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Così tracciata la cornice normativa di riferimento, occorre aggiungere che l‟altro fondamentale fattore in grado di incidere in misura decisiva sulla successiva definizione del complessivo tessuto finanziario ebbe a esprimersi di lì a poco, ossia nel 1861, con l‟atto di unificazione.

Fu così che il sistema tributario del Piemonte venne a estendersi all‟intero territorio nazionale, in tal modo andando ad interessare circa 22 milioni di abitanti sparsi su di neonato Stato inglobante realtà tra loro profondamente eterogenee dal punto di vista linguistico, sociale ed economico.

Ma prima ancora, e più in generale, proprio tenendo conto di tale assetto, già alla vigilia dell‟unificazione, uno dei maggiori temi all‟ordine del giorno dell‟agenda politica consisteva nella determinazione del grado di decentramento da imprimere al futuro corso dell‟erigendo Stato. Sullo sfondo, quali possibili punti di riferimento, le esperienze degli Stati di più antica tradizione. Fu così che, in quest‟ottica, a cavallo tra il 1860 ed il 1861, Marco Minghetti449

, nel presentare il suo progetto, ebbe perspicuamente a chiarire: “non vogliamo la centralità francese, ma non vogliamo neppure una indipendenza amministrativa come quella degli Stati Uniti d‟America o come quella della Svizzera, perché nessuno oserebbe decentrare l‟amministrazione a tale grado che può mettere a repentaglio l‟unità politica e civile”. Esclusi dunque possibili approcci orientati ai suddetti e

riferimento al principio di uguaglianza e nel generalizzato dovere di concorrere alle spese pubbliche.

448

Cfr. art. 25 Statuto Albertino, dal quale traspare, seppur implicitamente, un punto di contatto con l‟attuale supremo assetto normativo laddove sembra operare, in via nemmeno troppo latente, un primo riferimento a quello che oggi rappresenta il nostro concetto di capacità contributiva. La discrasia rispetto al nostro quadro costituzionale pare invece emergere in relazione alle modalità di contribuzione alle spese pubbliche, laddove il riferimento al principio di proporzionalità in luogo di quello di progressività, come di contro previsto dal nostro art. 53 della Costituzione, lascia sottendere l‟assenza circa particolari esigenze di provvedere a pratiche redistributive della ricchezza, in ossequio a precise ispirazioni solidaristiche.

449

Ministro degli Interni nell‟ambito del terzo Governo Cavour e del primo Governo Ricasoli, Ministro delle finanze durante il Governo guidato da Luigi Carlo Farini, e successivamente due volte assurto a vertice dell‟Esecutivo dal 24 marzo 1863 al 28 settembre 1864, nonché dal 10 luglio 1873 al 25 marzo 1876.

contrapposti antipodi, il campionario delle possibili soluzioni, dal tenore intermedio, rimaneva ad ogni modo assai ampio. Il tutto, comunque, nella consapevolezza del ruolo precipuo che gli Enti locali sarebbero stati chiamati ad assolvere, quali nuclei di resistenza contro eventuali derive autoritarie, gli stessi costituendo quindi “una forte guarentigia messa in mano ai cittadini contro l‟assorbimento del potere centrale”450

. Ecco dunque che, di lì a poco, ad unità appena proclamata, lo stesso Minghetti presentò al Parlamento quattro disegni di legge in tema di decentramento amministrativo, i cui caposaldi contemplavano: Comuni e Sindaci dal carattere elettivo, il potenziamento delle Province quali Enti autonomi dotati di specifiche competenze, l‟elettorato attivo anche per gli analfabeti che contribuissero alle spese pubbliche mediante pagamento di imposte dirette, nonché la creazione delle Regioni, configurate come consorzi permanenti di Province, parimenti fornite di proprie peculiari attribuzioni451. Tuttavia, il maggiore ostacolo al completo inverarsi di tale progetto non venne da quella certa freddezza che su quell‟ultimo punto Cavour manifestò452

