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La crisi del metodo della programmazione e l‟avvio della fase di transizione

Da quanto fin qui esposto, ben si comprende dunque come il penultimo decennio dello scorso secolo sia stato caratterizzato da anni piuttosto travagliati, sia per la

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Invero, i trasferimenti statali conobbero ritmi di crescita assolutamente considerevoli, passando dal 20,3% del 1970, al 59,9% del 1977 e al 75,9% del 1978.

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Emblematica è l‟impietosa disamina condotta da P. GIARDA, Si può parlare realmente di

crisi finanziaria per gli enti locali?, in I problemi della finanza locale, atti della tavola rotonda

tenuta a Firenze il 1° aprile 1982, Le Monnier, Firenze, 1983, pag. 10: “Ci sono esempi […] di alcuni Comuni del nord che nel 1978 hanno proceduto a sistematiche eliminazioni di molte fonti di entrata proprio perché intanto lo Stato avrebbe pagato la differenza fra il volume delle spese, i cui tassi di crescita erano tecnicamente predeterminati, e il volume delle entrate proprie. Ci sono stati poi Comuni che hanno proceduto al doppio imbroglio, di sottovalutare le entrate proprie in sede di previsione e di disporre maggiori accertamenti in sede di consuntivo”.

finanza locale, patologicamente dipendente da quella statale, sia per quest‟ultima, sempre più oberata e compromessa dalle gestioni parassitarie riconducibili alla prima. Tuttavia, e per i medesimi motivi, gli stessi si sono altresì rivelati anni di graduale transizione.

Il mito della programmazione – ossia di una sana ed accentrata amministrazione dell‟intera finanza, in grado di garantire l‟uguaglianza sull‟intero territorio nazionale attraverso la gestione unitaria dei tributi, l‟uniformità delle prestazioni e dei livelli di spesa, la prevenzione rispetto a possibili abusi corporativi o localistici – si andò inesorabilmente sgretolando.

Al suo posto, nuova linfa trovarono quelle spinte che per troppo tempo avevano visti sacrificati i precetti costituzionali riconducibili alle esigenze di autonomia e decentramento.

Sulla scorta di tale, rinnovata, impostazione, vennero approntati alcuni correttivi, il cui comune denominatore era essenzialmente riassumibile in un inasprimento della tassazione da parte delle Istituzioni periferiche, ovvero in alcune timide aperture verso il concepimento di nuovi tributi dal carattere locale.

Sotto il primo profilo, specie nel triennio 1980-83, si assistette così ad maggior ricorso ad alcune esazioni comunali, quali le tasse sulla pubblicità, l‟occupazione di suolo pubblico, oppure sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani. Il che, indubbiamente contribuì a tamponare, in qualche modo, bilanci ormai dissestati, ma non certo a risanarli.

Per tale ragione, proprio sul secondo fronte il legislatore statale cercò allora, a più riprese, di giocare la vera partita: lo sforzo fu apprezzabile, i risultati, tutto sommato, modesti. Tra i tentativi non andati a buon fine va, infatti, annoverata una tranche di interventi constante ben tre decreti legge, tutti preordinati all‟istituzione di una tassa sui servizi pubblici comunali, e tutti e tre decaduti per mancata conversione in legge. Tra quelli andati più o meno a segno possono invece menzionarsi l‟introduzione della sovraimposta comunale sul reddito dei

fabbricati, nonché dell‟imposta comunale per l‟esercizio di imprese600

, arti e professioni601, meglio note sotto l‟acronimo rispettivamente di SOCOF e ICIAP. L‟accenno, testé effettuato, alla sol parziale portata risolutiva dei due provvedimenti, poggia, anche in questa sede, su diverse ragioni.

Quanto alla SOCOF – al dì là dei possibili profili di incostituzionalità alla stessa riferibili602 e poi fugati da una criticata decisione della Corte costituzionale603 – basterà accennare alla natura episodica del tributo, limitato al solo 1983 e come tale insuscettibile di qualsiasi aspirazione a modificare radicalmente il sistema afferente alle finanze comunali.

