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Tipologie di città nell’era globale

1.6 Distanza sociale e città

1.6.2 Tipologie di città nell’era globale

Sebbene esistano tendenze simili originate dal processo di globalizzazione economica, è sempre vero che queste si innestano su strutture sociali e spaziali diverse, la cui inerzia non deve essere sottovalutata. Così, se anche l’azione centenaria degli Stati abbia differenziato le città europee all’interno di ciascun territorio nazionale, è possibile ancora individuare delle similitudini che permettono di opporre un modello europeo al modello tipico delle città americane. Il contributo di Bagnasco e Le Galès (2001) è a questo proposito significativo e centrale per la nostra analisi. I due autori definiscono la città europea a partire da alcuni tratti caratteristici. Ne ripercorreremo solo i principali.

Innanzi tutto, diversamente dalla città americana, organizzata intorno ad una griglia geometrica, la città europea, lo abbiamo visto, concentra intorno a un centro tutti i luoghi del potere, seguendo successivamente uno sviluppo radio-concentrico. Essendo la maggior parte delle città europee

molto antiche, essendosi cioè organizzate e sviluppate durante il primo ciclo di urbanizzazione (tra il X e il XIV secolo) esse mantengono la medesima ossatura urbana e la forma agglomerata almeno fino all’inizio del XX secolo, dando luogo ad un’evoluzione lenta e progressiva che porta ad un mantenimento fino ai giorni nostri dei vecchi centri storici e dei quartieri antichi.28 Le città europee si distinguono da quelle americane anche per avere strutture sociali e politiche molto diverse. Non di poco rilievo, ad esempio è il peso che in Europa ha avuto lo Stato sociale sull’economia, le strutture dell’occupazione, l’educazione e la riduzione delle disuguaglianze. Rispetto all’elemento della struttura sociale, Preteceille (2001), osserva che senza ombra di dubbio le disuguaglianze sociali in Europa sono oggi aumentate rispetto al passato. Ciò nonostante non si può ancora sostenere che le città europee siano perfettamente rappresentabili con il modello della città duale e polarizzata. Le tendenze all’impoverimento delle classi medie sono senz’altro utili a leggere anche la realtà europea, ma fino ad ora i processi alla base di tali tendenze sembrano avere un impatto meno forte di quanto il modello della dualizzazione preveda. Si può, inoltre, osservare che anche la segregazione spaziale assume forme meno marcate nelle città europee. Per esempio, la tendenza osservata negli Stati Uniti all’auto- segregazione della classi medie e superiori in quartieri protetti e periferici delle città è diversa nel caso europeo. Se è vero, infatti, che nella maggior parte delle città europee si trovano quartieri residenziali di classi superiori nelle periferie chic, le borghesie e le aristocrazie europee non hanno disertato i centri delle città storiche europee; anzi, i nuovi gruppi dirigenti e di liberi professionisti hanno seguito la stessa logica installandosi sia nella periferia residenziale che nel centro delle città. Sul polo opposto, come nelle città americane, anche in quelle europee esistono aree in cui, per varie ragioni, tendono ad addensarsi situazioni di povertà e di disagio. Tuttavia, finora è difficile individuare, in queste aree, delle aggregazioni tanto ampie e concentrate da far parlare di “ghetti”, come nel caso americano.

E veniamo alla pianificazione urbana, un ulteriore ambito in cui in Europa più che negli USA, le istituzioni politiche degli Stati nazionali hanno rivestito un grande ruolo, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di edilizia popolare residenziale, la preservazione e il rinnovo dei vecchi quartieri, lo sviluppo dei trasporti pubblici, il mantenimento e lo sviluppo degli spazi pubblici, la creazione di zone industriali o commerciali in periferia, e così via.

Un altro aspetto molto importante riguarda poi il nuovo protagonismo economico (e nell’Unione Europea anche politico) delle città nel panorama mondiale. Se è vero che l’economia dei flussi e

28 Ovvie eccezioni sono le città costruite in seguito alla rivoluzione industriale, ma la cui diffusione è

spesso relativa e marginale (tranne che per la Gran Bretagna, la Germania e il Belgio). A fare eccezione sono anche le città colpite da eventi catastrofici (bombardamenti, terremoti, ecc.).

delle reti, insieme all’ indebolimento dei vincoli statuali, proietta le città in una competizione che le vede essere nodi autonomi in cui si concentrano le strutture di comando del nuovo sistema economico mondiale, ciò che non è sempre vero è che siano tutte le città a beneficiare di questa nuova condizione globale. Il modello a cui si ispira l’idea delle global cities o delle world cities è infatti quello delle metropoli, delle grandi città mondiali ed americane. Bagnasco e Le Galès osservano, però, come queste in Europa siano molto più rare, costituendo l’eccezione piuttosto che la regola: “il cuore relativamente stabile del sistema urbano europeo è costituito da città medie e medio-grandi, relativamente vicine le une alle altre, mentre il sistema urbano americano è invece costituito prima di tutto da grandi metropoli relativamente distanziate le une dalle altre” (2001, p. 17).

