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Reclutamento politico, tendenze cetuali e distanziamento

3.4 Governanti e governati: distanza sociale ed élites

3.4.3 Reclutamento politico, tendenze cetuali e distanziamento

Il reclutamento politico è quel processo che seleziona all’interno di una popolazione il gruppo di coloro a cui competono le decisioni di portata collettiva. Sebbene siano molteplici i fattori che influiscono su tale processo51, l’esito del reclutamento politico sembra rispondere a una regola generale. Generalmente, se si confrontano le caratteristiche socio-economiche e demografiche dei membri delle élites politiche con quelle di coloro i quali da queste élites sono rappresentati, si nota come i membri di tali élites abbiano status, livello di istruzione e origine sociale più elevati (Turi, 2006). Numerosi autori, tra i quali Lasswell (1965), chiamano questo intreccio di caratteristiche “agglutinazione”, proprio per indicare che il saldarsi di condizioni socio- economiche privilegiate è necessario per accedere alle cerchie ristrette delle élites politiche. Secondo Putnam (1976) vi sono alcuni aspetti che bisogna considerare per studiare i meccanismi di reclutamento politico. Tra questi: a) i canali utilizzati dagli aspiranti leader politici per raggiungere posizioni di vertice (comunemente il canale partitico e le esperienze nel governo locale); b) i meccanismi di selezione dell’élite politica (ad esempio: l’ereditarietà delle cariche, l’avanzamento per anzianità ed esami, la cooptazione e la nomina, la selezione elettorale); le caratteristiche e le credenziali rilevanti che gli aspiranti membri dell’élite devono avere (di tipo

51 Alcuni di questi fattori attengono alla sfera politico-istituzionale, altri a quella economica, sociale, ecc.

Un ruolo fondamentale nei regimi democratici, ad esempio, è giocato dal sistema elettorale, ma altrettanto importanti sono l’organizzazione e la competizione tra i partiti, la configurazione del sistema partitico, la cultura politica, e, non ultimo, le tradizioni relative alla partecipazione politica (Turi, 2006).

ascrittivo, come l’appartenenza familiare, o acquisitivo, come le abilità e le competenze individuali); d) i meccanismi di uscita e di ricambio dell’élite politica (in genere i tassi più elevati di ricambio si registrano durante i periodi di crisi, mentre il tasso di ricambio tende a diminuire con l’<invecchiamento> dell’istituzione); e) le conseguenze del reclutamento sulla fisionomia dell’élite (la rappresentatività delle molteplici categorie sociali della popolazione, la propensione alla conservazione o all’innovazione, la socializzazione e l’acquisizione delle competenze politiche, ecc.).

Ciò che, in definitiva, avviene con il reclutamento politico è la formazione di una classe dirigente a cui compete il compito del governo della società. Non è una questione da poco, dunque, se nel processo suddetto alcuni meccanismi – di tipo istituzionale ma non solo – contribuiscono alla formazione di un’élite politica che assume caratteristiche cetuali.

Come abbiamo visto, fondandosi sull’appropriazione e la monopolizzazione di beni, l’organizzazione cetuale pone ostacoli al libero mercato su cui si basa l’ordinamento economico, o all’accesso e alla circolazione del potere politico, costituendo in quest’ultimo caso una forma di distanziamento del gruppo dei governanti - con carattere cetuale – dal gruppo dei governati. Nella letteratura scientifica italiana, il termine “ceto politico” viene utilizzato oramai da molto tempo per indicare quella tendenza delle élites politiche a monopolizzare le risorse di potere e a costituirsi come gruppi chiusi ed esclusivi, il cui accesso è limitato e regolato da regole e consuetudini stabilite dai membri che dell’élite già fanno parte. Come osserva Mastropaolo, un attento studioso dei fenomeni politici in Italia: “un ceto politico, numerosissimo, ramificato e ultraprotetto si è interposto tra cittadini e istituzioni, si è annidato all’interno di queste ultime, ha monopolizzato l’autorità e ha intrecciato intorno a sé una robusta cintura di privilegi, senza che nessuno finora sia riuscito a chiamarlo a rispondere al proprio operato”(1993, p.10).

