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Pierre Bourdieu, la distanza sociale e la distinzione

1.4 La distanza sociale negli studi contemporanei

1.4.1 Pierre Bourdieu, la distanza sociale e la distinzione

Tutta la costruzione teorica messa a punto da Pierre Bourdieu, in continua connessione con le attività di ricerca empirica condotte dallo studioso, è da considerare uno dei contributi più interessanti ed originali della sociologia contemporanea. Si tratta, in realtà, di un’opera molto densa e complessa che presenta non poche difficoltà nella lettura, per le argomentazioni formulate con un linguaggio e uno stile ardui. Ciò nonostante, ignorare le elaborazioni di questo autore comporterebbe una grave perdita per qualunque discorso che assuma come oggetto la distanza sociale.

Non è certamente questa la sede in cui discutere sull’intera opera di Bourdieu, sebbene, ai fini di una migliore comprensione della sua definizione di distanza sociale, è necessario riportare i principali termini che costituiscono i pilastri del pensiero di questo studioso.

Il modello di analisi del mondo sociale sviluppato da Bourdieu è costruito intorno a un insieme di strumenti concettuali organicamente interconnessi.

Per riferirsi alla società nel suo complesso Bourdieu utilizza il termine “spazio sociale”, con l’intento di trascendere ogni posizione sostanzialista e di sottolineare invece il suo carattere dinamico, costituito dai gruppi sociali che in esso operano e si relazionano.

Riecheggiando quanto già affermato da Sorokin, per Bourdieu lo spazio sociale è uno spazio a più dimensioni, costruito sulla base di principi di differenziazione o di distribuzione. Al suo interno si posizionano in modo relazionale i gruppi sociali, e gli individui (definiti agenti sociali) si distribuiscono in base al volume di capitale globale posseduto e alla sua composizione, ossia al peso relativo delle differenti forme di capitale rispetto a quello complessivo in loro possesso. Bourdieu non si stanca mai di ripetere che la struttura dello spazio sociale è relazionale: ogni posizione è definita in relazione alle altre, ogni gruppo in relazione a tutti gli altri.

Egli ribadisce anche che vi è una tendenza dello spazio sociale a trovare una traduzione nello spazio fisico: tutte le divisioni e le distinzioni operanti nello spazio sociale, dunque, si esprimono in divisioni e distinzioni nello spazio fisico.

Per questo studioso il mondo sociale è il luogo di una differenziazione sociale progressiva; per tale ragione, lo spazio sociale complessivo è costituito da un insieme multidimensionale di spazi specifici, di ambiti o universi di relazioni che egli chiama campi. Il campo è lo spazio socialmente strutturato in cui gli attori sociali interagiscono in funzione della posizione che occupano e delle risorse specifiche che caratterizzano il campo stesso (capitale).

La distanza sociale, in questa impostazione, si caratterizza come la misura dello scarto o della differenza tra le posizioni che gli agenti sociali occupano in ciascun campo e nello spazio sociale complessivo.

Ogni campo si presenta come campo di lotta, cioè un ambito in cui agenti sociali in posizioni differenti lottano per difendere e conservare, o per migliorare e modificare, la struttura delle posizioni sociali e la distribuzione delle risorse da cui queste posizioni derivano. Le azioni che si svolgono in ciascun campo dello spazio sociale determinano le dinamiche di distanziamento e avvicinamento sociale.

