La storia d’Italia ci racconta di una distanza da sempre esistita, una distanza che ha assunto le sembianze di un dualismo tra Nord e Sud del Paese e che è stata all’origine di interventi, analisi, dibattiti politico-culturali, di cui il “meridionalismo” rappresenta una, ma non l’unica, espressione. La condizione di dualismo si è manifestata in molti campi della vita sociale italiana, ed ha senza dubbio inciso, sin dal periodo pre-unitario, su numerosi aspetti delle società locali, tra i quali il rapporto tra politica ed economia (Catanzaro, 1989), la formazione e la riproduzione delle classi dirigenti (Farneti, 1971; Fantozzi, 1993; Bevilacqua, 1997), la costruzione di modelli culturali e sub-culturali, l’intrecciarsi di relazioni sociali e di potere.
La frattura centro-periferia, nel caso della modernizzazione italiana, è stata determinante e fondamentale nel segnare il cammino di sviluppo delle regioni meridionali. Già dai primi anni post-unitari, infatti, risultano chiare le connotazioni periferiche del Sud, geograficamente distante dai luoghi in cui si prendono le decisioni di portata nazionale, economicamente dipendente dagli interventi dello Stato, con storia antica e delle tradizioni culturali e sociali che lo rendono differente da altre realtà del Paese.
D’altra parte, sono le modalità stesse con cui avviene l’incorporazione del territorio meridionale nello Stato italiano ed i problemi ad essa connessi – le difficoltà derivanti dall’unificazione (linguistica, amministrativa, del sistema scolastico), l’ostilità di una parte delle classi dirigenti locali, il disagio della popolazione nei confronti di un sistema politico sentito come estraneo e quindi poco legittimato – che contribuiscono ad accentuare la profonda distanza tra Nord e Sud, e a generare quel dualismo di cui stiamo parlando70. È a questo momento cruciale della storia d’Italia e del Meridione, ed agli avvenimenti sociali, alle scelte politiche e, talvolta – come per
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Già al momento dell’unificazione nazionale il Sud era diversificato al suo interno tra aree urbane più avanzate ed aree interne più arretrate. Vi era, inoltre, un’ ulteriore diversificazione riguardante le isole, e in particolare la Sicilia. (Aymard, Giarrizzo, 1987). Di ciò, tuttavia, non possiamo occuparci nel nostro lavoro.
Messina – agli eventi naturali che ad esso si collegano, che molta parte della letteratura scientifica riconduce l’origine di numerosi fenomeni sociali e politici di “lunga durata”. Ad esempio, Luis Roniger (1987b) studiando le dinamiche che hanno portato alla formazione del “centro” in alcuni Paesi dell’Europa Mediterranea, con riferimento al tipo di differenziazione e stratificazione sociale realizzatosi nel corso di tale processo, ha evidenziato una serie di conseguenze in termini di relazioni sociali e di potere tra i diversi strati sociali, ed anche in termini di costituzione e funzionamento del sistema politico locale. Ricordiamo che la struttura sociale delle società del Mezzogiorno, al momento dell’unificazione italiana, è, secondo Roniger, caratterizzata da: a) differenziazione elevata, che dà luogo a una strutturazione poco definita degli strati sociali; b) forti disuguaglianze nella distribuzione e nel controllo delle risorse materiali (accentuate disuguaglianze economiche); c) gerarchie sociali costruite sulla base sia di elementi strutturali (ricchezza e potere) che di orientamenti culturali, codici di comportamento, stili di vita e valori morali; d) frammentazione delle identità di gruppo e sovrapposizione delle appartenenze, con conseguente debolezza dell’appartenenza di classe; e) ampio spazio lasciato agli sforzi individuali, alla manipolazione dei contatti e dei canali di mobilità per raggiungere posizioni specifiche all’interno del sistema di stratificazione; f) presenza di profonde divisioni e conflitti, sia all’interno che tra gli strati sociali.
In un Meridione dal tessuto sociale così strutturato, contrassegnato da grandi disuguaglianze, disgregazione sociale e forme di solidarietà ambivalenti, l’unificazione territoriale e politica nazionale genera una forte tensione sociale e innesca una serie di processi che interessano sia la struttura sociale stessa, sia la formazione del sistema politico locale sia, ancora, l’affermazione di particolari modelli di relazione tra le diverse componenti della società. Ad esempio, la formazione delle classi dirigenti meridionali e il loro inserimento nei ranghi della classe di governo nazionale avviene sulla base di un compromesso tra le classi dirigenti liberali del Nord e le élites dell’aristocrazia terriera del Sud d’Italia. Il clientelismo politico si afferma come sistema relazionale capace di mediare tra centro e periferia, e quindi di integrare il Sud nel sistema sociale e politico italiano, coinvolgendo in tal modo anche le classi inferiori. Queste ultime, in cambio della loro accettazione del nuovo sistema, ottengono favori, protezioni e benefici di vario genere. Inoltre, sempre al momento post-unitario e alla scarsa integrazione del Sud nel sistema economico-capitalistico, alcuni studiosi attribuiscono le cause dell’affermazione nelle regioni meridionali di un modello economico dipendente e “riproduttivo”. In proposito, un’ipotesi di spiegazione è quella del “salto di una fase” nello sviluppo storico del Mezzogiorno (Catanzaro, 1982). La fase “saltata” è quella dell’industrializzazione e della conseguente formazione di una
società individualistica di mercato71. Ciò non significa che le regioni meridionali rimangono in uno stadio economico pre-capitalistico ma, piuttosto, che esse si sono modernizzate in maniera particolare, passando direttamente dalla società agricola alla società terziarizzata senza o con uno scarso sviluppo del mercato produttivo. Tale processo di modernizzazione incompleta si è pienamente realizzato nel secondo dopoguerra e ha fatto sì che nel quadro delle grandi trasformazioni prodotte dal nuovo sistema democratico la vita sociale e politica italiana sia pur sempre caratterizzata da forti elementi di dualismo tra Nord e Sud.