, bensì dalla stessa morte del medesimo, con successivo subentro alla guida dell‟Esecutivo da parte di Bettino Ricasoli453. Costui, centralista convinto, per un verso, impose la propria linea di pensiero anche al Parlamento, il quale rigettò qualsiasi progetto regionale, per l‟altro, predispose conseguentemente le mosse per la progressiva abolizione delle luogotenenze delle Province di Napoli e di Sicilia e del governo delle Province toscane454, così di fatto logorando definitivamente i rapporti con Minghetti, il quale ben presto si dimise dal proprio incarico di Ministro

450

Così, G. SAREDO, Principi di diritto costituzionale, 4 voll., tip. Cavour, Parma, 1862-63, vol. IV, pagg. 173-176.

451

In parte riprendendo un precedente progetto elaborato da Farini e contenuto in un Nota presentata il 13 agosto 1860 alla Commissione temporanea di legislazione presso il Consiglio di Stato – il cui testo è reperibile in C. PETRACCONE, Federalismo e autonomia in Italia

dall‟unità a oggi, Laterza, Bari-Roma, 1995, pagg. 22 ss. – una più ampia disamina

dell‟intervento alle Camere dello stesso Minghetti, in ordine alla presentazione dei suddetti disegni di legge, è reperibile in Discorsi parlamentari di Marco Minghetti, 8 voll., Tipografia della Camera dei Deputati, Roma, 1888-1890, vol. I, pagg. 89 ss.

452

Su un certo scetticismo o ostilità avanzate da Cavour avverso l‟Ente regionale, a fronte invece di una netta apertura circa l‟autogoverno comunale e provinciale, cfr. R. ROMEO,

Cavour e il suo tempo (1854-1861), Laterza, Roma-Bari, 1984, vol. III, pagg. 875-876.

453

I cui due mandati alla guida del Governo si spesero, rispettivamente dal 12 giugno 1861 al 3 marzo 1862 e dal 20 giugno 1866 al 10 aprile 1867.

454

dell‟Interno455. D‟altro canto, già più in generale, non poche angustie alimentavano in quegli anni un certo clima di scetticismo circa possibili scenari di decentramento amministrativo e finanziario: il timore che la questione meridionale, sin da allora particolarmente allarmante, potesse ulteriormente acuirsi; i comportamenti disinvolti, di mala gestione, se non di vero e proprio malaffare, posti in essere dagli amministratori locali, che prosperavano in vaste aree del Paese e che, in un quadro di maggior autonomia accordata a livello periferico, avrebbero probabilmente trovato terreno ancor più fertile per una loro perpetuazione456; il rischio di una sovraesposizione dei ceti meno abbienti ad un mirato inasprimento delle imposte indirette sui consumi, ad opera delle classi più agiate, le uniche al tempo in grado di accedere alle cariche politico- amministrative457. La volontà di rinsaldare i rapporti tra il centro e le periferie, abbracciando in una più ferrea morsa queste ultime al primo, onde altresì evitare, secondo la ragione maggiormente addotta, anche il solo insorgere del minimo dubbio o cimento “che la recente unità dello Stato fosse per essere messa a pericolo”458, fece sì che la legislazione piemontese potesse pienamente dispiegarsi sull‟intero territorio nazionale, così ovunque determinando l‟articolazione del Regno in Province, Circondari, Mandamenti459

e Comuni460.

455

Al dimissionario Minghetti, subentrò, il 1° settembre 1861, lo stesso Ricasoli.

456

La complessa problematica è descritta con dovizia di particolari in L. FRANCHETTI,

Condizioni economiche e amministrative delle province napoletane. Appunti di viaggio, a cura

di A. JANNAZZO, Laterza, Roma-Bari, 1985 (1ª ed. Firenze 1875), nonché in L. FRANCHETTI – S. SONNINO, Inchiesta in Sicilia, introduzione di E. CAVALIERI e nota storica di Z. CIUFFOLETTI, 2 voll., Vallecchi, Firenze, 1974.

