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I decreti Stammati ed il poderoso sistema di finanza derivata fondata sulla perversa logica

Al predetto eccessivo indebitamento degli Enti locali minori si tentò di por rimedio attraverso l‟adozione del decreto legge 17 gennaio 1977, n. 2591 – meglio noto come Stammati 1592 – recante disposizioni sul consolidamento delle esposizioni bancarie a breve termine di Comuni e Province.

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Il canone era, invero, stato semplicemente concepito per il perseguimento di obiettivi di tutela ambientale e non già per garantire agli Enti locali una maggiore autonomia finanziaria.

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Così, G. MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali, cit., pagg. 294-295.

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Convertito con legge 17 marzo 1977, n. 62.

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Dal nome dell‟allora Ministro Gaetano Stammati, che ne fu promotore e che ricoprì la carica di Ministro delle Finanze dal 12 febbraio al 29 luglio 1979 nell‟ambito del quinto Governo Moro, nonché di Ministro del Tesoro, nel successivo terzo Governo Andreotti, dal 29 luglio 1976 all‟11 marzo 1978.

Attraverso tale misura vennero, per l‟appunto, consolidati i debiti a breve termine contratti dai suddetti Enti locali con i vari intermediari finanziari593, fu posto a carico dello Stato il pagamento delle rate di ammortamento dei mutui fino a quel tempo accesi, si provvide, in ultimo, all‟introduzione di più stringenti limitazioni circa l‟accollo di nuovi debiti, specie se a breve termine. Il salvifico intervento dello Stato implicava, ovviamente, l‟assunzione di precisi impegni a carico di Comuni e Province, i quali erano dunque vincolati ad intraprendere una serie di politiche precipuamente volte ad implementare – secondo criteri di economicità, efficacia ed efficienza – una complessiva riorganizzazione o, se del caso, ristrutturazione dei propri uffici, nonché dei servizi erogati. Il tutto si accompagnava ad una statuizione certamente semplificata, ma evidentemente non altrettanto equa e performante, consistente nel blocco totale del turn-over, cioè nell‟assoluto divieto di assumere nuovo personale, tale prescrizione assumendo carattere del tutto orizzontale, in quanto da applicarsi a qualsiasi dei predetti Enti locali, indipendentemente dalla dimensione territoriale, consistenza organica e competenziale, ovvero virtuosità operativa o meno riconducibile ai medesimi.

Nello stesso ambito regolativo, di lì a poco, ossia nel dicembre di quello stesso anno, vide la luce un secondo atto governativo, il decreto legge 29 dicembre 1977, n. 946594, meglio noto come Stammati 2, recante provvedimenti urgenti per la finanza locale. Dai tratti, in parte innovativi, in parte in linea di continuità con quanto già previsto dal suo predecessore, gli obiettivi contemplati dal nuovo decreto in parola potevano così riassumersi: pareggio obbligatorio dei bilanci di previsione da assicurarsi attraverso trasferimenti erariali commisurati ed imperniati al criterio della spesa storica; assunzione a carico dello Stato dei mutui contratti a pareggio economico dei bilanci di previsione; riaccertamento dei

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Più in particolare si provvide da un lato all‟azzeramento degli scoperti per le anticipazioni a breve, dall‟altro alla conversione in mutui decennali con la Cassa depositi e prestiti sia delle anticipazioni con i relativi interessi non ancora regolarizzati, sia delle anticipazioni, sempre per capitale e interessi, elargite in favore delle aziende di trasporto municipalizzate e provincializzate.

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residui attivi e passivi595, con la possibilità di procedere alla rettifica in sanatoria dei conti consuntivi pregressi, anche se già approvati; statuizione di vincoli alla spesa corrente parametrati ad incrementi da stabilirsi mediante decretazione annuale; regolamentazione, con legge statale, delle assunzioni di personale. Il prioritario intento di perseguire il pareggio di bilancio avrebbe potuto essere assolto anche attraverso un aumento delle tariffe locali, ovvero delle relative imposizioni tributarie, ma la debole incidenza delle stesse, incastonate in un quadro di scarsa indipendenza finanziaria a livello periferico, appalesarono la non sufficienza di siffatti mezzi per addivenire a tale scopo596.

