gli ospiti, gli estranei e chi, per sua legittima scelta, vive fuori dalla comunità (per esempio, i parroci) non sono soggetti all'applicazione di queste regole.

Ancora, possiamo citare l'art. 6 che attribuisce una peculiare posizione giuridica all'ospite «in rapporto ai doveri particolari del suo stato»31

: egli è esonerato dall'obbligo di vendetta e, nel caso in cui commetta un'azione criminosa, ne risponde solo a titolo personale.

Un'altra interessante riflessione proviene dagli studi dell'antropologo francese Raymond Verdier, il quale elabora una teoria generale a proposito dei metodi di gestione dei conflitti in rapporto alla vita comunitaria.

Secondo l'antropologo francese, le possibili relazioni esistenti fra due soggetti che si trovano in una situazione di conflitto sono di tre tipi, a secondo della distanza che li divide. La prima ipotesi riguarda il caso in cui i due soggetti siano appartenenti alla medesima comunità ovvero si trovino in una spazio sociale troppo piccolo. In questo caso, l'unica soluzione attuabile è quella che presuppone l'intervento di una sanzione da parte della comunità stessa, Se invece i due soggetti stanno in uno «espace social intermediaire»32, in una cosiddétta relazione di avversità, sarà attuabile la vendetta. Nel caso in cui la distanza tra i due soggetti conflittuali sia troppo ampia (ovvero se questi si trovano in una relazione di ostilità), rimarrà solo che dar principio ad un atto di guerra.

Ecco due esempi di come lo spazio sociale, insieme a quello fisico, crei status giuridici differenti tra chi è interno e chi non lo è e di come questi status demarchino i confini stessi della comunità.

Non è un caso se in entrambe le citazioni si rimanga nell'ambito della gestione e risoluzione dei conflitti. In ambito comunitario la percezione del fatto contrario al diritto e del conflitto che ne segue è particolarmente forte, anche perché il conflitto mal gestito è in grado

inspirandosi alla forma del codice penale italiano. Si veda A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La

vendetta barbaricina, Nuoro, Maestrale, 2000 (ed. or. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, Milano, Giuffrè Editore, 1959).

31 Art 6 Codice barbaricino: «La responsabilità di chiunqe si trova nella condizione di ospite è solo personale e deriva dalle eventuali azioni od omissioni di lui, in rapporto ai doveri particolari del suo stato».

32 R. Verdier, Le système vindicatoire. Esquisse théorique, in AA. VV., La vengeance, (a cura di R. Verdier), vol. I, op. cit., p. 24; tr. it.: «spazio sociale intermedio» (nostra traduzione).

di fare implodere la comunità.33

Quella della risoluzione dei conflitti è dunque una tematica che si presta più delle altre a mostrare i confini anche giuridici della vita comunitaria, proprio per le peculiarità delle sue implicazioni.

Scrive Rodolfo Sacco a tal proposito che «all'interno del gruppo - e soprattutto all'interno del gruppo piccolo - domina l'esigenza di salvaguardare la compattezza della comunità»: saranno promossi quindi strumenti come la conciliazione (mediazione o arbitrato) o sanzioni «non distruttive» come il biasimo, lo scherno, il rinnegamento della parentela.

Fuori dal gruppo, dove non c'è alcuna esigenza conservativa, saranno applicate, al medesimo modo suggerito da Verdier, vendetta e guerra.34

La comunità ha bisogno del diritto sia per soddisfare le esigenze connesse alla sfera esterna, sia quelle connesse all'ambito interno e, infine, ne necessita anche per tracciare i confini che separano queste due dimensioni.

3. Vicende antropologico-giuridiche della comunità: criticità fisiologiche e influenza

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