457

Cfr. G. MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000), Cedam, Padova, 2001, pag. 26. Si notino inoltre le considerazioni di Giustino Fortunato, secondo il quale, almeno relativamente al Mezzogiorno, “la maggiore libertà sarebbe in pro dei già liberi e una maggiore servitù verrebbe a piegare più in basso le spalle dei miseri”: amplius M.L. SALVADORI, Il

mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Einaudi, Torino, 1960,

pag. 180.

458

Cfr. B. CROCE, Storia d‟Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari, 1928, pag. 46.

459

Circoscrizione amministrativa sovracomunale, intermedia il Circondario e il Comune, assolvente alcune funzioni burocratiche e giudiziarie. Introdotta nel Regno di Sardegna con l‟Editto del Re Vittorio Emanuele I del 7 ottobre 1814, venne successivamente rivista dalla c.d. legge Rattazzi (R.D. 23 ottobre 1859, n. 3702) rimanendo in vigore fino al 1923.

460

Con particolare riferimento alle diverse vicende storiche insistenti su questi ultimi si rinvia anche a G. GRASSO, Cent‟anni (o quasi) di Amministrazione locale: dall‟età giolittiana al

federalismo amministrativo a «Costituzione invariata». I tratti distintivi e l‟evoluzione della forma di governo comunale. Annotazioni introduttive, in M.L. PAGGI (cur.), La Valbormida

Relativamente a questi ultimi, è solo il caso di accennare, che a partire dal 1888 si provvide a sostituire la nomina regia dei Sindaci con primi meccanismi elettivi461. Quanto invece alle prime, non può non menzionarsi la comparsa di una figura di assoluto spessore, quella del prefetto, che gradualmente accrebbe l‟importanza del proprio ruolo in ragione delle crescenti funzioni alla stessa accordate462.

Nell‟ambito di questo nuovo corso impresso al giovane Regno d‟Italia, una delle tappe più significative coincise indubbiamente, a livello erariale, con l‟approvazione della legge n. 1830/1864 con la quale, non solo si provvide all‟introduzione dell‟imposta di ricchezza mobile463

, e a quelle sui terreni e sui fabbricati, ma si badò altresì a rivoluzionarne i criteri di determinazione del reddito imponibile, il quale non veniva più ad essere soggetto a presunzioni, bensì a fondarsi su apposita dichiarazione da rendersi nel proprio Comune di residenza.

Sull‟altro fronte, invece, grazie all‟entrata in vigore della legge n. 2248/1865464 , si operò una prima razionalizzazione dell‟ordinamento della finanza locale, conferendo allo stesso una maggiore organicità e rilevanza, rispetto a ciò che i vari sistemi tributari degli Stati preunitari avevano, sino a quel punto, potuto vantare465. La derivante configurazione di tale rinnovato ordinamento prevedeva, sul lato delle uscite, la distinzione delle spese in obbligatorie e facoltative; su

nel Novecento. Atti del Convegno: “Gallo e la Valle del suo tempo”, tenuto a Cairo Montenotte il 19 dicembre 1998, Edito dal Comune di Cairo Montenotte, Savona, 1999, pagg. 157 ss.

461

Con legge risalente al 30 dicembre 1888 divennero dapprima elettivi i Sindaci dei capoluoghi di Provincia o Circondario, nonché di quei Comuni sopra i 10.000 abitanti. Il carattere elettivo del Sindaco si estese successivamente a tutti i Comuni mediante legge 29 luglio 1896, n. 346.

462

Posti a capo delle 59 Province allora esistenti (mentre a capo dei 193 Circondari erano sottoprefetti), i prefetti, quali rappresentanti generali del governo, erano investiti di funzioni che permeavano in profondità la generale vita dei propri consociati. Le loro attribuzioni spaziavano, infatti, dalla tutela dell‟ordine pubblico, alla disponibilità delle forze di pubblica sicurezza, dalla direzione degli organismi sanitari provinciali, al controllo sull‟attività degli Enti locali, dalla scuola, ai lavori pubblici, etc.

463

Quale primo prelievo sui redditi, che incideva proporzionalmente, con aliquota dell‟8%, sul reddito dichiarato.

