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dell‟autonomismo: cenni.– 4. I caratteri innovativi dell‟art. 119 Cost.: primi cenni e rinvio. – 5. Il modello di autonomia finanziaria tracciato dalla nostra Carta costituzionale: primi indizi. – 6. L‟autonomia finanziaria di entrata. {6.1. I tributi propri e le entrate proprie. [6.1.1. I tributi propri: la definizione. 6.1.2. Segue: le modalità che ne segnano il ricorso. 6.1.3. Segue: i limiti derivanti dai principi di coordinamento del sistema tributario. (6.1.3.1. Gli oggetti. 6.1.3.2. La valenza. 6.1.3.3. Le finalità, i contenuti e l‟essenza.) 6.1.4. Segue: le implicazioni derivanti dall‟art. 23 della Costituzione. 6.1.5. Segue: la potestà impositiva dello Stato, delle Regioni e degli altri Enti locali. (6.1.5.1. Le prerogative fiscali di Stato e Regioni. 6.1.5.2. Le prerogative fiscali degli altri Enti locali)]. 6.2. Le entrate proprie. 6.3. Le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali. 6.4. Il fondo perequativo. 6.5. Le risorse aggiuntive e gli interventi speciali. 6.6. Il patrimonio. 6.7. Il ricorso all‟indebitamento.}. – 7. L‟autonomia finanziaria di spesa. (7.1. L‟enucleazione dei vincoli di spesa: primi cenni e rimandi. 7.2. L‟art. 81 della Costituzione tra assetti attuali e prospettici. 7.3. I principi di coordinamento della finanza pubblica.). – 8. Le Autonomie speciali.

1. Gli intenti sottesi alle revisioni costituzionali.

Come si è finito di vedere, il modello antecedente la riforma del Titolo V della Costituzione è stato, in larga parte e per lungo tempo, improntato su di un sistema di finanza derivata616. La precedente interpretazione restrittiva degli artt. 5, 23, 117 e 119 della Costituzione, e del dettato dell‟art. 128 Cost. secondo il quale “le Province e i Comuni sono enti autonomi nell‟ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni”, aveva di

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Conformemente, si osservi anche E. JORIO, Le contraddizioni e i limiti applicativi dell‟art.

119 della Costituzione, in www.federalismi.it, 2007, pagg. 3-4, il quale evidenzia che “in buona

sostanza, le risorse destinate alle Regioni erano costituite, essenzialmente, da ben individuati trasferimenti di provenienza statale, nonché da introiti direttamente derivanti da entrate proprie, esigue e insufficienti a garantire il finanziamento delle rispettive funzioni”.

fatto, per lungo tempo, legittimato il legislatore ad esautorare le Regioni e gli altri Enti locali minori da quell‟autonomia finanziaria auspicata dallo stesso art. 119 della Costituzione617.

E‟ indubbio che una decisa inversione di tendenza si sia avuta con l‟entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 dai connotati maggiormente ispirati, per certi tratti, ad un‟impronta, in qualche modo federalisticamente orientata618.

E‟ bene ribadire che di federalismo in senso stretto è impossibile parlare, data, tra l‟altro, la mancata previsione dell‟istituzione di una Camera delle Autonomie in sostituzione di uno degli attuali rami del Parlamento. Il nostro era e resta pertanto uno Stato regionale, ma dai tratti decisamente orientati verso il perseguimento di esigenze di autonomia, decentramento e differenziazione, pur sempre nel rispetto dei doveri solidaristici.

Invero, andando ad inserirsi in chiave complementare e di completamento, rispetto alle due precedenti leggi costituzionali nn. 1/1999619 e 2/2001620 – che grazie all‟introduzione dell‟elezione diretta del Presidente della Giunta, e del

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Cfr., a titolo esemplificativo: G.A. MICHELI, Autonomia finanziaria degli enti locali, in

