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La ricostruzione post-terremoto: nuove distanze, nuove élites

4.2 Messina: una storia millenaria di luci e ombre

4.2.4 La ricostruzione post-terremoto: nuove distanze, nuove élites

Dal 1909 inizia la ricostruzione della città, che la ferrea volontà degli abitanti superstiti vuole sullo stesso sito su cui si era consumata la tragedia, cioè sullo stesso luogo che custodisce, sin dalle origini, l’identità messinese. La ricostruzione, in verità, sarà molto lenta e avrà un impulso decisivo solo con il governo fascista, a partire dagli anni ’20. In questa lunga fase, tuttavia, emergono i nuovi poteri economici e politici e si ricompongono le distanze sociali.

All’ingegnere Borzì viene affidato, nel 1909, il compito di redigere il piano urbanistico post- terremoto. L’espansione dei confini comunali, iniziata già prima della catastrofe, trova ora piena attuazione: Messina si ingrandisce, estendendo il suo territorio verso Nord e Sud, includendo anche i villaggi delle colline peloritane.

Anticipando di alcuni decenni la politica di sostegno a favore del Mezzogiorno (realizzata nel secondo dopoguerra), in occasione della ricostruzione dell’area dello Stretto lo Stato italiano prevede una lunga serie di misure assistenziali: l’esenzione dalle imposte, i contributi straordinari agli Enti locali, nonché cospicui finanziamenti pubblici orientati dal centro verso la periferia. Una tale azione statale ha come effetto il ridisegnarsi del profilo delle élites politiche locali e dei rapporti tra economia e politica. Dal territorio della provincia, così come dal Nord d’Italia, diversi imprenditori si trasferiscono a Messina, investendo nell’attività della ricostruzione edilizia82. Anche le poche personalità cittadine scampate alla catastrofe, che avevano fino a quel momento animato la vita economica messinese con attività industriali o commerciali, abbandonano questi settori per dedicarsi all’attività edilizia. I meccanismi attraverso cui si compie la ricostruzione urbana disegnano i punti centrali attorno ai quali si riaggregano i poteri sociali.

Una descrizione dettagliata di questi processi ci proviene dall’attenta analisi di Nella Ginatempo (1976), la quale dimostra come le scelte urbanistiche della fase di ricostruzione abbiano rifornito di ingenti risorse le future classi dirigenti della società messinese. All’indomani del terremoto, infatti, si costituisce un consorzio di proprietari danneggiati, con l’obiettivo di concedere mutui

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Secondo Gambi tutto il ripopolamento di Messina avviene ad opera “di famiglie provenienti dai comuni rurali delle aree prossime (fino a un raggio di un centinaio di chilometri) e di mediocri impresari e trafficanti provenienti da regioni settentrionali” . Ciò produce un inurbamento di una società priva di esperienze mercantili e di notevoli risorse finanziare, e spesso invischiata in tradizioni rurali (Gambi, 1960 cit. in Campione, 1988).

ammortizzabili in trent’anni, garantiti e convenzionati con lo Stato. Secondo le regole stabilite, per accedere ai mutui è necessario dimostrare di aver subito la perdita di una casa di proprietà e di avere un reddito, a garanzia del pagamento del finanziamento concesso. Questo sistema esclude, quindi, dal diritto alla casa tutti coloro che prima del terremoto non avevano una casa propria o che non riescono a dimostrarne ora la proprietà. Stesso destino tocca a coloro che con la catastrofe hanno perso ogni fonte di reddito sicura e che, di conseguenza, non hanno ora la possibilità di impegnarsi a pagare un mutuo trentennale. È previsto, inoltre, che i mutui siano proporzionali al danno subito, scelta che favorisce ancora i proprietari più grossi. A nulla valgono le proteste della popolazione: dopo una legge del 1910 che affida i compiti della ricostruzione a un ente pubblico, una legge dell’anno dopo capovolge di nuovo la situazione, a vantaggio dei grandi proprietari privati. Nella direzione di rafforzare la posizione delle già potenti élites politiche ed economiche interviene anche la decisione di rendere i diritti a mutuo commerciabili, cosicché in poco tempo lo Stato, la Chiesa e poche ricche famiglie della zona, riuscendo a captare gli imponenti flussi di spesa pubblica destinati alle zone terremotate, acquistano gran parte dei terreni edificabili. Si costituiscono numerose così società edilizie che per durante gli anni Venti, anche grazie agli interventi promossi dal governo fascista, usufruiscono dei finanziamenti statali e riescono a ricostruire Messina quasi totalmente. In questo periodo, un ruolo di rilievo è ricoperto dal giovane vescovo della città, Mons. Paino, il quale, grazie alla sua amicizia personale con Mussolini, ottiene alcuni provvedimenti legislativi che sospendono la commerciabilità dei diritti a mutuo, tranne che per la curia. Ciò consente, da un lato, alla Chiesa messinese di ottenere vantaggi cospicui in termini di patrimonio immobiliare e di potere cittadino – in poco tempo vengono edificati nella città numerose chiese, tra cui anche il Duomo, e molti istituti di beneficenza gestiti direttamente o indirettamente – dall’altro, al governo fascista di rafforzare la sua penetrazione nella città e di estendere le basi di consenso, cosa che non era riuscito a fare includendo nelle fila fasciste personalità politiche locali di origine liberale (Barone, 1982).