464

Si vedano, in particolare, gli artt. 116, 117, 118, 119 e 173 dell‟all. A della predetta legge 20 marzo 1865, n. 2248.

465

Sul complessivo quadro riferibile al tempo degli Stati preunitari, si rimanda a A. PETRACCHI, Origini dell‟ordinamento comunale e provinciale italiano. Storia della

legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell'antico regime al chiudersi dell'età cavouriana (1770-1861), III, Neri Pozza Ed., Venezia, 1962, pagg. 186 ss.

quello delle entrate, la discriminazione tra risorse di matrice patrimoniale, ovvero tributaria, con il vincolo, per quanto atteneva a queste ultime, di poter essere istituite solo allorquando le prime non fossero risultate sufficienti all‟integrale copertura degli impegni assunti.

Ciò detto, occorre rilevare come fin da subito si pose il quesito se, e in che misura, concepire un sistema finanziario periferico sensibilmente affrancato da quello centrale. Va quindi notato come, conformemente alle scelte già in precedenza poste in essere a livello istituzionale – ossia assecondando quei moti centripeti precipuamente volti a minimizzare il rischio afferente all‟insinuarsi di qualsiasi spinta disgregatrice che potesse anche solo potenzialmente minare l‟unità appena acquisita – ogni desiderio di autonomia venne in larga misura sopito. Si propese pertanto per una finanza locale fondata non già su robuste scelte autodeterminative liberamente operabili da Comuni e Province, bensì su di un forte ancoraggio che i rispettivi sistemi finanziari dovevano scontare nei confronti di quello erariale.

Più in particolare, relativamente ai Comuni, è dato osservare come – al di là di alcuni modesti tributi autonomi466, ovvero della possibilità di istituire dazi di consumo467 entro i soli limiti legislativamente consentiti468 – una parte assolutamente cospicua delle risorse agli stessi riferibili provenisse dall‟applicazione di sovraimposte agganciabili, tanto alle imposte statali vertenti sulla ricchezza mobile, sui terreni e sui fabbricati, quanto alle tasse o dazi interni, parimenti statali469, aventi ad oggetto alcuni beni di consumo470.

Per quel che invece riguardava le Province, il quadro era ben facile da tracciarsi: per esse parlava, infatti, l‟art. 173 della precitata legge n. 2248/1865, il quale esplicitamente prescriveva che “in caso di insufficienza delle rendite e delle

466

Il riferimento corre, ad esempio, alla tassa per l‟occupazione di aree pubbliche, oppure alle imposte sui cani e sulle bestie da tiro, da sella e da soma.

467I quali integravano quelli governativi.

468

L‟argine a siffatta forma di tassazione era contemplato dalla stessa legge n. 2248/1865, al fine di evitare che a sopportarne oltremisura il peso fossero le classi sociali meno abbienti.

469

Ai Comuni era accordata la possibilità di interagire con essi, integrando i medesimi con quote addizionali non superiori ai due quinti di quelli statali, potendo altresì esigere un dazio speciale sui commestibili ed altre materie previamente individuate dalla legge.

470

entrate si supplirà con centesimi addizionali sulle imposte dirette e con le rendite che saranno dalle leggi consentite”.

Anche da quanto appena detto a proposito delle Province, risulta quindi di agevole apprezzamento come il complessivo sistema finanziario così concepito presentasse l‟indubbio pregio di presentarsi semplice e razionale471, sebbene sensibilmente sbilanciato in favore del soggetto statale.

