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Che il ruolo delle Regioni e degli altri Enti territoriali locali esca pesantemente rafforzato dall‟opera di revisione costituzionale, lo si evince in primis dal dettato dell‟art. 114 della Carta Fondamentale625 che, quanto meno entro i confini del cosiddetto Stato-ordinamento, pare riconoscere eguale “dignità costituzionale” alle diverse Amministrazioni decentrate626, o forse, e più in generale, ai diversi soggetti componenti la Repubblica627: Comuni, Province, Città Metropolitane628, Regioni e Stato629. Almeno da un punto di vista formale, in questa seconda ottica, potrebbe infatti porsi l‟esplicita inclusione dello Stato in tale novero, la quale

623

Legge costituzionale n. 1/2012 del 20 aprile 2012, la cui entrata in vigore è stata fissata per l‟8 maggio 2012, ed il cui procedimento approvativo, da parte delle Camere, si è chiuso con la seconda deliberazione operata dal Senato della Repubblica in data 17 aprile 2012.

624

Cfr. art. 6, legge costituzionale n. 1/2012.

625

Subentrante, ma con diversa e più ampia portata contenutistica, non solo al suo antecedente omologo (“La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”), ma altresì al precedente, e soppresso, art. 115 della Costituzione (“Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”).

626

Sul punto, esemplificativamente, S. GAMBINO, L‟ordinamento Repubblicano: fra principi

costituzionali e nuovo assetto territoriale dei poteri, in Diritto regionale e degli enti locali,

Milano, 2004, pag. 5, secondo il quale il nuovo assetto istituzionale delinea una forma di Stato nell‟ambito del cui ordinamento sussistono “una pluralità di ordinamenti territoriali minori, fra di loro equiordinati e dunque connotati da una pari dignità istituzionale”.

627

Ciò emerge, all‟interno dei lavori preparatori, dalla Relazione di Maggioranza presentata alla Presidenza l‟11 novembre 1999.

628

Soggetto costituzionale non ancora esistente ed in via di definizione, che dovrebbe essere rappresentativo delle principali metropoli e dei rispettivi hinterland. Nella legge n. 142/1990 figuravano nove Città Metropolitane (Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari), più una eventuale (Cagliari). In merito, per maggiori ragguagli, si rinvia, tra gli altri, a G. DEMURO, La definizione dell‟assetto territoriale dei Comuni e delle Province

e il procedimento di definizione delle aree metropolitane nella l. 142/1990, in Arch. dir. cost.,

Giappichelli, Torino, 1997, pag. 310. Più recentemente, per un‟approfondita ricostruzione su questo soggetto, si osservi il contributo offerto da A. BRANCASI – P. CARETTI, Il sistema

dell‟autonomia locale tra esigenze di riforma e spinte conservatrici: il caso della Città metropolitana, in Le Regioni, n. 4/2010, pagg. 727 ss.

629

Sul carattere chiuso della disposizione, ossia sull‟impossibilità di ricondurne il contenuto di significato a soggetti altri rispetto a quelli esplicitamente indicati, si veda Corte cost., sent. n. 244/2005.

sembrerebbe dunque mirare ad evidenziare l‟esistenza, tra i diversi Enti, di un legame di parificazione, ovvero di equiordinazione, a sua volta fondato sul principio di leale collaborazione che dovrebbe intanto informarne i reciproci rapporti – in quanto soggetti costitutivi della Repubblica, che ne rappresenterebbe quindi la sintesi630 – ma altresì determinarne, per tale via, l‟incomprimibile contributo all‟uopo offerto da ciascuno di essi, con conseguente preclusione per i maggiori Enti di servirsi delle proprie attribuzioni “per porre gli enti minori in posizione di [mera] ausiliarietà o strumentalità”631, a questa lettura peraltro non ostando le pur giuste considerazioni della Corte costituzionale, volte a rimarcare che “lo stesso art. 114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione fra gli enti in esso indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città metropolitane e le Province (diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa”632.