Va sottolineato che il ceto politico non concerne soltanto un “gruppo minoritario organizzato” che detiene il potere politico, ma riguarda “un indefinibilmente vasto gruppo di persone che, in un modo o nell’altro, per un periodo di tempo più o meno illimitato, traggono il loro sostentamento da attività, in senso più o meno lato, dalla politica”52 (Pasquino, 1987, p. 8). Se la professionalizzazione della politica53 rappresenta il punto di partenza dell’emergere di un ceto

52 L’autore annovera tra coloro che compongono il ceto politico italiano, non solo i parlamentari, ma

anche l’enorme numero di amministratori locali, gli apparati di partito e di corrente, i funzionari “politici” del settore pubblico dell’economia e dell’informazione, i sindacati, e finanche alcuni magistrati, professori, giornalisti, gli staffs dei gabinetti ministeriali, e così via.

53 Ne “Il lavoro intellettuale come professione” Weber sostiene che i grandi processi di modernizzazione

politica, attraverso le spinte alla burocratizzazione e le esigenze di razionalizzazione, hanno contribuito e reso necessaria la formazione di un gruppo crescente di persone che vive di politica. I professionisti della politica, per questo autore, sono coloro che non solo vivono per una causa politica, ma vivono anche (e soprattutto) delle fonti di guadagno derivanti dalla professione politica. Ciò è pensato per evitare

politico, tale condizione non è da sola sufficiente a spiegare la creazione e il consolidamento di questo fenomeno. Quest'ultimo infatti richiede, per il suo pieno dispiegamento, l’agire concomitante di almeno altri tre fattori: a) l’affermazione del partito di massa, organizzazione permanente il cui personale è costituito da funzionari tecnici – che lavorano stabilmente nell’apparato e ne costituiscono la componente burocratico-amministrativa – e funzionari politici – che partecipano alla competizione elettorale e svolgono la loro funzione nei luoghi del potere e della decisione politica; b) la mancata o ridotta alternanza e il limitato ricambio politico, che producono un effetto di “incrostazione del potere” il quale, a sua volta, si traduce in rappresentanza privilegiata per alcuni tradizionali gruppi di interesse, e in esclusione delle nuove domande e dei nuovi problemi sociali; c) l’esistenza di un rapporto squilibrato tra partiti, istituzioni e società civile, con i primi che prevalgono e sconfinano nelle aree di pertinenza degli altri attori del sistema politico e sociale (ivi).

La presenza di un ceto politico esteso e ramificato nella società italiana è poi da attribuire, secondo la lettura data da Mastropaolo (1993), all’assenza di una legittimazione diffusa del sistema politico, che incoraggia le pratiche di scambio politico e si traduce in mercificazione della politica. Utilizzando il linguaggio di Easton, l’autore distingue tra sostegno diffuso e sostegno specifico (ossia tra legittimazione e consenso). Il sostegno diffuso è quello indirizzato alle componenti fondamentali di un sistema politico: il regime, le istituzioni e le regole del gioco politico; esso si presenta sotto forma di atteggiamenti favorevoli, fiducia, credenza nella legittimità dell’intero sistema politico. Il sostegno specifico, invece, si rivolge a chi gestisce pro tempore il potere politico. Essendo legato al comportamento del personale politico, il sostegno specifico è fluttuante e revocabile e, per tale ragione, soggetto al volere dei cittadini. Sembra dunque ovvio che i governanti, per mantenere o accrescere tale sostegno, siano disposti a scambiarlo con benefici d’autorità, secondo le domande dei cittadini e la loro capacità di farle valere. A bilanciare la tendenza allo scambio politico concorre il sostegno diffuso, il quale permette al personale politico di districarsi tra le domande che si contrappongono e che possono dare luogo a situazioni di stallo. Ma come si produce il sostegno diffuso? Un ruolo importante è giocato dalla cultura, dalla socializzazione politica, dal comportamento del personale politico o dalle immagini che di esso hanno i cittadini. Tuttavia, sostiene Mastropaolo, esiste più a monte, affihché si affermi il sostegno diffuso, un problema di “accumulazione originaria” che si collega alla questione dell’ “omogeneità sociale”. Riprendendo Hermann Heller, Mastropaolo ribadisce come alla democrazia politica faccia da sfondo un’attenuazione delle disuguaglianze (e della loro percezione), la quale, l’esposizione dei professionisti della politica ai ricatti da parte di chi possiede molto denaro o grandi quantità di altre risorse indispensabili.