Quanto a quest‟ultimo aspetto, l‟intento sotteso a tale opzione, oltre a rispondere a logiche preordinate, come visto, alla preservazione dell‟unità acquisita, si faceva altresì portatore di una precisa volontà politica, consistente nel pervenire al pareggio di bilancio nel più breve tempo possibile, attraverso un‟unica ed omogenea azione intrapresa dallo Stato. Figlie di tali propositi erano così alcune misure, come quelle adottate tra il 1866 ed il 1869, con le quali si previde che i redditi derivanti dai titoli del debito pubblico, ovvero quelli di lavoro erogati dallo Stato e da Province e Comuni, o, ancora, quelli elargiti da enti morali o dalle società fossero tassati alla fonte e, come tali, distolti dai ruoli del tributo di ricchezza mobile con conseguentemente indisponibilità, per gli Enti locali, di potervi agganciare corrispondenti sovraimposte e goderne, in tal modo, del relativo gettito. Dacché, le negative ripercussioni sulla finanza locale, soprattutto su quella comunale, spinsero lo Stato ad adottare alcuni interventi, non sempre privi di contraddizioni, orientati a trovare meccanismi di finanziamento alternativi, e dal carattere in qualche modo compensativo, rispetto ai minori introiti che le Istituzioni periferiche erano venute progressivamente a subire. A più riprese, provvedimenti legislativi autorizzarono così i Comuni a istituire nuovi tributi, quali l‟imposta sul valore locativo472, la tassa di famiglia e quella

471

Rivolti ad esso, non equivoci elogi, sono, tra gli altri, promossi da A. BERNARDINO,

Lineamenti storici del problema della finanza locale in Italia, in AA.VV., Finanza pubblica contemporanea. Studi in onore di J. Tivaroni, Laterza, Bari, 1950, pag. 30 e da C. COSCIANI, Le imposte immobiliari nella finanza locale in Italia (1934), in Scritti scelti di finanza pubblica,

Cedam, Padova, 1983, pag. 29.

472

sul bestiame473, le tasse di esercizio e di rivendita, quelle di licenza, nonché quelle sulle vetture e sui domestici474.

Tuttavia, come appena accennato, non tutti gli interventi mossero in questa direzione: nel 1870 il Parlamento dispose l‟abolizione delle prerogativa comunale e provinciale di sovraimporre i redditi riconducibili all‟imposta di ricchezza mobile475; nel 1874, sempre le Province venivano poi spogliate anche del potere, loro accordato sol quattro anni prima, di disporre dei centesimi ritraibili dalle addizionali sui fabbricati476.

Al di là delle misure testé citate era evidente che il prioritario intento perseguito dall‟Esecutivo presieduto da Minghetti fosse quello, come detto, di ristabilire l‟ordine dei conti pubblici477 e gli strumenti per perseguire tale obiettivo consistessero: in un irrobustimento della capacità impositiva dello Stato; in una riconversione di quella locale, con graduale introduzione del principio della separazione dei cespiti tassabili e conseguente dissociazione delle basi imponibili oggetto delle due esazioni; in un contenimento, o comunque controllo, dei capitoli di spesa dei vari Enti locali478.

L‟obiettivo, in effetti, fu colto: lo schieramento politico che assunse il governo del Paese dall‟Unità d‟Italia per oltre quindici anni, identificato come “destra storica”, nondimeno provvedendo all‟istituzione di ulteriori imposte, tra le quali

473

Risalenti al 1868.

474

Risalenti al 1870. Per una maggiore ricognizione e disamina sul complesso dei tributi comunali si rinvia a G.B. CERESETO, Commento alle leggi sulle imposte comunali, 3 voll., Utet, Torino, 1885, 1889 e 1891.

475

Cfr. art. 1, all. N, della legge 11 agosto 1870, n. 5784. Il tutto avvenne non senza ampio dibattito parlamentare, in ragione delle evidenti negative ripercussioni che tale provvedimento avrebbe cagionato in termini di autonomia finanziaria in seno agli Enti locali.

476

Cfr. legge 14 giugno 1874, n. 1961, alla cui travagliata approvazione (144 voti a favore, 142 contrari), e successiva applicazione, conseguì la sottrazione di 7 milioni alle Province.

477

Come rilevato da G. MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000), cit., pag. 20, richiamando alcuni interventi contemplati dagli artt. 1, 9 e 10 della legge 14 giugno 1874, n. 1971, “sarebbe ingiusto sottolineare ancora una volta solo la voracità dello Stato e ironizzare sul fatto che, per rimediare al danno per le autonomie, si accordò ai Comuni la facoltà di imporre … una tassa di bollo sulle fotografie e di colpire le insegne dei negozi specialmente se portanti iscrizioni in lingua straniera”.