I rapporti di forza tra gli agenti e i gruppi di agenti coinvolti in questa lotta fanno sì che si raggiunga un particolare equilibrio, il quale, però, non è mai definitivo essendo il campo in continua trasformazione, pur se ricostruibile come stato di equilibrio in uno specifico momento. In ciascun campo particolare si gioca un gioco specifico, dato dall’insieme di azioni e reazioni, mosse e strategie che gli agenti sociali mettono in atto per assicurarsi il maggior volume di risorse a disposizione nel campo. Ogni campo ha un diverso gioco, diversi giocatori, una differente posta e differenti regole. Ciò nonostante, dietro alle differenti poste in gioco, nei molteplici campi dello spazio sociale c’è sempre una posta comune: l’autorità nel campo, ossia il potere simbolico che conferisce il dominio. L’autonomia dei campi fa sì che in ognuno di essi vi sia una specifica autorità: religiosa nel campo religioso, politica nel campo politico, culturale in quello culturale, economica in quello economico, e così via. Tale autorità specifica dipende dalla distribuzione del capitale specifico di quel campo e dall’andamento delle lotte tra coloro che sono favoriti dalla distribuzione delle risorse del campo e che hanno i mezzi per difenderla (i dominanti) e coloro che invece si oppongono a questa imposizione e distribuzione (i dominati). Dominanti e dominati, tuttavia, sono uniti da una complicità oggettiva, non intenzionale, che favorisce quello che Bourdieu definisce il “misconoscimento” della realtà oggettiva del dominio come violenza simbolica, legato all’autorità. La complicità di dominanti e dominati si fonda sulla comune convinzione che gli agenti sociali hanno del valore della posta in gioco: essi, cioè, ritengono che la posta sia qualcosa per cui vale la pena di lottare e questo favorisce l’esercizio dell’autorità. Strettamente connessa alla nozione di campo è quella di capitale, che per Bourdieu attiene alle risorse che sono oggettivamente disponibili in ciascun campo e che sono socialmente valutate. Le risorse valutate socialmente sono, per Bourdieu, scarse e distribuite in modo ineguale: per tale ragione gli agenti sociali risultano tra loro in competizione. Il capitale ha in sé la tendenza a persistere e a riprodursi nel tempo, tendenza rafforzata anche da una specifica azione politica di conservazione messa in atto dai detentori del capitale.

Bourdieu individua quattro principali forme di capitale: il capitale economico, il capitale culturale, il capitale sociale e il capitale simbolico. Dal momento che tutte le forme di capitale tendono a manifestarsi in maniera simbolica, il capitale simbolico è una sorta di capitale dei capitali .

Il capitale economico è quello più conosciuto. Esso è costituito dai mezzi di produzione, dal reddito e dai beni materiali; è monetizzabile e quindi facilmente valutabile.

Il capitale culturale è quello su cui Bourdieu si sofferma di più. Esso corrisponde all’insieme delle proprietà, delle qualificazioni e delle esperienze culturali degli agenti sociali. Si distingue in: capitale culturale incorporato, riferito all’insieme delle disposizioni dell’individuo, acquisite soprattutto durante il processo di socializzazione primaria, nei confronti degli oggetti culturali e delle esperienze culturali; capitale culturale oggettivato, costituito da beni culturali concreti (libri, opere d’arte, apparecchi scientifici); capitale culturale istituzionalizzato, sotto forma di titoli di studio riconosciuti socialmente e credenziali educative in genere.

Il capitale sociale è l’insieme delle relazioni di cui dispone sia ogni agente sociale che il gruppo di cui egli fa parte. Esso richiede tempo e lavoro per la sua formazione e può essere convertito in altre forme di capitale.

Infine, il capitale simbolico consiste nell’autorità o nel credito di cui gode un agente in virtù del riconoscimento della legittimità del possesso di qualsiasi tipo di capitale. Solitamente, la presenza di capitale simbolico appare nella vita sociale sotto forma di riti legati all’onore e al riconoscimento sociale. Secondo Bourdieu, ogni forma di capitale deve essere trasformata necessariamente in capitale simbolico, potendo ogni capitale circolare liberamente e riprodursi solo se il suo uso è legittimato. La vera ragione dell’esistenza del capitale simbolico, dunque, consiste nel legittimare i rapporti asimmetrici e di potere fondati sulla diseguale distribuzione dei vari tipi di capitale.

Da quanto detto finora, il mondo sociale di Bourdieu corrisponde allo spazio sociale fatto di posizioni, relazioni e poteri in cui gli agenti agiscono e lottano dando luogo a pratiche dotate di senso. L’agire pratico degli agenti viene generato, secondo il nostro autore, dagli habitus. La nozione di habitus è fondamentale nella sociologia di Bourdieu. Essa fa da mediazione tra spazio sociale oggettivo e mondo sociale soggettivo e fornisce una spiegazione del come sia possibile che l’azione sociale, o meglio l’agire pratico dell’individuo, segua delle modalità ricorrenti e regolari senza essere totalmente né il prodotto dell’obbedienza a regole o norme (come vorrebbe lo strutturalismo) né il risultato di un’irriducibile intenzionalità soggettiva (come vorrebbero i sostenitori delle teorie soggettiviste). Con questo concetto, dunque, Bourdieu tenta di mostrare la connessione esistente tra individuale e collettivo, azione sociale e struttura sociale, oggettivo e soggettivo, che abbiamo indicato come una delle difficoltà maggiori implicita nella categoria di distanza sociale.