Che la parificazione di cui si è parlato abbia ad essere preferibilmente intesa entro i termini di cui poc‟anzi si è detto, piuttosto che interpretata come elemento di definitivo spoglio dello Stato dal suo ruolo di primazia gerarchica o funzionale633, lo si può agevolmente evincere – a tacere di altre disposizioni costituzionali634, o della relativa ulteriore giurisprudenza635 – dallo stesso

630

Si osservi, per tutti, S. MANGIAMELI, La riforma del regionalismo italiano, Giappichelli, Torino, 2002, pag. 239.

631

Cfr. S. BARTOLE – R. BIN – G. FALCON – R. TOSI, Diritto regionale, Il Mulino, Bologna, 2003, pagg. 15-27, spec. 26.

632

Cfr. Corte cost., sent. n. 274/2003.

633

Cfr. P. CARROZZA, Appunti sui nuovi statuti regionali e il loro possibile contenuto, in

Cooperazione mediterranea, 2001, n. 2, pagg. 34 ss. In posizione di totale chiusura su tutta la

linea è invece A. ANZON, I poteri delle regioni dopo la riforma costituzionale. Il nuovo regime

e il modello originario a confronto, Giappichelli, Torino, 2002, pag. 173, la quale segnala che

«né tale parità può dirsi consistere in una loro “pari dignità”, che non si sa bene che cosa significhi sul piano giuridico».

634

Anche a prescindere totalmente dalla giurisprudenza costituzionale venutasi a formare nel corso di quest‟ultimo decennio, il riferimento corre a tutti quei precetti della Carta fondamentale dai quali, in via più o meno esplicita, possono comunque ricavarsi i profili di permanenza di istanze di natura unitaria variamente accordati allo Stato: si osservino in particolare, e a titolo esemplificativo, il secondo e il terzo comma dell‟art. 117, il primo comma dell‟art. 118, nonché il secondo comma dell‟art. 120 della Costituzione.

635

Sulla quale già si è avuto un primo accenno, in relazione alla sent. n. 274/2003 della Corte costituzionale, ma sulla quale si avrà nondimeno modo di tornare, anche con ulteriori riferimenti, più oltre.

secondo comma dell‟art. 114 della suprema Fonte, ove l‟asserto secondo cui “i Comuni, le Province, le Città Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione” già perspicuamente rimarca come gli stessi siano da considerarsi per l‟appunto Enti autonomi e non già sovrani636. Il tutto, senza che però nulla possa essere d‟altro canto tolto al carattere innovativo di siffatta formula, come già accennato, di fatto nondimeno implicante un‟equiordinazione periferica delle rispettive potestà statutarie, che trova espressione, non già sotto il profilo prettamente funzionale, ma senz‟altro da un punto di vista del titolo fondativo637

.

Ciò premesso in relazione all‟art. 114 della Carta fondamentale638

, va osservato che, se di spinta in qualche modo federalista si può parlare, lo si deve soprattutto al nuovo disposto del successivo art. 117 Cost. che si presenta come la sostanziale antitesi del precedente. Da esso può infatti ricavarsi come, non solo, la potestà legislativa regionale non venga più sottoposta ai limiti derivanti dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, ovvero al vaglio di possibili contrasti con l‟interesse nazionale o con quello delle altre Regioni639 – la potestà legislativa statale e quella regionale soggiacendo ora ai medesimi vincoli, costituiti dal “rispetto della Costituzione640

, nonché dei vincoli derivanti

636

E‟ agevolmente apprezzabile, infatti, come dall‟elenco degli Enti evincibili da questo secondo comma non compaia lo Stato.

637

Invero, nell‟ottica sin qui utilizzata, la soppressione dell‟art. 128 Cost. – a ragion del quale “le Province e i Comuni sono enti autonomi nell‟ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni” – unito alla nuova formulazione dell‟art. 114 Cost., sembrano porre definitivamente fine ai caratteri differenziali tra tutti i diversi Enti territoriali locali. Va però rimarcato che mentre con l‟art. 123 la nostra suprema Fonte provvede a determinare il contenuto necessario degli statuti regionali, nulla essa prescrive in relazione a quelli degli altri Enti locali.

In merito, si esprime perspicuamente anche G. DEMURO, Art. 114, cit., pagg. 2171: “Il testo da cui trae origine il comma in commento teneva […] ben distinta la autonomia regionale da quella degli altri enti: la prima aveva base costituzionale, la seconda necessitava della mediazione legislativa ordinaria. Con il nuovo testo appare evidente che l‟autonomia statutaria delle Regioni sia diversa da quella dei Comuni; altrettanto evidente è che la base fondativa di entrambi i poteri statutari è la Costituzione”.