478

Al 1874 risale infatti il primo tentativo parlamentare di porre in essere una compiuta analisi degli oneri riconducibili a Comuni e Province. In quella sede si stabilì che le spese facoltative dovessero avere carattere di pubblica utilità, in caso contrario necessitando dell‟approvazione da parte dei due terzi dei componenti

non può non menzionarsi quella storica sul macinato479, raggiunse nel 1875 il pareggio di bilancio proprio sotto la guida di Minghetti.

Nel frattempo si era però assistito ad un progressivo depauperamento delle finanze locali, laddove ai sensibili tagli ai regimi delle sovraimposte ai tributi erariali non era corrisposto un adeguato sforzo compensativo da parte degli Enti periferici. In particolare, era largamente registrabile come la via della possibile istituzione (legislativamente autorizzata) di propri tributi non fosse stata affatto sufficientemente battuta, le Istituzioni locali essendo probabilmente consce dello scarso gettito dagli stessi ritraibile480, ovvero essendo forse e semplicemente maggiormente interessate a non assumere misure che in qualche modo potessero suscitare un senso di avversione e impopolarità presso i propri consociati, piuttosto che ad intraprendere percorsi di risanamento dei propri conti481.

Anche i governi della “sinistra storica”, a partire dal 1876 con il Governo di Agostino Depetris, cercarono di affrontare il problema del decentramento amministrativo e dell‟imposizione fiscale erariale e locale.

Quanto al primo, vero e proprio cavallo di battaglia storico di tale orientamento politico482, non può non ravvisarsi come i vari progetti di riforma483 incontrarono, fin da subito, enormi difficoltà di effettiva concretazione, le stesse parendo di volta in volta riconducibili, in parte alla grande eterogeneità della coalizione che

479

Istituita il 7 luglio 1868 ed entrata in vigore il 1° gennaio dell‟anno seguente.

480

Cfr. A. CONIGLIANI, La riforma della legge sui tributi locali, tip. Solari, Modena, 1898, pag. 151.

481

Sul punto di osservi L. NINA, Tributi locali in AA.VV., Il digesto italiano, vol. XXIII, Utet, Torino, 1926, pag. 691, che, a proposito delle sovraimposte, ebbe giustamente a rilevare come la preferenza degli Enti locali per le stesse dipendesse dal fatto che “formando un tutt‟uno con le relative imposte, venivano dalla maggior parte dei contribuenti attribuite all‟azione dello Stato e non provocavano malcontento contro i dirigenti dell‟amministrazione locale, lieti di non affrontare l‟impopolarità”.

482

Emblematico, a tal proposito un passaggio di Umberto Rattazzi, allora impegnato alla guida del suo secondo Governo (dal 10 aprile 1867 al 27 ottobre 1867) in uno dei suoi discorsi alla Camera: “Noi chiediamo lo scentramento pieno e assoluto, quel vero scentramento che consiste nel togliere ogni ingerenza al Governo nell‟amministrazione dei Comuni e delle Province dando loro piena e vera autonomia”. In questi termini, U. RATTAZZI, nel corso della seduta del 19 luglio 1867 alla Camera, in Discorsi parlamentari, 7 voll., Eredi Botta, Roma, 1877-86, vol. VII, pag. 92.

483

Su tutti, quello afferente al riordino amministrativo delle Province e dei Comuni, presentato il 17 dicembre 1876, il quale prevedeva, tra le più importanti innovazioni, la carica elettiva dei Sindaci, l‟estensione del diritto di voto alle donne, ed una sensibile contrazione del censo elettorale, fissato a 5 lire per tutti i Comuni, a fronte delle 25 lire che sino ad allora occorrevano invece per quelli con più di sessantamila abitanti.

sosteneva l‟Esecutivo484, in parte a linee di pensiero dissenzienti all‟interno dello