Rivista del diritto finanziario e della scienza delle finanze, n. 1/1967, pagg. 523 ss., dal cui

orientamento ben si evince come, sotto la vigenza del vecchio Titolo V della Carta fondamentale, l‟autonomia finanziaria regionale dovesse intendersi restrittivamente a tal punto da essere di fatto confinata all‟esercizio di poteri discrezionali investenti il solo profilo degli impegni e non già quello delle entrate; su di una posizione di maggiore apertura, benché comunque alquanto prudente, S. CASSESE, Il finanziamento delle Regioni. Aspetti

costituzionali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 2/1963, pagg. 323 ss., il quale

ammetteva l‟esercizio di prerogative dei massimi Enti territoriali locali anche sul versante dell‟entrata ma, fatta eccezione per il possibile ricorso a tasse, tendeva ad escludere che le stesse si potessero estroflettere in azioni propriamente impositive, le Regioni essendo comunque in grado di leva su risorse derivanti “dalla gestione del demanio o dal patrimonio”, ovvero potendo nondimeno “emettere obbligazioni, acquistare azioni, ricorrere al credito tramite banche, percepire entrate da pubbliche imprese”.

Sul punto, si osservi ancora, lo stesso E. JORIO, Op. ult cit., pag. 3: «l‟esasperato centralismo aveva generato l‟impossibilità, ma anche una diffusa incapacità delle Regioni e degli altri enti locali, di poter “liberamente” usufruire di risorse proprie».

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Si rammenti, in proposito, il rovesciamento della tecnica enumerativa delle competenze, evincibile dalla novellata formulazione dell‟art. 117 della Carta fondamentale, su cui si avrà a breve modo di tornare.

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Legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, recante “disposizioni concernenti l‟elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l‟autonomia statutaria delle Regioni”.

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Legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, recante “Disposizioni concernenti l‟elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano”.

correlato principio simul stabunt simul cadent, avevano garantito alle massime Amministrazioni locali il raggiungimento più ampi margini di affrancamento, in virtù dell‟acquisizione di standard di stabilità politica fin a quel tempo del tutto impensabili – l‟entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001 ha senza dubbio rivoluzionato il modo di intendere i rapporti tra lo Stato, le Regioni e gli Enti territoriali minori. Le novità apportate sottolineano l‟evidente intento di valorizzare le autonomie locali, assicurando loro una maggiore emancipazione dall‟entità statale e riconoscendo alle stesse una propria identità.

Il tutto si è sostanziato in un accrescimento di poteri che investono tanto la loro sfera normativa, quanto quella amministrativa e finanziaria. Al contempo si è registrato, sull‟altro fronte, un depauperamento dei poteri di indirizzo e controllo, nonché delle funzioni assegnate allo Stato. Certamente quest‟ultimo ha continuato ad essere il soggetto politico per eccellenza, ma, a differenza di quanto avveniva in precedenza, la sua azione non è stata più volta a perseguire il soddisfacimento di tutte le istanze pubbliche, bensì prioritariamente mirata all‟esercizio delle funzioni del tutto insuscettibili di frazionamento, o comunque richiedenti, almeno in parte, una conduzione unitaria.

Autonomia e differenziazione sono quindi apparse le parole chiave, i cardini di questa riforma costituzionale, tali due elementi caratterizzanti dovendo però scontare il rispetto di quel quadro di valori fondamentali che informa la nostra Carta costituzionale. Ci riferiamo, in particolar modo, ai principi di unità e indivisibilità della Repubblica621, e a quelli di eguaglianza e solidarietà622. Se dunque dietro la revisione del Titolo V della Costituzione, si cela una precisa volontà di svolta rispetto al passato, e di soppressione o comunque modifica di quelle disposizioni in cui era rinvenibile una marcata impronta “statalista”, le radicali innovazioni apportate dal legislatore costituzionale testimoniano questa inclinazione.

Se dunque, spazio assolutamente preponderante sarà offerto nelle prossime pagine alla disamina della suddetta revisione costituzionale, non potrà, tuttavia,

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Cfr. art. 5 della Costituzione.

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all‟occorrenza, non farsi cenno alla ulteriore, recentissima, revisione costituzionale623, con l‟accortezza, ad ogni modo, di precisare fin da subito che le relative prescrizioni saranno comunque destinate a trovare applicazione solo a partire dell‟esercizio finanziario relativo all‟anno 2014624

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