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De-spazializzazione e ri-spazializzazione della politica

La costruzione dello Stato moderno che dà origine alla strutturazione delle distanze nella sfera politica va inscritta, come visto, in un più generale processo di sviluppo politico che caratterizza l’insieme dei cambiamenti che hanno portato alla modernizzazione delle società.

Ad ogni fase della vita sociale corrispondono necessariamente delle coordinate spaziali. Così la modernizzazione politica può essere letta come un possente sforzo di rispazializzazione mirato a determinare degli spazi pacificati e distinguibili che prendono il nome di Stato-nazione, ad individuarne i confini e l’organizzazione interna, e a definirne la cultura dominante. Le società moderne assumono in tal modo i caratteri di uno spazio fisico, geometrico, unidimensionale in cui ogni realtà politica è chiusa, autonoma, autoreferenziale e sovrana sul proprio territorio. La definizione dei centri e delle periferie del potere politico e delle relative distanze appare, nell’ordinamento politico statuale formatosi attraverso il processo di modernizzazione, piuttosto agevole e operabile attraverso le categorie presentate da Diane Davis, almeno lungo tutto il periodo storico di maggior fulgore dello Stato, iniziato nel dopoguerra del 1945 fino alla

41 Rokkan aveva già individuato il peso dei fattori culturali nella frattura strutturale centro/periferia. Ricordiamo come per Rokkan le fratture sono delle opposizioni permanenti (cleavages) tra i diversi settori della popolazione che, combinandosi in maniera diversa, e sulla base dell’azione mediatrice dell’evoluzione istituzionale di ciascun Paese, danno luogo a differenti configurazioni del sistema politico e del sistema dei partiti.

conclusione del secolo e del millennio – con il 1989 come data fatidica e l’11 settembre 2001 come suggello simbolico (Magatti, 2006).

Questo periodo si è ora concluso ponendoci la necessità di ripensare in modo nuovo gli spazi e le distanze della vita sociale e della politica.

L’accelerazione dei mutamenti di fronte ai quali ci troviamo nell’epoca attuale ha spinto alcuni autori a teorizzare la fine della modernità e l’inizio di una nuova era, definita post-modernità. Non tutti però sono concordi con questa interpretazione. I processi di cambiamento sociale, economico, politico e culturale riassunti nel termine “globalizzazione” sono infatti intesi da alcuni come espressione radicale e non come superamento della modernità.

Al di là della disputa tra i fautori di una “post” e quelli di una “tarda” modernità ciò che è necessario rilevare è che il processo di globalizzazione, con il suo portato di cambiamenti sistemico-strutturali e soggettivi, comporta una ristrutturazione dello spazio-tempo all’interno del quale individui e gruppi conducono la loro esistenza, ristrutturazione che produce, secondo molti, un processo di disembedding, cioè una distanziazione spazio-temporale riguardante l’intersezione di presenza e assenza, l’interdipendenza tra eventi sociali e relazioni sociali a distanza con contestualità locali (Giddens, 2001), e la demolizione della spazializzazione della vita sociale imposta dagli Stati nazionali (Harvey, 1993). Scrive Bauman:

“Lo spazio è il sedimento del tempo necessario per annullarlo, e quando la velocità del movimento del capitale e dell’informazione eguaglia quella del segnale elettronico, l’annullamento della distanza è praticamente istantaneo e lo spazio perde la sua materialità” (2000, p. 124). In realtà, alla possibilità di superamento dei vincoli spaziali non corrisponde una totale irrilevanza della categoria dello spazio, ovvero al processo di despazializzazione prodotto dalla globalizzazione segue un intenso processo di ri-spazializzazione (o di re-embedding) lungo una molteplicità di linee non univoche che vanno a definire le nuove distanze spaziali e sociali. Rispetto alle geometrie spaziali della modernità e dello Stato – che ne è la sua incarnazione politica – la rispazializzazione della globalità introduce degli elementi nuovi che vanno in direzione inversa rispetto a quelli della modernità: il senso del limite e dell’interdipendenza contro l’idea moderna della conquista e dell’esistenza di un <altrove> da conoscere e dominare; la logica dell’ <a-spazialità> come possibilità delle relazioni sociali, amicali, politiche, economiche di prescindere dallo spazio fisico e dai legami col territorio (esempi immediati di questa logica sono il mercato finanziario, ma anche la rete internet); le nuove possibilità di connessione e mobilità,

sia fisica che simbolica, che attraverso flussi e network contribuiscono al superamento dei confini tradizionali e alla ricomposizione di nuove configurazioni spaziali42.