Del termine habitus Bourdieu ha dato nel tempo definizioni leggermente differenti, modificate di volta in volta in seguito agli sviluppi della sua ricerca empirica. Come osserva uno dei più attenti

studiosi italiani dell’opera di Bourdieu, nel suo nucleo costante il concetto di habitus indica: “un insieme di disposizioni (nel doppio significato di atteggiamenti e attitudini o, come preferisce dire Bourdieu, propensioni) a percepire, pensare e ad agire che si è andato incorporando nell’agente sociale attraverso la socializzazione e trova conferma e si rafforza attraverso le sue esperienze di vita, in quanto genera un sistema di principi di visione e divisione del mondo sociale, di apprezzamento e valutazione, di preferenze, profondamente radicate e del tutto inconsapevoli” (Marsiglia, 2002, pp. 103-104).

Poiché sistematiche, le disposizioni dell’habitus sono durature e permettono di orientare, inconsciamente e automaticamente, le percezioni, le valutazioni e le azioni pratiche che gli individui mettono in atto nello spazio sociale, in modo corrispondente alla posizione occupata. Ciò che genera l’azione, quindi, è il senso pratico, cioè l’agire dettato dall’habitus in funzione delle posizioni occupate dagli individui nello spazio sociale. In altre parole: alle posizioni sociali corrispondono degli habitus e agli habitus corrisponde un determinato senso pratico che guida l’agire, ossia le pratiche, degli agenti sociali. È solo a partire dall’analisi delle pratiche degli individui, allora, che secondo Bourdieu si può arrivare a definire quali sono le loro disposizioni ad agire e cogliere, in ultima analisi, gli habitus degli agenti sociali.

Le pratiche sociali, proprio perché generate dagli habitus, risultano ben strutturate e collegate tra loro, poiché unificate dallo stesso insieme di disposizioni. L’habitus fornisce, cioè, una coerenza interna a tutto l’insieme di pratiche messe in atto dagli agenti sociali in ogni campo dello spazio sociale, risultando esternamente come una sorta di “stile di vita”. Gli agenti che occupano una posizione sociale simile avranno, dunque, simili stili di comportamento. L’habitus appare in tal modo collegato a dei comportamenti esteriori, essendo al tempo stesso prodotto dalle pratiche e generatore delle stesse.

Anche se da quanto descritto risulta chiaramente la discendenza strutturalista di Bourdieu, attraverso la sua costruzione teorica, egli tenta di allontanarsi dall’impostazione dello strutturalismo affermando che, sebbene gli agenti sociali agiscano anche sulla base di elementi sistematici, ci sono delle strategie che essi seguono e che derivano dalle specificità del campo in cui agiscono (struttura delle posizioni, capitale specifico, posta in gioco) e dalle modalità di conoscenza pratica del mondo. È ancora l’habitus che funziona come principio cognitivo, cioè consente agli agenti di conoscere praticamente il mondo e di agire in esso mettendo in atto le pratiche. Tuttavia, tali pratiche non obbediscono a regole fisse ma si adeguano alle condizioni contingenti.

C’è ancora un altro fattore che Bourdieu tiene in considerazione per spiegare il comportamento concreto degli agenti sociali. Si tratta della doxa, termine con il quale egli intende gli schemi di

pensiero e di azione che sono generati da strutture sociali oggettive, ma che sono sperimentati dagli individui come naturali, ossia dati per scontati. La doxa sono le cose “ovvie” che si pensano, le convinzioni che, fornendo degli schemi elementari e fondamentali di classificazione, sono alla base di ogni forma di conoscenza. Il comportamento pratico contiene sempre un’abbondante dose di doxa, e ciò permette, per esempio, il misconoscimento, cioè il falso riconoscimento di una data situazione di dominio o di condizione sociale intesa come naturale anziché come socialmente determinata.

