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3. Vicende antropologico-giuridiche della comunità: criticità fisiologiche e influenza della mancata giuridificazione

3.13. L'uscita dalla comunità

Una delle vicende più complesse dal punto di vista giuridico è quella che si presenta quando un membro vuole uscire dal gruppo comunitario, il che può accadere per due motivi: o si abbandona la comunità intenzionalmente o si verifica la morte del residente.

In entrambe le ipotesi la mancanza di forma giuridica si fa sentire e questo è dimostrato anche dal fatto che la maggior parte delle procedure giudiziarie intentate contro le comunità sono quelle che riguardano questa tematica.

Nel caso di morte del residente, si apriranno tutta una serie di questioni legate alla successione ereditaria.

I soggetti che invece escono intenzionalmente perché non «più innamorati della

comunità»80

possono avanzare sostanzialmente due tipologie di richieste: o domandare il reintegro della somma versata, ovviamente rivalutata, oppure la qualifica del lavoro prestato all'interno come lavoro subordinato, chiedendone così la connessa retribuzione.

Per ciò che riguarda il reintegro, il problema è rappresentato proprio dall'approccio comunitario: col tempo e le migliorie via via effettuate, le strutture comunitarie acquistano sempre più valore e di conseguenza risulta assolutamente complesso quantificare il contributo effettivamente apportato dai singoli soggetti. Pensiamo, per esempio, ai soci fondatori che si accollano tutti i rischi iniziali accettando che altri non siano costretti a sostenerli e godano tuttavia dei medesimi benefici.

Una soluzione potrebbe essere quella di costituire una cooperativa edilizia o comunque una società che abbia delle quote in modo che si possa restituire la quota del singolo e lasciare il residuo indiviso. Si tutelerebbe così «sia il singolo che ha contribuito e a cui spettano le relative quote, sia la comunità nella sua interezza, che può proseguire la sua esperienza, senza che il patrimonio immobiliare venga intaccato».81

Ad ogni modo, occorre esaminare distintamente i vari casi poiché il panorama cambia nettamente a seconda che si tratti di cohousing/condomini o comunità intenzionali, in considerazione del tipo di regime di attribuzione della proprietà immobiliare che si è voluto scegliere e dell'organizzazione interna.

Vediamo ora le due ipotesi più frequenti, facendo particolare riferimento a quanto accade nel nostro ordinamento ovvero il caso in cui la singola unità abitativa sia proprietà del singolo e il caso in cui invece l'intera struttura sia di proprietà della comunità in quanto tale.

Nel caso in cui ci si trovi davanti ad una situazione in cui le singole unità abitative sono di proprietà privata, se il proprietario abbandona la comunità ci troveremo davanti alla necessità di effettuare un atto di vendita inter vivos.

Nel caso di specie, onde evitare rischi eccessivi per la comunità, possono essere poste dai regolamenti interni delle condizioni particolari che limitino la vendita.

Si cercherà intanto di evitare di subordinare l'entrata del nuovo membro al gradimento di tutti. Per esempio, di norma, nel caso del cohousing viene effettuata una lista di compratori alternativi (valida per un certo periodo di tempo) che in via preventiva firmano e accettano le condizioni di vita comunitaria. Nel caso in cui un residente decida di vendere, questi

80 AA. VV., Il regime patrimoniale della famiglia, la comunione legale e il trust, op. cit., p. 203. Si noti in queste pagine l'affascinante paragone tra l'uscita da una comunità e la fine di un matrimonio.

compratori alternativi possono intromettersi nella compravendita in ordine cronologico di iscrizione. I compratori eventuali possono intervenire sostanzialmente in due modi, che andremo ad analizzare brevemente.