Questi nuovi vettori di spazializzazione fanno sì che la vita contemporanea si svolga entro una geografia spesso diversa da quella che caratterizzava le cartine delle società moderne. Riprendendo e arricchendo un contributo di Appadurai, Magatti (2006) distingue sette paesaggi, delineati dai flussi e dai network entro cui la vita contemporanea ha luogo. Si tratta di paesaggi: umani; delle merci; tecnologici e infrastrutturali; finanziari; mediatici e informativi; politici e religiosi; militari, criminali e terroristici43. Se considerati dal punto di vista della direzione, della velocità e dell’intensità dei flussi che li costituiscono, i paesaggi della globalità sono tra loro molto differenti. Ad esempio i flussi finanziari sono estremamente rapidi, mentre i flussi di persone sono lenti e difficoltosi; alcuni flussi coprono l’intero globo, mentre altri interessano solo alcune parti; ci sono flussi che vanno da Nord a Sud, ed altri che vanno da Sud a Nord, e così via, secondo processi guidati da logiche plurime e che si sovrappongono.

Proprio l’eterogeneità e la complessità della nuova geografia globale provoca delle fratture, delle tensioni e dei tentativi di aggiustamento che sono alla base di molti dei conflitti contemporanei44. Inoltre, dietro ai flussi stanno degli attori sociali con differenti potenziali di azione e possibilità di accesso alle risorse che consentono la mobilità fisica e simbolica. Ciò significa che non tutti gli individui sono in grado di sottrarsi ai vincoli posti dai luoghi fisici. Anzi, sono proprio la capacità di superare i limiti dello spazio fisico e la possibilità di influenzare la dinamica dei flussi a disegnare oggi le nuove mappe del potere, e a rappresentare dei nuovi criteri di distanziazione e stratificazione sociale (Bauman, 2000).

Poiché i nuovi paesaggi non sono necessariamente legati al territorio, lo spazio sociale cessa di corrispondere pienamente ed inequivocabilmente con lo spazio fisico-territoriale dello Stato. Gli spazi sociali, infatti, possono essere discontinui, macchie, strisce o reti disposte in maniera diversificata nel globo, difficilmente corrispondenti al sistema compatto degli Stati tipico della Modernità. In più, l’intreccio dei differenti paesaggi determina una rigerarchizzazione dello spazio locale sulla base dei tipi di flussi da cui i paesaggi sono costituiti.

I complessi e spesso contraddittori processi di rispazializzazione appena presentati producono degli effetti non indifferenti sulla politica, sui suoi spazi e sulle distanze che si scompongono e ricompongono al suo interno. In particolare, di immediata lettura appare la crisi della politica degli Stati e delle società nazionali. Non che questo comporti la fine dell’ordinamento statuale. Anzi,

42 Questi tre elementi individuano dei processi che Magatti (2004) definisce come “globalità”, “a-

spazialità” e “reticolarità”.

43 Per la ricostruzione della logica e della forma dei paesaggi della globalità rimandiamo a Magatti (2006). 44Appadurai (2001) parla a questo proposito di “disgiunture”.

abbiamo visto come a tutt’oggi l’unità politica principale rimanga ancora lo Stato con le sue molteplici articolazioni. Ciò nonostante è evidente che le tradizionali capacità regolative ed ermeneutiche45 delle istituzioni siano fortemente indebolite al punto da creare una forte distanza, o come viene a volte definita, una “sconnessione” tra autorità politica e spazio sociale (Giaccardi, Magatti, 2001).

Se le sfere della cultura e dell’economia si ristrutturano, esse lo fanno in maniera sempre più autonoma e sganciata dal governo delle istituzioni politiche statuali, tanto da produrre un deficit istituzionale e regolativo. Il potere politico-amministrativo, infatti, non riesce più ad avere il pieno controllo sui processi e sugli attori in campo, e la politica trova una difficoltà sempre maggiore a porsi come intermediario tra l’ambiente e i singoli individui. Tutto ciò comporta, inoltre, una crisi di democrazia, indebolendo il nesso tra demos, territorio e sedi della decisione politica (Magatti, 2006).