638

Sul terzo comma della disposizione in parola – contemplante un peculiare ordinamento, stabilito con legge dello Stato, per Roma Capitale della Repubblica – si avrà modo di tornare in sede di analisi della legge delega n. 42/2009 in tema di federalismo, nonché di alcuni suoi decreti attuativi, all‟interno dei susseguenti capitoli 5 e 6.

639

In tal senso si esprimeva il primo comma del precedente art. 117 della Costituzione.

640

E delle sue norme interposte, quali: i patti lateranensi, di cui all‟art. 7, c. 2, Cost.; le intese, di cui nell‟art. 8, c. 3, Cost., sulla scorta delle quali sono disciplinati i rapporti intercorrenti tra lo

dall‟ordinamento comunitario641

e dagli obblighi internazionali”642 – ma come a ciò si sia vieppiù accompagnata anche la netta inversione della tecnica

Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica; le norme di adattamento al diritto internazionale generale, di cui all‟art. 10, c. 1, della Costituzione; ovvero la stessa formula di cui all‟art. 117, c.1, Cost., al momento in parola.

641

Tale vincolo non sembra denotare una particolare essenza innovativa, lo stesso di contro porgendosi per lo più in chiave ricognitiva ed esplicitativa rispetto all‟esistente, ossia di quell‟implicito fondamento da sempre ritratto dall‟art. 11 della Costituzione.

642

Cfr. art. 117, c. 1, della Costituzione, con la cui formula, secondo M. LUCIANI, Le nuove

competenze legislative delle Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, Relazione presentata al Convegno su “Il nuovo Titolo

V della Costituzione. Lo Stato delle autonomie”, tenutosi a Roma il 19 dicembre 2001, reperibile su www.associazionedeicostituzionalisti.it, “si è voluto sottolineare che, al di là di qualunque discussione dogmatica sui rapporti tra legge statale e legge regionale, queste hanno la medesima dignità e costituiscono al medesimo titolo modalità di pieno esercizio della funzione legislativa”.

A tal proposito, può solo succintamente rammentarsi come proprio nelle pieghe di tale precetto sia stato individuato uno degli elementi maggiormente innovativi della riforma del Titolo V della Carta fondamentale, talvolta nondimeno considerato dal vero e proprio carattere dirompente (v. A. D‟ATENA, La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e

con l‟Unione Europea, Relazione al Convegno su “Il nuovo titolo V della parte II della

Costituzione – Primi problemi della sua attuazione” organizzato dall‟Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Bologna, 14 gennaio 2002, in AA.VV., Il nuovo Titolo V della Parte IIa della

Costituzione, Milano, 2002, presente anche in Rass. parl., 2002, pagg. 915 e 923, nondimeno

reperibile su www.associazionedeicostituzionalisti.it, nonché lo stesso M. LUCIANI, Camicia

di forza federale, in La Stampa, 3 marzo 2001), costituito dalla richiesta conformità delle due

legislazioni agli obblighi internazionali. Il profilo di maggiore criticità risiede infatti nel portato della disposizione in esame, ed in particolare nelle sua attitudine o meno ad imporre, al legislatore statale e a quelli regionali, un vincolo che oltre al diritto internazionale consuetudinario (in relazione al quale già opera un dispositivo di adattamento automatico, in forza dell‟art. 10, c. 1, Cost.), si estenda ora direttamente anche a quello di origine pattizia, senza dunque la necessità di ricorrere ad appositi ordini di esecuzione. Non essendo questa la sede per potere affrontare compiutamente la problematica, basterà segnalare come la questione sia piuttosto controversa in dottrina. Le due opposte correnti tendono infatti: l‟una, a sminuirne la rinnovata carica prescrittiva, evidenziando la collocazione della norma nel quadro dei rapporti tra lo Stato e gli altri Enti locali da cui la conseguenza che la stessa regolerebbe i rapporti tra ordinamenti e non quelli tra le fonti, l‟assenza di precise indicazioni ricavabili dai lavori preparatori, ovvero potenziali pericoli discendenti da manovre di aggiramento attivabili mediante l‟assunzione di obblighi internazionali da parte del Governo attraverso il ricorso ad accordi in via semplificata che esautorerebbero il Parlamento dalla sua attività di controllo; l‟altra, ad esaltarne invece l‟estensiva portata, come ulteriore conferma della valenza onnicomprensiva del dispositivo di adattamento automatico ricavabile dal predetto art. 10, c. 1 della Costituzione. Variamente ascrivibili alla prima posizione sono, tra gli altri, C. PINELLI, I

limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l‟ordinamento comunitario, in Foro it., n. 7-8/2001, pagg. 194 ss.; E. CANNIZZARO, La riforma «federalista» della Costituzione e gli obblighi internazionali, in Riv. dir. internaz., n. 4/2001,

pagg. 921 ss. Più d‟ogni altro, attestato sulla seconda posizione – condividendo in larga parte la tesi già a suo tempo elaborata da R. QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1968, pagg. 64 ss., a parer del quale, in virtù del principio pacta sunt servanda, l‟art. 10 della nostra suprema Fonte dovrebbe consistere in un “trasformatore permanente” anche per quelle norme derivanti dal diritto convenzionale – si schiera apertamente, almeno in relazione ai soli atti vagliati dall‟organo legislativo, cui si correda però la considerazione che il passaggio

enumerativa delle rispettive competenze: ad essere elencate non essendo più le materie di competenza legislativa (verticalmente ripartita) delle Regioni643, bensì quelle di competenza esclusiva statale, e quelle di legislazione concorrente nelle quali il potere regolatorio primario dei massimi Enti territoriali locali, chiamato ad esprimersi in ossequio ai principi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato644, risulta generalmente legittimato ad estroflettersi, in sede di prima

parlamentare sia anzi in generale da giudicarsi indispensabile, A. D‟ATENA, La nuova

disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l‟Unione Europea, cit. e ID., Diritto regionale, cit., pagg. 132-133 in cui ribadendo le proprie tesi, ritiene che quanto statuito al

primo comma dell‟art. 117 della Costituzione costituisca “un principio di civiltà giuridica, rivolto ad impedire che lo Stato, violando impegni liberamente assunti nei confronti degli altri Stati, commetta – in modo legittimo dal punto di vista dell‟ordinamento interno – illecito internazionale, tale prescrizione dando quindi “vita ad un dispositivo di adattamento automatico

al diritto internazionale pattizio” (corsivo dell‟Autore). E‟ però lo stesso Autore a rimarcare

come siffatto assurto non abbia trovato positivo riscontro nella prassi, gli accordi internazionali formando ancora oggetto di relativi ordini di esecuzione. Sulla puntuale ricostruzione della giurisprudenza costituzionale circa i profili appena edotti, si rimanda a E. LAMARQUE, Il

vincolo alle leggi statali e regionali derivante dagli obblighi internazionali nella giurisprudenza comune, Relazione presentata al Seminario dal titolo “Corte costituzionale, giudici comuni e

interpretazioni adeguatrici”, Roma, Palazzo della Consulta, 6 novembre 2009.

643

Come avveniva sotto la vigenza del vecchio art. 117 della suprema Fonte, laddove peraltro molto spesso, come ben noto, lo Stato non si limitava alla statuizione dei soli principi fondamentali, sicché l‟ulteriore elaborazione della normativa di dettaglio andava così ad inibire, o comunque a privare quasi del tutto, le Regioni dal legittimo utilizzo delle proprie prerogative legislative.

644

Non essendo in questo caso applicabile il principio gerarchico, data l‟equiordinazione tra le due fonti, né il principio di competenza, stando la prevista insistenza di entrambe sul medesimo ambito, i rapporti tra legge statale e legge regionale sembrano dunque giocarsi sul meccanismo, già elaborato da V. CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle

fonti, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1960, pag. 792, della cosiddetta gerarchia dei contenuti, sulla

scorta del quale la seconda è dunque tenuta ad esprimersi entro le previsioni statuite dalla prima, non in quanto gerarchicamente inferiore ad essa, ma in quanto a ciò costituzionalmente vincolata per espressa previsione della Carta fondamentale, che ne impone la consonanza ai principi fondamentali da quest‟ultima stabiliti.