L’esigenza di superare la contrapposizione tra la visione oggettivista e quella soggettivista è l’elemento portante di un’altra parte fondamentale della sociologia di Bourdieu, che è per noi significativa per rilevare alcuni aspetti della distanza sociale secondo questo autore. Parliamo della teoria delle classi sociali, secondo cui queste sono definibili empiricamente a partire da sistemi di proprietà differenti, materiali (di condizione), relazionali (di posizione) e simboliche (di distinzione). Ispirandosi a Weber, Bourdieu distingue due elementi della situazione di classe: la condizione di classe, che riguarda le caratteristiche legate ad una condizione materiale di esistenza (ad es. una professione che implica un reddito), e la posizione di classe, che concerne le proprietà collegate al posto occupato dagli agenti nel sistema di classe, quindi in rapporto alle altre classi (essa ha sempre un peso e un valore relativo alle altre posizioni di classe). Le opposizioni di classe, però, non si riducono solo agli elementi oggettivi della condizione e della posizione di classe, ma anche ad elementi simbolici, i quali ricalcano le opposizioni di condizione e di posizione, ma hanno anche una loro autonomia che si sviluppa sotto forma di caratteri specifici delle singole classi sociali: le distinzioni simboliche. La situazione del singolo agente o di un gruppo di agenti nella struttura di classe dipende, quindi, dalla condizione di classe e dalla posizione di classe, e si manifesta nelle distinzioni simboliche collegate. È questa idea che sta alla base de “La distinzione”, lo studio empirico sulle differenze di gusti e di stili di vita tra le classi sociali della Francia degli anni Settanta del Novecento. In questo testo, Bourdieu introduce anche il concetto di “habitus di classe”, derivante dalla comunanza di condizioni di esistenza, a cui corrispondono una simile rappresentazione della propria condizione di classe e del rapporto con le altre classi, e simili gusti, preferenze e stili di vita. Ne “La distinzione”, come accennato in precedenza, le posizioni sociali sono determinate dalla distribuzione delle risorse lungo due dimensioni: il volume globale del capitale posseduto (che può essere di diversi tipi ed esistere in diverse forme) e il peso relativo dei diversi tipi di capitale entro il capitale globale. Per esigenza di rappresentazione grafica nel testo citato Bourdieu considera due principali tipi di capitale, la cui importanza è massima nelle società avanzate: il capitale economico e quello culturale. A parità di capitale globale gli agenti si possono collocare diversamente nello spazio sociale, a seconda che

nel loro capitale globale prevalga il volume del capitale economico su quello del capitale culturale o viceversa. Gli agenti che occupano posizioni simili o contigue nello spazio sociale in termini di volume, struttura e distribuzione del capitale, e che si trovano altresì in rapporti simili con agenti che occupano posizioni differenti, vivono esperienze e sono sottoposti a condizionamenti simili, e risultano in gran parte formati attraverso processi di socializzazione primaria anch’essi simili. È questa la ragione della elevata probabilità che essi sviluppino degli schemi di percezione e di azione mentali e corporei (habitus) simili tra loro e parimenti distanti da quelli che occupano posizioni sociali più lontane. Gli agenti, quindi, hanno tanto più in comune quanto più sono vicini nelle due dimensioni considerate, tanto meno quanto maggiore è la distanza. L’insieme di questi elementi comuni permette di raggruppare tutti coloro che si trovano vicini nello spazio sociale all’interno della stessa classe sociale. Poiché le posizioni sociali vengono ricostruite da Bourdieu su uno schema composto da un sistema di assi cartesiani, le distanze sociali tra gli agenti o i gruppi di agenti (classi sociali) corrispondono alle distanze spaziali sulla carta. Come è evidente, il concetto di distanza sociale in questa elaborazione corrisponde a quello di scarto o differenza sociale, che è alla base del concetto stesso di spazio sociale. Tuttavia, come si comprende da quanto scritto finora, le differenze sociali, per Bourdieu, non sono da considerare come elementi oggettivi determinati esclusivamente dalla struttura sociale, ma come il risultato di una serie di elementi strutturali e soggettivi in relazione reciproca. In definitiva, la costruzione concettuale di Bourdieu si incardina su tre elementi: “a) le differenze sociali oggettive (condizioni di esistenza e posizioni sociali) viste come conseguenza dell’appropriazione di determinati capitali (o poteri), interpretate in chiave non puramente distributiva (riferita alla quantità e qualità) ma relazionale e sistematica; b) l’incorporazione e traduzione in pratiche della condizione e posizione di classe, in forza dell’habitus, da cui emergono gli stili di vita; c) una dimensione simbolica in cui le pratiche sono organizzate, classificate e valutate sia entro lo spazio degli stili di vita sia in termini di potere simbolico” (ivi, p. 177).