Può verificarsi l'ipotesi di un compratore titolare del diritto di prelazione, il quale deve essere preferito agli altri, a parità di condizioni contrattuali rispetto al terzo. Il venditore deve inviare una raccomandata a tutti i compratori della lista, indicando le principali condizioni e il prezzo. Se nel lasso di tempo prestabilito nessun compratore interviene col diritto di prelazione, si può vendere o locare l'immobile ad un terzo al medesimo prezzo.82

Nel caso in cui, invece, il compratore sia munito di un diritto di trattativa riservata, il cedente è costretto ad inviare a tutti i firmatari della lista una raccomandata comunicando l'intenzione di vendere, senza stabilire le condizioni contrattuali. Gli acquirenti potenzialmente interessati avranno diritto ad effettuare poi la trattativa con il cedente e, come nel caso precedente, se entro il termine previsto non si arriva ad un accordo, il cedente può vendere (o locare) a terzi.83

Se invece il residente decede, la problematica e le relative soluzioni che si presentano sono differenti.

Infatti, se per ciò che concerne il trasferimento tra vivi, i membri possono cautelarsi stabilendo una lista di persone già interessate all'acquisto e a quella tipologia di vita, più complesso è attuare strumenti simili con gli eredi.

Per esempio, nel nostro ordinamento, un accordo preventivo di questo genere potrebbe essere infatti contra legem poiché obbligherebbe il membro della comunità a dare in eredità a soggetti differenti dai suoi successori ex lege o per testamento: sarebbe in pratica una violazione del divieto dei patti successori ex art. 458 c.c. e di conseguenza sarebbe nullo. Se il residente stabilisse invece per testamento la devoluzione ereditaria a soggetti già prestabiliti differente dai successori si rischierebbero azioni di riduzione a tutela della quota di legittima e ciò non garantirebbe comunque la comunità poiché, in virtù del principio di libertà testamentaria, l'atto sarebbe sempre revocabile dal testatore.

Non vi sono quindi soluzioni rassicuranti anche se qualche ipotesi è stata fatta dalla dottrina.

Per esempio, sempre rimanendo entro i confini nazionali, Zucchini scrive che sarebbe

82 M. Zucchini, Aspetti operativi: il cohousing dal punto di vista giuridico, in AA. VV., Famiglia, reti

familiari e cohousing. Verso nuovi stili del vivere, del convivere e dell'abitare, op. cit., p. 227.

ipotizzabile l'inserimento nello statuto di un diritto di opzione condizionato sospensivamente alla morte del socio. Ciò permetterebbe agli eredi di diventare proprietari ma, in caso di vendita, si troverebbero davanti ai soci superstiti titolari di un diritto di opzione eventualmente esercitabile. Il che non è detto che accada: anzi, questa formula permetterebbe alle comunità che non necessitano di reintegrare di disfarsi del bene.

Questa è una soluzione che Zucchini84

prende in prestito dalle società di capitali, rilevando che sebbene questa ipotesi sia stata giudicata dalla Corte di Cassazione non contraria all'art. 458 c.c.85

quando si verifica nelle società di capitali, la stessa clausola all'interno di una comunità residenziale non è mai stata esaminata e quindi si andrebbe incontro a rischi di procedimenti legali «dall'esito non scontato».86

Veniamo ora alla seconda ipotesi, quella in cui la proprietà dei beni immobili in capo alla comunità.

In questo caso, in cui i residenti hanno solo un mero diritto di godimento, la soluzione è più semplice.

Anche qui però si aprono due ipotesi.

Nella prima, la proprietà è in mano ad un società immobiliare o ad un soggetto terzo al quale i residenti non concorrono in alcun modo. In questa ipotesi, sarà il soggetto proprietario a gestire l'intera vicenda pur dovendo accettare delle autolimitazioni al fine di tutelare l'integrità comunitaria, limitazioni che possono concretizzarsi in una lista di attesa o nell'ottenimento del gradimento da parte dei residenti.

La medesima cosa accade per i trasferimenti mortis causa.87

Se invece i soci hanno una quota della cooperativa edilizia che è proprietaria, il problema è duplice: da una parte, occorrere riassegnare l'immobile, dall'altra trasferire la quota.

Nel caso di vendita dell'immobile, possono essere adottate le soluzioni appena viste.