Dacché si rese allora fin da subito evidente che ogni impegno di parte corrente che, proprio a livello periferico, non potesse essere autonomamente affrontato, avrebbe comunque dovuto trovare una propria copertura ad altra latitudine, ossia mediante un successivo intervento statale ad adiuvandum. Per provvedere in tal senso, il tutto si sarebbe risolto dunque, come già accennato, semplicemente nella contemplazione di finanziamenti che dal centro si sarebbero indirizzati verso i singoli Enti locali in misura pari alla quota parte della spesa da questi ultimi sostenuta nel corso del precedente esercizio e non assolta attraverso risorse proprie, aumentata di una certa percentuale fissa, la quale risultava ulteriormente maggiorata se riferibile ad Enti territoriali situati nel Mezzogiorno del Paese597. Siffatto meccanismo, che avrebbe dovuto avere carattere provvisorio – ossia annuale, in attesa di una più radicale e complessiva nuova riforma della finanza locale – finì con l‟assumere invece una valenza assai stabile, tant‟è che con l‟ausilio di decreti tampone venne replicato anche successivamente e fino al 1982, così ingenerando un perverso, e vieppiù stabile, sistema di finanza

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Con tali espressioni intendendosi ciò che rimane delle entrate dell‟esercizio amministrativo, una volta detratte le spese occorse ed al medesimo riferibili.

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Invero, a fronte di crescenti impegni di spesa a livello periferico, non potevano dirsi esaustivi neppure nuovi prelievi locali che pure erano sorti in quel periodo, quali la tassa sulle concessioni comunali (istituita con decreto legge 10 novembre 1978, n. 702, poi convertito, con modificazioni, mediante legge 8 gennaio 1979, n. 3), ovvero il canone per i servizi di disinquinamento delle acque (già istituito con legge 10 maggio 1976, n. 319).

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Come segnalato da P. GIARDA, Finanza locale. Idee per una riforma, Milano, Vita e Pensiero, 1982, pagg. 28 ss., la stima della percentuale delle spese correnti locali coperte con trasferimenti statali si attestava intorno ad una soglia dell‟85%, il che dà indubbiamente il segno della gravità della situazione e del profondo svuotamento in cui si era venuta a risolvere l‟autonomia finanziaria degli Enti locali minori.

derivata, in tutto fondato sulle mere dichiarazioni di spesa dei vari Enti locali, i quali avevano dunque tutto l‟interesse a denunciare crescenti impegni sul lato delle uscite, ben potendo confidare tanto nel ripiano a piè di lista da parte dello Stato, quanto nello scarso livello di controlli sul proprio operato598.

A ben vedere dunque, quella vissuta nel predetto periodo dalle Istituzioni periferiche non poteva certo definirsi come crisi finanziaria, data l‟enorme disponibilità di risorse comunque messe a loro disposizione, la stessa potendosi di contro definire come crisi di autonomia finanziaria, stante il carattere pressoché integralmente derivativo delle proprie entrate.

In un contesto ove ormai la finanza locale e quella erariale venivano quindi reciprocamente a trasfondersi l‟una nell‟altra, dando dunque origine, per la prima volta, allo scorgersi di un vero e proprio settore pubblico allargato, le negative ripercussioni che ne derivarono furono molteplici: una crescente esposizione finanziaria da parte dello Stato a fronte, per un verso, di livelli di spesa periferici sempre maggiori e, per l‟altro, di un livello qualitativo dei servizi di contro sostanzialmente rimasto immutato; un‟espansione della forbice esistente tra i vari Enti territoriali, con privilegio per quelli dotati di dimensione maggiore; una progressiva deresponsabilizzazione degli amministratori locali, con pregiudizio per gli Enti virtuosi e conseguente disincentivo nella perpetrazione di comportamenti di sana e oculata gestione599.

17. La crisi del metodo della programmazione e l’avvio della fase di