Questa ricostruzione delle scelte e delle decisioni post-terremoto mostra il profilo della nuova classe dirigente messinese: si tratta di “una classe che dallo scuotimento della terra sembra aver imparato la capacità di non legarsi a un luogo che può sortire queste tragiche sorprese, ma che ne ha fatto oggetto della propria tensione affaristica, senza alcuna preoccupazione legata al suo reale sviluppo sociale, economico e culturale” (Musolino, Perna, 2007). Una classe aggregata intorno agli interessi delle operazioni immobiliari e delle speculazioni edilizie che andranno avanti nei decenni successivi, tra gli alti e bassi del mercato nazionale e locale. Essa troverà, naturalmente, un nuovo slancio nel secondo dopoguerra. Messina, infatti, per la sua posizione strategica e per la flotta presente nel porto, durante la Seconda guerra mondiale viene colpita

ripetutamente dai bombardamenti aerei e necessita ancora una volta di sforzi e investimenti nella ricostruzione. Cosa questo comporti in termini di dinamiche sociali, di trasformazioni del tessuto economico e di sviluppo urbano della città lo vedremo presto. Intanto, soffermiamoci ancora sui caratteri delle élites di potere che nei decenni successivi alla ricostruzione post-terremoto hanno guidato il governo della società messinese.

La classe dirigente peloritana, osserva la Ginatempo (1976), ha forti legami di parentela al suo interno. Essa riesce, attraverso i suoi legami politici, economici e sociali – soprattutto su base clientelare – a riprodursi nel tempo, attraverso le trasformazioni sociali, cavalcando il cambiamento che avviene nei mercati economici e nei governi politici centrali, secondo un meccanismo che è comune ad altre città del Mezzogiorno (Costabile, 1996). La costituzione di un’élite politica cittadina, il cui potere ruota intorno alle attività speculative immobiliari, procede di pari passo con la terziarizzazione dell’economia urbana messinese, per molti versi incoraggiata, se non addirittura causata, dalle scelte della stessa élite locale, d’intesa con le leadership di partito e la classe di governo nazionale. Ancora per tutti gli agli anni Cinquanta e Sessanta, Messina dà segnali di vivacità economica e culturale, facendo intravedere grandi potenzialità di crescita, grazie alla ripresa di alcune attività industriali e alla consistente urbanizzazione, ma anche per il ruolo di spicco dell’Università e per l’organizzazione di eventi politici che hanno il merito di restituire la città dello Stretto alle attenzioni politiche nazionali e internazionali. Ci riferiamo, alla Conferenza internazionale svoltasi a Messina nel 1955 e organizzata dal Ministro degli Esteri, il liberale Gaetano Martino (messinese di nascita), che porta alla firma della “Risoluzione di Messina”, con la quale si gettano le basi per la costituzione della Comunità Europea. Purtroppo, negli anni successivi Messina non sa trarre vantaggio dalle iniziative avviate. Da un lato, la crisi che colpisce a livello internazionale il settore industriale non risparmia le attività produttive messinesi, spingendo verso il crollo dell’industria agrumaria, della cantieristica navale e del commercio marittimo, e verso la definitiva dispersione delle già ridotte classi borghesi liberali, per lungo tempo protagoniste dell’economia della città e che ora emigrano o investono in settori non-produttivi. Dall’altro lato, la politica di sostegno allo sviluppo avviata dallo Stato italiano per promuovere la crescita delle regioni meridionali, puntando sull’innalzamento delle capacità di reddito attraverso trasferimenti monetari diffusi, sancisce definitivamente la trasformazione in senso terziario dell’economia messinese. Negli anni Settanta si porta a compimento il processo che vede l’affermazione di una classe dirigente improduttiva, la quale