Quanto alla fonte attraverso cui tale legislazione statale di principio può trovare espressione, la Corte costituzionale ha ribadito la possibilità che ciò possa avvenire anche per il tramite di decreti legislativi. Cfr., a tal proposito, la sent. n. 278/2010 nella quale si coglie che “la ricorrente erroneamente confonde il grado di determinatezza proprio dei princìpi e dei criteri direttivi della delega con quello, qualitativamente distinto e perciò non necessariamente coincidente, dei princìpi fondamentali di materia concorrente. Ciò consente, in linea di principio, l‟impiego della delega legislativa anche nelle materie a potestà legislativa ripartita, come – d‟altra parte – confermato dalla sua utilizzazione tutt‟altro che infrequente anche in passato”. Così pronunciandosi, il Giudice delle leggi conferma la bontà dei suoi precedenti: sent. n. 50/2005, dalla quale si evince non solo che «la nozione di “principio fondamentale”, che costituisce il discrimine nelle materie di competenza legislativa concorrente tra attribuzioni statali e attribuzioni regionali, non ha e non può avere caratteri di rigidità e di universalità, perché le “materie” hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. E‟ il legislatore che opera le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l‟interprete deve valutare nella loro obiettività, senza essere

applicazione, anche in assenza della previa elaborazione dei suddetti principi645, in tale evenienza dovendosi intanto meramente informare a quelli implicitamente ricavabili dall‟ordinamento, nonché comunque successivamente conformare alle leggi cornice statali, una volta che queste ultime giungano poi ad essere licenziate646. De residuo spetta quindi alle Regioni legiferare in tutte le altre materie647.

condizionato in modo decisivo da eventuali autoqualificazioni. Ne consegue che il rapporto tra la nozione di principi e criteri direttivi, che concerne il procedimento legislativo di delega, e quella di principi fondamentali della materia, che costituisce il limite oggettivo della potestà statuale nelle materie di competenza concorrente, non può essere stabilito una volta per tutte»; il che, a giudizio della stessa Corte, avvalora le considerazioni avanzate nella più risalente sent. n. 359/1993, nella quale la medesima già provvide ad affermare la possibilità che con legge delegata si potessero stabilire i principi fondamentali di una materia, «stante la diversa natura ed il diverso grado di generalità che detti principi possono assumere rispetto ai “principi e criteri direttivi” previsti in tema di legislazione delegata dall‟art. 76 della Costituzione».

645

L‟avverbio “generalmente” mira ad evidenziare la complessiva validità di tale regola, pur a fronte di possibili significative eccezioni, tra le quali, come si avrà modo di apprezzare per i fini di questa tesi, figura la possibilità, accordata agli Enti locali, di istituire tributi propri, prerogativa, questa, dalla Corte costituzionale preclusa fintanto che lo Stato non si fosse previamente determinato all‟enucleazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, materia annoverata tra quelle di legislazione concorrente, di cui al terzo comma dell‟art. 117 della Carta Fondamentale. Sul punto, cfr. Corte cost., sent. n. 37/2004, nella quale, il Giudice delle leggi, partendo da un attento esame in merito al contenuto del novellato art. 119 della suprema Fonte evidenzia che “l‟attuazione di questo disegno costituzionale richiede però come necessaria premessa l‟intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l‟insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell‟intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali”.

646

Volto ad evitare l‟elusione della portata precettiva del terzo comma dell‟art. 117 della suprema Fonte, potenzialmente condizionando sine die l‟esercizio delle prerogative legislative regionali alla previa approvazione dei nuovi principi fondamentali da parte dello Stato, l‟orientamento edotto dalla Corte costituzionale nell‟ambito della sent. n. 282/2002 va infatti a precisare che “la nuova formulazione dell‟art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell‟art. 117, comma 1, esprime l‟intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina. Ciò non significa però che i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore”.

Sul punto va, per un verso, ricordato come l‟art. 1, c. 4, della stessa legge n. 131/2003 – recante disposizioni per l‟adeguamento dell‟ordinamento della Repubblica alle legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – prevedesse che “in sede di prima applicazione, per orientare l‟iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all‟entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali, il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministri interessati, uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei princìpi fondamentali, che si traggono dalle leggi vigenti, nelle