Secondo Oberti (2001), pur condividendo molti aspetti con le città più grandi, le città medie presentano alcune specificità, le quali hanno a che vedere soprattutto con il mantenimento di forti legami con il territorio locale e regionale. Ciò non significa che le città medie non si colleghino ad attori, reti, mercati nazionali ed internazionali, ma vuol dire piuttosto che la loro strutturazione sociale e spaziale interna ruota ancora principalmente intorno agli elementi della società locale (i propri attori economici e politici, la propria storia, le proprie tradizioni ed identità, le proprie istituzioni e tessuto urbano, ecc.).

Di fronte alle metropoli, luoghi di insediamento e mescolanza di popolazioni di provenienza geografica, origine etniche e culturali differenti, le città medie risultano più omogenee. In ugual modo, se la connessione all’economia mondiale delle città più grandi crea mercati ed attività che generano una moltitudine di nuove professioni, nuove forme di organizzazione del lavoro e stili di vita, queste tendenze innovatrici, pur investendo anche le città medie, non si presentano al loro interno con la stessa intensità.

Naturalmente, sebbene se ne riconoscano le specificità rispetto alle metropoli, non bisogna incorrere nell’errore di credere che tutte le città medie possano essere ricondotte ad un unico tipo di società locale.

La tipologia costruita ancora una volta da Oberti ci permette, ad esempio, di distinguere nella fenomenologia contemporanea, quattro tipi di città medie, e di individuarne alcuni esempi all’interno della realtà italiana.

Le città medie di grande industria sono quelle sviluppatesi nel XIX e XX secolo intorno alla borghesia capitalista e alla classe operaia. Queste sono quelle che per caratteristiche si avvicinano di più al modello della città industriale esaminato in precedenza, con una struttura sociale e urbana che abbiamo visto essere assolutamente polarizzata. Con il declino della grande industria, queste città subiscono in pieno la crisi urbana, e si ritrovano oggi a dover far fronte al

disfacimento del mondo sociale e a un grande deficit di integrazione, che si esprime, tra l’altro con la crisi dell’identità e della cultura operaia, la disoccupazione di lunga durata e la precarizzazione giovanile, il deterioramento dei quartieri popolari, l’insediarsi di popolazioni immigrate, e così via.

Con riferimento alla sola Italia, esistono rari casi di città medie incentrate sulla grande industria, essendosi quest’ultima impiantata soprattutto al nord del Paese, ed in grandi città quali Genova, Torino e Milano.

Le città medie dell’economia diffusa sono caratterizzate da una cultura della piccola impresa o da tradizioni di lavoro autonomo. In questo modello, una forte mobilità sociale e delle relazioni sociali intense a forte identificazione territoriale e locale che vanno oltre le appartenenze di classe, favoriscono la negoziazione nei rapporti di interessi e impediscono la polarizzazione della struttura delle classi. Di fronte alla crisi delle città industriali, che vedevano sgretolarsi il proprio tessuto sociale, le città medie ad economia diffusa hanno saputo fare della coesione sociale un elemento di sviluppo economico di tutta la comunità. La c.d. “terza Italia”, nelle regioni del nord- est, incarna proprio questo modello, con un ricco tessuto di città medie in cui forte è la capacità di integrare economicamente, culturalmente e politicamente l’insieme della società locale (Bagnasco, 1984).

Le città medie “modernizzatici” si sono sviluppate intorno ai servizi e all’amministrazione, investendo soprattutto sull’innovazione, la ricerca, la formazione e i servizi pubblici e privati alle imprese. In queste città l’attore principale non è più la classe operaia ma una borghesia locale e una estesa classe media; gruppi sociali che contribuiscono a dar forma alla città, con le loro professioni, ma anche con i loro consumi, gli stili di vita e le pratiche sociali, intorno a cui si costruiscono le linee di distinzione e le distanze urbane, non più così marcate e nette come per le città industriali. Meno dipendenti dalla grande industria, queste città hanno sofferto di meno la crisi economica e traggono oggi vantaggio dall’economia globale indirizzata alla produzione culturale.

Così come per le città medie della grande industria, in Italia ci sono poche città di medie dimensioni che corrispondono al modello di città di consumatori “modernizzatrice”, e questo perché, rispetto agli altri Paesi europei, la struttura sociale italiana è caratterizzata da una forte presenza di lavoratori indipendenti (artigiani, piccoli imprenditori, liberi professionisti) e una più debole presenza di classi medie salariate in grado di ricoprire un posto centrale sul piano degli stili di vita (diverso è, ad esempio, il caso francese).