Nel caso di decesso, invece, si può stabilire in clausole statutarie che l'erede possa subentrare al defunto ma solo tramite l'ottenimento del gradimento da parte degli altri.

Veniamo ora alle richieste fatte dal membro uscente relativamente all'ambito lavorativo.

84 M. Zucchini, Aspetti operativi: il cohousing dal punto di vista giuridico, in AA. VV., Famiglia, reti

familiari e cohousing. Verso nuovi stili del vivere, del convivere e dell'abitare, op. cit., p. 229.

85 Corte Cassazione civile sez. II n. 3609 del 1994.

86 M. Zucchini, Aspetti operativi: il cohousing dal punto di vista giuridico, in AA. VV., Famiglia, reti

familiari e cohousing. Verso nuovi stili del vivere, del convivere e dell'abitare,, op. cit., p. 229.

87 Nel nostro sistema giuridico in un caso come questo caso (ovvero in caso di morte del conduttore) succedono ex art 6 L. 392 del 1978 il coniuge, gli eredi, i parenti, gli affini abitualmente conviventi e anche i conviventi more uxorio dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 4 del 1988.

Nella prassi è abbastanza difficile dimostrare che si tratti di un lavoro subordinato mascherato da attività volontaria, poiché gli orari non sono fissi, le mansioni variano e non sono svolte da soggetti qualificati.

Se il residente uscente decide di agire per vie legali, presenterà la sua esperienza comunitaria come quella di «un mero lavoratore subordinato, vittima di ingiustizie e mancati riconoscimenti, fondamentalmente economici».88

La comunità, dal suo punto di vista, evidenzierà che si tratta di aspetti che non possono essere raffrontati con quelli di un'attività lavorativa.

Se riprendiamo l'esempio di quanto accade in Italia, il pensiero dominante è che non possa dunque essere applicato l'art 2094 per una serie di motivi. In primo luogo, manca la necessaria «alterità tra datore di lavoro e lavoratore»89

; in secondo luogo, l'attività lavorativa «non può essere separata dal più ampio contesto in cui si inserisce»; in ultimo luogo, vivere in comunità attribuisce al soggetto una particolare serie di obblighi e di diritti, tali da escludere la configurazione del rapporto sulla base di uno scambio mercantile così come presupposto dall'art. 2094 cc e tale da far cercare la causa negoziale all'interno dei vincoli associativi e più precisamente nella volontà di contribuire «affectionis vel benevolentiae causa».90

Dal punto di vista processuale, siamo in presenza di due esigenze contrapposte e di difficile bilanciamento. Da una parte, ci sarà la necessità di garantire la libertà e autonomia contrattuale del singolo partecipante e di tutelare i suoi eredi; dall'altra parte c'è il bisogno di assicurare la sopravvivenza nel tempo della comunità e anche una certa omogeneità del gruppo dei residenti: nessuno può garantire che il terzo erede o l'acquirente siano idonei alla vita comunitaria (o comunque che siano anche solo interessati a farne parte).

88 M. Zucchini, Aspetti operativi: il cohousing dal punto di vista giuridico, in AA. VV., Famiglia, reti

familiari e cohousing. Verso nuovi stili del vivere, del convivere e dell'abitare, op. cit., p. 204.

89 Ivi, p. 205.

Capitolo IV

Le comunità tra diritto vigente e diritto de jure condendo: una panoramica comparata

1. Premesse metodologiche

Le comunità intenzionali si muovono dunque in un terreno privo di giuridificazione: rimane da capire quali siano le possibilità che hanno attualmente in alcuni ordinamenti giuridici e se vi siano prospettive di riconoscimento legislativo.

Cominceremo con l'analisi di alcuni rari casi di legittimazione (abbiamo parlato infatti in precedenza di un'assenza «quasi» totale).

Come vedremo immediatamente non sarà possibile seguire un ragionamento organico e strutturato per i vari casi che andremo ad elencare: si tratta infatti di differenti gradi di riconoscimento, talvolta ufficiale, talvolta ufficioso o comunque non strettamente giuridico.

