Di lì a poco, col Secondo Conflitto Mondiale alle spalle ed un‟Italia da ricostruire dal punto di vista politico, economico e sociale, l‟Assemblea
568
Come riferito da S. STEVE, Il sistema tributario e le sue prospettive, Rizzoli, Milano, 1947, oggi in Scritti vari, Ciriec, F. Angeli, Milano, 1997, pagg. 133 e 202, “Dell‟aumento delle entrate tributarie tra il 1938-39 e il 1941-42 in 10.337 miliardi, 7.159 spettano a queste tre fonti e precisamente: 1.209 all‟imposta ordinaria sul patrimonio, 2.437 ai monopoli e 3.513 all‟imposta generale sull‟entrata, contro i 2.476 dell‟imposta sugli scambi nel 1938-39”.
569
Andando a colpire (con aliquota del 4%) il valore pieno dei beni o dei servizi scambiati in ogni fase del ciclo di realizzazione, distribuzione o erogazione dei medesimi, tale imposta veniva a cagionare effetti distorsivi sul sistema economico, andando a penalizzare le filiere orizzontali, ossia quelle in cui, per l‟appunto, il processo di produzione, distribuzione o erogazione risultava decentrato su più aziende diverse. Solo a partire dal 1973, l‟introduzione dell‟imposta sul valore aggiunto (I.V.A.), in sostituzione proprio dell‟I.G.E., consentirà di neutralizzare i predetti effetti distorsivi a quest‟ultima riconducibili.
570
Passate dal 39% al 35,5%.
571
Passate, di contro, dal 61% al 64%.
572
E‟ sempre lo stesso S. STEVE, Il sistema tributario e le sue prospettive, cit., pag. 204, a rendicontare il modestissimo apporto fornito dalle tradizionali imposte dirette: “dal 1938-39 al 1941-42 il gettito delle imposte fondiarie rimase stazionario; quello dell‟imposta di ricchezza mobile passò da 4.178 a 5.243 milioni, aumentando del 25%, mentre il reddito nazionale aumentava del 53%, quello dell‟imposta complementare passò da 434 a 789 milioni”.
Costituente rivestì indubbiamente passaggio fondamentale per l‟elaborazione e la successiva adozione di alcune delle scelte più importanti per il futuro corso del Paese.
In quella sede, per quel che a noi maggiormente interessa, il dibattito investì l‟evoluzione che, nell‟alveo del nuovo quadro costituzionale, avrebbero dovuto assumere i rapporti tra la finanza erariale e quella locale. Le risultanze ultime non potevano comunque prescindere da una compiuta ricostruzione dell‟esatta situazione in essere e delle criticità dalla stessa appalesate nel corso del tempo. Il compito fu così affidato ad un‟apposita Commissione economica, la quale – in seguito all‟inchiesta effettuata, espresse all‟Assemblea stessa le proprie conclusioni. La lente d‟ingrandimento posta, in particolare, sulla finanza decentrata, fece emergere diversi difetti cronici ormai a questa storicamente insiti: un‟enorme moltitudine di tributi locali, scarsamente raccordati con quelli erariali, e dal gettito comunque insufficiente alla copertura degli impegni contratti; conseguenti logoramenti dei bilanci d‟esercizio, sempre più gravati da crescenti e pericolose esposizioni debitorie; pronunciati livelli di sperequazione tributaria territoriale e tra i vari Enti periferici; un‟eccessiva rigidità della normativa fiscale, determinante una scarsa manovrabilità tributaria; un vacuo e fallace sistema di controlli, troppo spesso compromesso da interessi politici e di categoria.
A quel punto, l‟ulteriore grave questione preliminare consisteva, come già avvenuto in passato, nello sciogliere il dilemma circa il mantenimento di una perdurante commistione tra i cespiti oggetto di tassazione, erariale e locale, ovvero l‟introduzione di una netta separazione dei medesimi tra i sistemi impositivi. La risposta che la Commissione offrì in proposito fu affatto perspicua: “le critiche mosse alla sovra imposizione valgono a dimostrare non già che l‟imposizione locale si commisuri a cespiti diversi da quelli dell‟imposizione centrale, bensì e soltanto l‟opportunità che, pur commisurandosi ai medesimi cespiti, le due imposizioni siano indipendenti sul piano giuridico e quindi nel reciproco funzionamento”, dovendosi dunque trattare di trovare un nuovo e più
equo punto di equilibrio, sostituendo “alla sovraimposizione la coimposizione”573.
Anche partendo da tali premesse, l‟ulteriore passo fu speso nella ricerca delle più accorte modalità per far confluire le scelte operate in regole positive. L‟opzione più o meno costituzionale, ovvero legislativa, avrebbe dunque dovuto risolvere ottimamente un duplice ordine di problemi: quell‟intricato compromesso tra esigenze unitarie e di autonomia, che da sempre caratterizzano gli ordinamenti aperti al decentramento574, nonché quell‟ulteriore e delicato bilanciamento tra istanze di stabilità e certezza del diritto, ed altrettanto vive ed indispensabili occorrenze di manovrabilità e quindi flessibilità, intimamente e tipicamente connesse alla normativa finanziaria575.
573
Cfr. Rapporto della Commissione economica presentato all‟Assemblea Costituente, V, Finanze, Relazione, Roma, 1946, pagg. 142 ss.
574
A tal proposito, la soluzione prospettata dalla Commissione poggiava su tre punti: “a) enunciando in sede costituzionale – quale che sia la forma giuridica che rimarrà stabilita per l‟esercizio della potestà tributaria in relazione alla soluzione che rimarrà accolta per il problema delle autonomie – il principio che quella potestà dovrà essere esercitata in conformità ai criteri che saranno disposti nella legge fondamentale per l‟ordinamento della finanza locale ai fini di realizzare l‟indispensabile coordinamento tra l‟imposizione centrale e le varie imposizioni locali; b) riconoscendo a questa legge fondamentale il carattere di legge costituzionale o di legge complementare alla Costituzione (se questa o simile gerarchia di norme si riterrà di accogliere) e come tale circondandone di particolari cautele la promulgazione e le successive modificazioni; c) rinviando invece alla legge ordinaria (ciò che sarà compito della legge fondamentale di cui sub b)) la determinazione delle aliquote massime applicabili in sede di imposizione locale: materia questa particolarmente suscettibile di mutamento in relazione alla contingente situazione economica del paese”. Cfr. Rapporto della Commissione economica
presentato all‟Assemblea Costituente, cit., pagg. 151 ss., ove si evince che la sede
maggiormente idonea per questo tipo di interventi di variazione delle aliquote potrebbe rivelarsi, sempre a giudizio della Commissione, quella della legge di bilancio.
575
Su tutte queste delicate possibili scelte, il punto è rintracciabile nuovamente in Rapporto
della Commissione economica presentato all‟Assemblea Costituente, cit., pagg. 151 ss.: “Pare
certo indispensabile che in particolare il rapporto di incidenza delle varie imposizioni sull‟unica capacità contributiva del contribuente debba poter essere successivamente adattato all‟evolversi del bilancio economico nazionale. E per contro occorre impedire che, come troppe volte è accaduto in passato, l‟intera struttura della finanza locale venga ad ogni momento sconvolta, nel solo intento di fronteggiare una transitoria necessità di bilancio o di cassa, cui ben potrebbe provvedersi con una semplice variazione delle aliquote; occorre raffrenare la naturale e tante volte dimostrata tendenza del governo centrale a presentare sotto l‟aspetto di parziali riforme strutturali il sostanziale intendimento di comprimere puramente e semplicemente il gettito delle imposizioni locali”.