gestendo gli ingenti flussi di denaro pubblico e manovrando il mercato delle occupazioni83 e dell’assistenza, per un verso continua ad arricchirsi e a consolidare il suo potere, per altro verso si radica nella società attraverso la costituzione di reti clientelari che, attraverso lo scambio politico, consentono il mantenimento delle disuguaglianze esistenti e, al contempo, la stabilità del sistema sociale e politico locale.

Ancora una volta, l’analisi della Ginatempo ci ritorna utile per capire come si compone in questi anni l’élite del potere. Parliamo di “élite” al singolare proprio per sottolineare come, in questo periodo, a Messina le classi dirigenti dell’economia, della politica e della società in generale sono così compatte e intrecciate da apparire un tutt’uno, senza significative distinzioni interne.

Innanzitutto, il vertice della struttura sociale messinese è costituito dalla classe politica che è anche “classe edilizia”. L’identificazione tra esponenti dell’edilizia ed esponenti del potere politico è a volte diretta – costruttori e membri della commissione edilizia, dell’Ufficio tecnico o altre figure che ricoprono cariche comunali – a volte è fondata su legami di parentela tra imprenditori edilizi e funzionari comunali, altre volte, infine, è basata sui legami politici intessuti nella D.C., partito che dagli anni Cinquanta e per tutta la Prima Repubblica governa incontrastato la città dello Stretto. Ai vertici della società si collocano così: alcuni imprenditori, grandi commercianti, gli spedizionieri, alti burocrati, magistrati, alcuni professori universitari che sono anche affermati professionisti (tra cui spiccano i notai, i medici e gli avvocati), tutti più o meno legati ai poteri immobiliari e agli interessi della rendita. Il potere di questa classe dirigente è molto forte e ramificato e può contare su legami con le leadership nazionali, su strumenti di controllo politico e sociale e su relazioni clientelari diffuse e radicate. Proprio per i fattori sui quali basa la sua forza, la classe politica messinese non risulta chiusa ed inavvicinabile, ma all’occasione sa aprirsi e attivare canali di mobilità attraverso le clientele.

Purtroppo, alla ricerca della Ginatempo non seguono negli anni successivi altri studi organici sull’élite della città dello Stretto. Viene a mancare così la base scientifica che ci consente di dar conto delle trasformazioni della classe politica messinese dagli anni Ottanta fino ai giorni nostri. Tuttavia, la stampa e il mondo dell’informazione, così come le inchieste giudiziarie più eclatanti, sembrano sottolineare che, nonostante la crisi dei partiti tradizionali e le trasformazioni del sistema politico locale (seguite agli scandali di Tangentopoli e alle riforme istituzionali avviate negli anni Novanta), accanto a molti fattori di cambiamento continuano a persistere nella società e nella politica messinese alcune costanti già emerse negli anni Settanta. In particolare, i legami

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L’impiego negli enti pubblici statali, nelle amministrazioni locali, nella sanità, nelle organizzazioni sindacali e di partito, nonché, ancora una volta, nelle imprese edilizie e nel loro indotto commerciale, e così via.

stretti e particolaristici tra i vertici della politica, quelli dell’economia (concentra intorno alla sfera pubblica e alle libere professioni) e della cultura (i cui interessi si coagulano intorno all’Università). Da recenti indagini della Magistratura, inoltre, emerge anche l’esistenza di relazioni di affari tra alcuni potentati locali e la criminalità organizzata autoctona o di provenienza calabrese o catanese. Esempio emblematico di questo stato di cose è rappresentato dal famoso “Caso Messina”84 che ha portato alla luce la presenza del malaffare anche in ambienti insospettabili: l’Università, il Palazzo di Giustizia, il Policlinico. Un potere illegale dunque, che assume caratteri tentacolari, avvolgendo nelle sue diramazioni più segmenti della società ed instaurando con i vari gruppi ed interessi sociali un diverso tipo di rapporto: di complicità, di collaborazione, di contrasto, di dominio e così via.