Dopodiché passeremo all'analisi del panorama italiano, tentando di capire quali siano le premesse dottrinali a proposito di comunità, quali siano le possibilità allo stato attuale e infine quali siano le proposte di giuridificazione esistenti

In ultima battuta, faremo un excursus della situazione in alcuni paesi di civil law e common law. Non si tratterà di una panoramica completa data l'impossibilità di passare in rassegna tutti i paesi che affrontano o stanno affrontando questa problematica.

Conviene soffermarsi brevemente sulla metodologia applicata in questo capitolo, soprattutto per quello che concerne queste ultime due parti.

La scelta di dedicare un numero cospicuo di pagine all'ordinamento italiano e di scegliere solo alcuni paesi per ciò che riguarda l'analisi comparata, non solo non è casuale ma al contrario è l'unica scelta possibile, almeno con un lavoro così impostato.1

Se si trattasse infatti di una tematica già soggetta a giuridificazione, potremmo comparare - in modo abbastanza simmetrico - testi legislativi o giurisprudenziali e capire così i differenti modi nei quali la problematica viene affrontata.

Trattandosi tuttavia di temi non giuridificati, non esistono atti ufficiali, né sentenze a tal proposito.

1 Uno schema di lavoro differente potrebbe essere utilizzato cambiando prospettiva, come si illustra nel capitolo V.

Ecco perché le fonti e i materiali utilizzati non sono quelli «canonici»: infatti occorre inevitabilmente fare ricorso alla ricerca sul web, ad articoli, a documenti spesso editi dalle medesime comunità. Tutto ciò comporta, innanzitutto, l'esigenza di dover procedere ad una verifica dell'attendibilità delle fonti e, in secondo luogo, non abbiamo a disposizione né il medesimo tipo né la medesima «mole» di materiale per i differenti ordinamenti.

Per i motivi appena elencati non è possibile strutturare il lavoro facendo un parallelismo tra i differenti paesi scelti.

In un simile contesto abbiamo deciso di dedicare più spazio all'Italia. L'indagine sulla situazione italiana permette infatti di avere a disposizione una quantità maggiore di documenti e di verificarne la bontà con meno ostacoli.

Non è stata tuttavia una mera scelta dovuta alla reperibilità delle fonti. Ci sembra fondamentale, proprio nella consapevolezza che la parte di lavoro in chiave comparata si presenti necessariamente disorganica, offrire almeno una «griglia» dettagliata del panorama italiano, andando ad indagare su tutti gli aspetti possibili.

Questo può essere utile infatti a comprendere l'entità del problema e le tante sfaccettature - legislative, dottrinali, costituzionali - che esso può assumere.

Prima di iniziare l'analisi, merita fare alcune ulteriori considerazioni preliminari di valenza generale.

La mancanza di modelli giuridici prestabiliti fa sì che le comunità scelgano frequentemente combinazioni di strutture differenti, dando così luogo a figure giuridiche composite, costruite su più livelli. Ci sono infatti molte altre strutture comunitarie che ritengono sia preferibile, per esempio, attribuire la proprietà del terreno o dei fabbricati a cooperative edilizie e lasciare invece l'attività comunitaria in mano ad associazioni o cooperative sociali.

Va poi messo in rilievo che in effetti il problema della giuridificazione riguarda tutte le forme di vivere comunitario ma non con il medesimo grado di intensità. Il cohousing e il condominio solidale presentano infatti una situazione più semplice da risolvere perché molti aspetti della vita dei membri si svolgono all'esterno e le residenze sono private: rimangono da disciplinare le questioni inerenti gli spazi comuni ma si tratta comunque di problematiche più facilmente riconducibili alle norme esistenti.2

2 F. Guidotti, Aspetti giuridici e normativi, in AA. VV., Ecovillaggi e cohousing. Dove sono, chi li anima,

come farne parte o realizzarne di nuovi, (a cura di F. Guidotti), Firenze, Editrice Aam Terra Nuova, 2013,

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