Quanto invece all‟ICIAP604

– anche in questo caso, al di là dei numerosi dubbi di incostituzionalità, talora fondati, alla medesima ascrivibili605, e alle problematiche connesse alla complessità della relativa disciplina, nonché agli effetti distorsivi di cui potenzialmente poteva farsi portatrice606 – non può

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Istituita con d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, poi convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1983, n. 131.

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Istituita con d.l. 2 marzo 1989, n. 66, poi convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144.

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Essenzialmente riconducibili al fatto che, contrariamente alle dichiarate intenzioni di richiedere, attraverso la SOCOF un contributo da far pesare sulla generalità dei consociati, tale tributo non aveva affatto un‟essenza generale, presentando al contrario irragionevoli discriminazioni afferenti al proprio oggetto di imposizione, il quale inspiegabilmente escludeva non solo i redditi fondiari diversi da quelli da fabbricati, ma altresì tutta una serie di altri immobili.

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Cfr. Corte cost., sent. n. 159/1985.

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L‟ICIAP (Imposta Comunale sull‟esercizio di Imprese, Arti e Professioni) era dovuta da coloro che esercitavano per professione abituale, ancorché non esclusiva, un‟impresa, arte o professione, così come intese ai fini IVA. L‟imposta andava calcolata separatamente per ogni Comune in cui si svolgeva l‟attività. Essa si determinava secondo il settore di attività svolta e secondo la classe di superficie in cui rientrava l‟insediamento produttivo in base ad apposita tabella prevista per legge. L‟imposta così determinata andava poi rapportata al reddito dell‟attività conseguito nell‟anno precedente, secondo i limiti fissati dal Comune.

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Invero, la Corte costituzionale: con sent. n. 103/1991, accolse la questione di costituzionalità dell‟art. 1, limitatamente però all‟anno 1989, “nella parte in cui non consent[iva] ai soggetti di imposta di fornire alcuna prova contraria in ordine alla propria effettiva attività”; di contro respinse, con ordinanza n. 238/1993, la questione di legittimità per presunta violazione dell‟art. 53 Cost. nella determinazione del tributo, affermando che “è da ritenersi attendibile che, a seconda dei settori di attività considerati, la dimensione dell‟insediamento possa costituire uno degli indici di minore o maggiore redditività dell‟attività produttiva”.

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La distorsività dell‟imposta veniva imputata al carattere regressivo che la stessa era in grado di dispiegare. Sul punto, si veda G. POLA, Politiche fiscali locali e attività produttive. Vecchie

esigenze e nuove prospettive, relazione svolta al Convegno Nazionale di Prato del 17 febbraio

1996, pag. 4: con l‟Iciap non solo il principio della progressività ma neppure quello della proporzionalità viene salvaguardato, se è vero che l‟Iciap viene a incidere anche per l‟8-10%

comunque sottacersi che la stessa, sebbene tributo statale dal punto di vista dell‟istituzione e della determinazione del quantum dovuto, accordava comunque ai Comuni la possibilità di goderne parzialmente del gettito, e ciò contribuì, in misura non trascurabile, a concorrere al percorso di risanamento in atto.

Un percorso di risanamento che, alle soglie del 1990, consegnò un quadro finanziario decisamente mutato rispetto a solo un decennio prima: invero, la dipendenza dai trasferimenti statali delle amministrazioni comunali si ridusse dall‟88-90% del periodo 1975-79, sino a circa il 60% nel 1989607, così andando progressivamente a rinsaldare la bontà dei convincimenti di quanti avevano continuato a sostenere una netta preferenza verso modelli autonomisti, sicuri del fatto che solo un maggiore affrancamento finanziario da parte delle Istituzioni periferiche avrebbe restituito loro anche una vera indipendenza politica608, al contempo portando ad un contenimento della spesa, ad un miglior controllo sulle entrate e quindi, in definitiva, ad una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali609.