pur senza pretendere di eliminarle, ne riduca almeno il potenziale dirompente. Laddove esistono divisioni sociali non mediate a sufficienza a livello politico, tali per cui parti consistenti della popolazione non si riconoscono nelle regole del gioco, né nelle istituzioni, mancano quella legittimità e fiducia di cui si nutre il sostegno diffuso. “Se vi sono cleavages non risolti, se esistono componenti alienate, che s’identificano in valori alternativi, si può concludere allora che manca il sostegno diffuso” (Mastropaolo, 1987, p. 39). In tali sistemi politici, di cui l’Italia è esempio emblematico, la carenza di sostegno diffuso viene surrogata dal sostegno specifico, il quale favorisce la moltiplicazione dei rapporti di scambio politico, da quelli che assumono forme più tradizionali e/o neocorporative, a quelli altrettanto consolidati che si intrecciano nell’ambito delle relazioni industriali tra Stato, imprenditori e sindacati. Il fatto che lo scambio politico prevalga in molte circostanze, non significa che esso escluda dall’orizzonte politico altri meccanismi di regolazione e mediazione. La situazione viene piuttosto definita da Farneti (1971) in termini di “emancipazione mancata”, ad indicare un sistema politico che non riuscendo ad emanciparsi dal “potere di fatto” della società civile, e non producendo in tal modo delle proprie risorse di legittimità ed efficacia, non riesce a sviluppare una mediazione autonoma tra i conflitti e le fratture sociali. In un sistema in cui prevalgono gli scambi politici, questi ultimi, e il consenso specifico che da essi si può trarre, rappresentano l’interesse intorno al quale il personale politico si aggrega e si costituisce come gruppo sociale a sé, distante e separato dalla società che lo esprime. I membri del personale politico risultano così accomunati fortemente – anche se non sempre in maniera consapevole – dalla ricerca continua e puntuale di consensi e benefici di autorità. L’indicatore più evidente di tale situazione è probabilmente dato dal grado di permeabilità dei confini che corrono tra politica e società. In un sistema politico caratterizzato da sostegno diffuso, il mercato politico tende ad essere altamente competitivo e dinamico, e il ricambio politico elevato. Quando il sostegno diffuso è carente, cresce la tendenza ad una riduzione dei processi di circolazione delle élites e aumenta la distanza sociale tra governanti e governati. Però, se è vero che la costituzione in ceto dei politici di professione contribuisce alla formazione di una vasta superficie d’attrito tra politica e società, se è vero che la distanza tra loro è maggiore che nei sistemi in cui vi è una più frequente circolazione delle élites, è altrettanto vero che la tendenziale separatezza del ceto politico non si traduce meccanicamente in una maggiore autonomia: “… elevando a regola pratica lo scambio continuo con i benefici d’autorità, il personale politico è costretto ad operare in condizioni ben diverse, e assai più disagiate, di quelle leaderships politiche che intrattengono, sì, stretti legami con la società civile, la quale non rinuncia di certo ad esprimere le proprie preferenze, ma dove le risorse inerenti ai ruoli politici consentono a colui che li ricopre sufficienti margini per ridefinire domande e pressioni di cui è

fatto segno” (ivi, p. 51). Da questo punto di vista, estrema rilevanza assume il modo in cui gli attori sociali accedono allo scambio politico, ossia se questi partecipano allo scambio come cittadini singoli, gruppi sociali accomunati da solidarietà ed interessi e bisognosi di identità, organizzazione e rappresentanza, oppure come soggetti sociali già organizzati per proprio conto. Nei primi due casi lo scambio è a vantaggio del personale politico che si trova in una posizione privilegiata rispetto a singoli cittadini e gruppi sociali; nel terzo caso, invece, il rapporto tende ad essere paritario. La debolezza strutturale del ceto politico viene in ogni caso fronteggiata mediante la “colonizzazione della società civile e degli apparati statali”, attraverso logiche spartitorie di incarichi di governo e sotto-governo.