Bourdieu applica tutta questa costruzione concettuale agli stili di vita, indagati nella sua principale ricerca empirica.

Ricordiamo che Bourdieu assegna agli habitus una funzione essenziale nella genesi della differenza tra gli stili di vita delle diverse classi sociali. Attraverso gli habitus, tutta la realtà sociale oggettiva e la storia – come biografia personale o come storia collettiva – si trasformano in soggettività e si esprimono in principi di selezione e percezione, adesione e repulsione, gusto e disgusto, attraverso cui gli agenti sociali collocati in campi specifici dello spazio sociale generano le proprie pratiche e interpretano le pratiche altrui. Data la comunanza di condizioni, esperienze, posizioni, gli habitus di classe che ne derivano tendono a strutturare e significare la realtà sociale

e a trasformare le disposizioni in pratiche sociali. Come osserva ancora Marsiglia gli stili di vita sono per Bourdieu: “il prodotto di un’elaborazione, mediata dagli habitus, delle proprietà oggettive definite dai capitali detenuti da gruppi di individui, similmente posizionati nello spazio sociale, la quale si traduce in disposizioni verso l’esperienza, i gusti, le scelte e le pratiche” (ivi, p. 180). Mentre per Weber lo stile di vita era ciò che caratterizzava la volontà dei ceti – analiticamente distinguibili dalle classi, anche se a volte concretamente sovrapponibili ad esse – di distinguersi in base all’onore o considerazione sociale dal resto della società, per Bourdieu tutte le classi, indifferentemente, esprimono il loro modo di esistere (condizione) e di collocarsi nello spazio sociale (posizione) attraverso uno stile di vita, mettendo in atto nella pratica le possibilità insite nell’habitus. Ciò non toglie che esistano delle elaborazioni e delle forme di distinzione espresse attraverso gli stili di vita che mirano a produrre e riprodurre le differenze di classe e della struttura di classe complessiva. Nella ricerca empirica alla base de “La distinzione”, Bourdieu individua nella società francese tre ambiti di gusti e stili di vita, collegati ai tre fondamentali livelli di classe e di istruzione: superiore, medio e inferiore. Lo stile di vita della classe superiore analizzata dall’autore si caratterizza come “senso della distinzione”: tutte le scelte culturali e le pratiche della classe dominante, cioè di quella classe in cui gli agenti sociali sono dotati di un capitale globale elevato e di un habitus relativo, servono a mantenere, confermare e ribadire le distanze sociali dalle classi dominate. La piccola borghesia, dotata di un capitale globale di medio volume, pur essendo composita al suo interno, si caratterizza per uno stile di vita costruito sulla “buona volontà culturale”, ossia per la propensione ad imitare o ad avvicinarsi allo stile di vita della classe dominante e a prendere le distanze dalle classi inferiori. Le classi popolari, infine, adottano uno stile di vita definito da Bourdieu come “gusto per il necessario”, per cui le scelte dei consumi sono dettate dalle esigenze materiali.

Rappresentando graficamente le posizioni sociali degli individui sulla base della distribuzione del capitale globale, della sua specifica composizione in capitale culturale e capitale economico, e associando ad ogni posizione sociale uno stile di vita, Bourdieu costruisce una mappa dello spazio sociale della Francia degli anni Settanta, che consente di misurare la distanza sociale come differenza tra le posizioni degli agenti sociali e dei rispettivi stili di vita (fig. 1.1).

Certamente, questa suddivisione analitica riflette le condizioni di un determinato contesto sociale in un periodo specifico che è sempre suscettibile di cambiamenti e di mutamenti della distanza, effetto dei mutamenti delle posizioni sociali. La netta distinzione degli stili di consumo tra classi sociali differenti, ad esempio, risulta oggi, in epoca di consumi di massa (o “democratizzazione” dei consumi) quanto meno di più complessa individuazione (Introini, 2007). D’altro canto, però, è lo stesso Bourdieu che riconosce la necessità delle costruzioni teoriche di procedere di pari

passo con la verifica empirica e di adeguare le sue categorie interpretative ai cambiamenti della realtà sociale.

Fig. 1.1 Spazio delle posizioni sociali e spazio degli stili di vita ( Bourdieu, 1995, p. 17)