Sul piano generale, la rispazializzazione dell’epoca odierna e la crisi istituzionale della politica statuale fa registrare almeno tre dinamiche, ognuna direttamente o indirettamente pregna di conseguenze per la strutturazione della distanza sociale, e della distanza nella sfera politica. Innanzi tutto, sebbene già emersa con chiarezza a partire dagli anni Sessanta del XX sec., la centralità dell’esperienza soggettiva rispetto ai vincoli e agli oneri istituzionali viene esaltata e diventa radicale con la crisi strutturale delle istituzioni. Cresce l’aspirazione all’autorealizzazione e il desiderio di avere uno spazio di vita autonomo. Ciò può risolversi in atteggiamenti di mero consumismo, o può dar luogo a comportamenti partecipativi che coinvolgono ogni individuo in attività che non richiedono più un impegno tradizionale ma con una forte traccia di soggettività (associazionismo, volontariato, ecc.). Per altro verso, l’aumento della soggettività genera la “solitudine del cittadino globale” costretto a confrontarsi da solo, con le proprie risorse, con un mondo che non è più del tutto organizzato e sensato, così come era nelle società moderne a carattere statuale (Bauman, 2000). È in questo modo che il peso della dimensione soggettiva assume un’importanza sempre maggiore nella determinazione del senso dell’azione sociale e nella costruzione delle distanze sociali tra individui o gruppi della società e della politica.

Una seconda dinamica indotta dalla crisi istituzionale e dai processi di rispazializzazione globale riguarda la frammentazione e la volatilità delle identità culturali. Nelle società nazionali e nelle comunità locali vi era un forte legame tra individuo, territorio e cultura, e l’appartenenza a mondi organizzati e istituzionalizzati (la famiglia, l’occupazione, la nazione, ecc.) dava senso e identità

45 La funzione regolativa delle istituzioni nazionali indica la capacità di queste ultime di regolare i

rapporti, risolvere i conflitti, decidere sulla distribuzione delle risorse. La funzione ermeneutica si riferisce, invece, alla loro capacità di dare senso alla realtà sociale, al tempo, alla storia, di offrire, in altri termini, una comune visione del mondo.

alla vita di ciascun individuo. L’indebolimento dei mondi istituzionalizzati, la ridefinizione degli spazi biografici oltre i confini territoriali, rendono difficoltoso per i cittadini globali l’individuazione di riferimenti culturali certi, non-precari, finendo col proiettarli in un universo culturale totalizzante, una sorta di magma, quello “spazio estetico” definito da Bauman in cui c’è di tutto, a cui ogni individuo accede direttamente, senza organizzarsi, senza radicarsi.

Infine, un’enorme importanza per la nostra ricerca ricopre l’ultima dinamica prodotta dalla rispazializzazione globale e dalla deistituzionalizzazione. Essa vede un indebolimento sempre maggiore dei legami sociali e un aumento delle disuguaglianze e delle differenze sociali, ovvero delle distanze sociali. E d’altra parte non potrebbe essere altrimenti: se le rispazializzazione sono multiple, contraddittorie e complesse ne deriva un inevitabile aumento della disomogeneità sociale e culturale, che si muove, come osservato, lungo linee e piani diversi da quelli più statici e prevedibili della modernità.

Tutti questi cambiamenti se da un lato producono una drastica riduzione della fiducia nella capacità regolativa dello Stato e un conseguente aumento – trasversale e generalizzato – della distanza dei cittadini dalla politica e dalla sua sfera di interessi46, per altro verso sembrano generare una nuova domanda politica, seppure latente, parziale e spesso ambivalente. Alla politica si chiede di regolare le contraddizioni poste dalla globalizzazione, si chiede di risolvere i problemi e di offrire delle certezze, di costruire degli spazi e delle prospettive di vita sicura. Nel mentre si registra una chiara tendenza alla distanziazione della sfera sociale dalla politica (e della politica dalla sfera sociale) , dunque, la porta tra i due mondi non si chiude: i cittadini hanno un bisogno di politica – così come la politica non può fare a meno dei cittadini. Da molte parti gli individui e i gruppi sociali chiedono che il governo della cosa pubblica si riavvicini alla loro vita quotidiana. Ma se tra le tendenze all’allontanamento e quelle all’avvicinamento ce n’è una che prevale sull’altra non è dato saperlo in maniera certa e generalizzante, e soprattutto, in un mondo dalla differenziazione così complessa, la scomposizione e ricomposizione delle relazioni sociali e politiche non segue un’unica direzione assumendo piuttosto caratteristiche particolari e specifiche in ciascun contesto sociale.