Infine, l’ultimo tipo di città medie si riferisce alle città “assistite e dipendenti”, sviluppatesi grazie a un forte intervento dello Stato sull’economia. In queste città, il settore produttivo locale è molto

debole, e le politiche di redistribuzione delle risorse pubbliche attuate dallo Stato non hanno sortito effetti reali sulla capacità di sviluppo autonomo dell’economia locale. Si tratta di città in cui a prevalere è la classe media, impiegata nel settore pubblico (impiegati e quadri), e in cui il consumo – basato sull’utilizzo degli stipendi dei dipendenti pubblici e sulle prestazioni dello Stato sociale – predomina sulla produzione, permettendo il mantenimento di tutta una serie di attività indipendenti (commercio, servizi alle persone, ecc.). Poiché dipendenti dalla politica, queste città, e le strutture sociali al suo interno, sono fortemente legate al potere politico, il quale spesso utilizza canali tradizionali e clientele per rinforzare la propria posizione e condizionare l’organizzazione sociale ed urbana della città.

I caratteri di quest’ultimo tipo di città – che si ritrovano spesso nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia – presentano contrasti evidenti: urbanizzazione selvaggia, quartieri mal serviti e poco attrezzati rispetto ai quartieri di lusso, oppure aree urbane frammiste, reti di trasporto pubblico inadeguate, amministrazioni pubbliche inefficaci, quando non colluse con poteri criminali.

Naturalmente, come ogni tipologia, anche quella di cui abbiamo appena parlato ha una finalità analitica che astrae alcuni caratteri dalle realtà esistenti, per poi riconoscere, infine, che quasi tutte le città si presentano con caratteristiche che combinano più elementi dai diversi modelli. Ci è sembrato però utile, in conclusione di questo capitolo, dilungarci sulle tendenze comuni che è possibile rilevare dall’analisi sociale sulle città, per poi mettere in luce le diversità esistenti che hanno un’indubbia influenza sulla caratterizzazione della distanza sociale in ciascun contesto studiato.

CAPITOLO 2

LA DISTANZA E I PROCESSI DELLA POLITICA

Come abbiamo già avuto modo di vedere nel corso del primo capitolo, l’attenzione alla spazialità e alle sue influenze sulle modalità delle relazioni umane così come l’interesse allo studio delle distanze sociali, sia nella componente oggettiva che in quella soggettiva e relazionale, sono presenti in vario modo e con approcci differenti non solo negli studi di sociologi classici ma anche all’interno di teorie e ricerche della sociologia contemporanea. In questa parte del nostro lavoro, a partire dal particolare legame tra spazio – fisico e simbolico – e politica, prenderemo in considerazione quei fattori e quelle dinamiche propri delle società moderne che hanno portato al delinearsi di alcuni tipi di distanza all’interno dei processi politici fondamentali.

La politica ha al suo interno una tensione continua verso l’aumento o la riduzione delle distanze. E’ il modo in cui tale tensione, alimentata dalla combinazione di più fattori si stabilizza, in un dato momento storico a costituire elemento determinante nel configurarsi degli assetti strutturali della distanza sociale nella sfera politica. Sia le componenti psicologiche e soggettive di tale forma di distanza sociale che quelle relazionali vengono profondamente influenzate dagli assetti strutturali del fenomeno ma, a loro volta, svolgono un ruolo fondamentale nel determinare l’azione sociale e il comportamento politico, attraverso cui si esprimono le distanze nella sfera politica. Non bisogna dimenticare, infatti, che la distanza sociale si traduce anche in comportamenti (agiti o subiti) di distanziamento o avvicinamento, e si manifesta quindi non solo all’interno dei macro-processi sociali e politici, ma altresì nelle relazioni sociali a livello micro-sociologico.

Nei paragrafi che seguono, analizzeremo dapprima i significati delle relazioni tra spazio e politica e passeremo, poi, allo studio di alcune delle principali forme di distanza legate alla politica, esaminandone gli aspetti e gli sviluppi storici.

Sebbene la distanza sociale nella sfera politica non sia quasi mai tematizzata in maniera esplicita, ci sembra di poterne rintracciare diversi contenuti in alcuni approcci dell’analisi politica e sociale. A questo proposito, ne prenderemo in considerazione almeno tre: l’approccio centro- periferia nelle teorie dello sviluppo politico (in questo capitolo), gli studi sulla stratificazione del potere politico, le teorie dell’elite e la partecipazione politica (nel prossimo capitolo).