Questo tipo di rapporto tra politica e società – che vede il personale politico obbligato ad una mediazione continua – comporta un allargamento smisurato del ceto politico, il quale, osserva Pasquino, risulta molto aperto e diffuso nella zona di entrata, mentre va chiudendosi ai livelli più elevati: “in mancanza di alternative occupazionali, le opportunità di reclutamento, diretto o indiretto, più subalterno che a livelli elevati, offerte dalla politica sono sembrate benvenute a molti segmenti sociali, almeno temporaneamente. D’altronde questo tipi di reclutamento e di espansione del ceto politico è certamente funzionale all’acquisizione e al mantenimento del consenso” (1987, p. 18).

A completare il quadro interviene, infine, la tendenza all’emergere di nuove forme di patrimonialismo di ceto. Secondo la sociologia del potere di Weber, lo ricordiamo, il patrimonialismo corrisponde all'apparato amministrativo tipico del potere tradizionale. In esso, i detentori del potere considerano i componenti del loro apparato come parti del loro patrimonio personale. Strutturalmente in antitesi al tipo di organizzazione impersonale del potere razionale- legale e della burocrazia, Weber stesso riconosce la possibilità dell’esistenza di fenomenologie sociali “anfibie”, cioè risultanti da una combinazione di elementi razionali ed elementi tradizionali (e/o carismatici) del potere. La persistenza (e l’accentuazione in alcune sue forme) del potere personale nelle democrazie contemporanee (potere spesso privato dei fattori di legittimazione carismatica e tradizionale) rappresenta un esempio concreto di come anche in sistemi in cui prevale il potere razionale-legale sopravvivano (o sopravvengano) elementi degli altri tipi di potere legittimo. In particolare, in sistemi politici in cui – per le diverse ragioni che abbiamo visto – le tendenze alla personalizzazione del potere sono forti e diffuse, sono spesso segnalate dalle pratiche neopatrimonialistiche. Il termine “neopatrimonailismo” viene usato da Roth per indicare “un rapporto di fedeltà, basato su interessi ideali e materiali, tra un “padrone” e il suo apparato o il suo seguito personali, ma privo della legittimazione tradizionalistica tipica del patrimonialismo storico” (1990, p. 6). Lo stesso autore distingue poi una variante universalistica ed una

particolaristica. La prima è legata al personalismo universalistico, in cui gli apparati devono mantenere un rapporto di fedeltà personale con il leader pur restando nel quadro del principio normativo legale. In questo caso i membri dell’apparato non si trovano in una situazione di dipendenza clientelare, ma vengono reclutati apertamente, presupponendo generalmente una competenza specifica. La seconda variante del neopatrimonialismo è legata al personalismo particolaristico, cioè a forme di potere personale caratterizzate da rapporti di scambio particolaristico e ineguale tra individui che occupano posizioni sociali differenti (un esempio tipico è il clientelismo politico). Qui, la fedeltà personale è decisiva per l’assunzione pubblica, e il reclutamento non è aperto ma controllato dai detentori del potere. Nell’analisi di alcuni sistemi politici – ad esempio in taluni contesti del Mezzogiorno d’Italia – l’aspetto neopatrimoniale si collega strettamente alle pratiche di governo del ceto politico, così da indicare quei “fenomeni e comportamenti riconducibili ad una forma di potere tradizionale riattualizzata, in cui l’autorità politica ha un rapporto tendenzialmente esclusivo con il corpo amministrativo, che utilizza in senso particolaristico anziché universalistico, senza che tutto ciò implichi necessariamente la violazione delle leggi” (Costabile, 2007, p. ..). Segnali delle tendenze neopatrimonialistiche del ceto politico possono trarsi, ad esempio, dalle modalità di gestione del personale, dall’erogazione dei contributi e dei sussidi, dall’assunzione – a titolo temporaneo – di numerosi consulenti e lavoratori precari che divengono organizzatori del consenso in tutti i settori della società.

In tal senso, la distanza sociale tra élite del potere e cittadini, tra governanti e governati, risulta essere estremamente ambivalente. Per un verso, infatti, le posizioni di potere politico appaiono esclusive e distanziate dalla società; per altro verso, tuttavia, i canali di accesso alla politica non si chiudono, lasciando intravedere dei percorsi non canonici di comunicazione e relazione tra cittadini e detentori del potere.