Sul piano economico e sociale, il Mezzogiorno si sviluppa grazie all’intervento dello Stato nell’economia che ha inciso enormemente sui meccanismi di differenziazione e stratificazione delle società meridionali. Lo sviluppo economico si è nutrito di trasferimenti monetari pubblici (stipendi ai pubblici dipendenti, sussidi pensionistici, indennità e integrazioni di reddito di vario tipo ed entità ai residenti, investimenti in opere pubbliche e così via) ed ha generato, da un lato, una significativa espansione del ceto medio impiegatizio e la diffusione di servizi e modelli di consumo e stili di vita tipici della società del benessere, dall’altro, l’impoverimento della base produttiva autoctona, la crescente dipendenza dell’economia locale dalle politiche governative, nonché una pervasiva regolazione politica della vita sociale ed economica locale. Ad un livello più strettamente politico, il dualismo tra Nord e Sud si riscontra sia sul piano del funzionamento istituzionale che su quello delle culture e sub-culture politiche e quindi delle leadership e delle organizzazioni partitiche72.
Nel contempo, però, non mancano analisi scientifiche che sottolineano l’emersione, a partire dagli anni Settanta, di “nuovi Sud”, cioè di aree del Mezzogiorno più industrializzate e dinamiche, che ci restituiscono l’immagine di un Meridione variegato, dalle molte sfaccettature e sfumature (Trigilia, 1992). Se da un lato, dunque, continua a persistere la relazione di dipendenza tra le regioni meridionali nel loro insieme e i centri dello sviluppo nazionale, dall’altro il rapporto centro- periferia diventa più complesso. Esiste, infatti, nel Mezzogiorno un’articolazione interna che dà luogo a contesti con differente struttura economica e sociale, alcuni dei quali diventano centri o periferie delle aree provinciali, delle regioni, o dell’intero territorio meridionale. Negli anni Ottanta
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Come noto, in una società industriale le divisioni sociali e le identità si costituiscono principalmente a partire dalla posizione occupata da individui e gruppi nel mercato capitalistico del lavoro. Questo processo porta con sé la piena affermazione del principio dell’individualismo che supera le tradizionali solidarietà primarie e pone le premesse per la formazione di nuove solidarietà di classe.
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Nel Sud il partito politico di massa a carattere sub-culturale è sempre stato debole (Fantozzi, 1993) e le leadership hanno avuto soprattutto una caratterizzazione clientelare. A tale proposito si ricordi la tipologia di clientela politica – già ricordata nel cap. 3 di questo lavoro – che ha accompagnato le trasformazioni e lo sviluppo delle società meridionali e che ha permesso di combinare elementi strumentali ed utilitaristici ad elementi comunitari e di appartenenza, in un modello di relazione tra società e politica che è diventato pervasivo (Fantozzi, 1997).
Ginatempo propone di leggere le “questioni meridionali” a partire da una tipologia che differenzia le aree del Meridione a seconda della loro caratterizzazione economica, produttiva o riproduttiva (Tab. 4.1).
Tab, 4.1
Caratteristiche tendenziali della società
riproduttiva Tipologia di aree del Meridione degli anni ‘80
Economico:
- fonte distributiva/improduttiva delle
risorse per la produzione
- politica dei trasferimenti fondata sui
sussidi
- particolare carenza del sistema
pubblico di infrastrutture e servizi Sociale:
- disgregazione sociale
- debolezza dei meccanismi di
formazione delle classi sociali (in senso marxiano)
Politico:
- orientamento prevalentemente
conservatore o qualunquista dell’elettorato
- clientelismo come struttura
permanente delle relazioni in ogni tipo di associazione o istanza partecipativa
- corporativismo
- assenza storica del Movimento
Operaio
- labilità e debolezza dei partiti operai - carenza storica di azione collettiva
Culturale:
- etiche eterogenee rispetto a quella
del “lavoro”
- carenza di identificazione in istanze
sociali collettive
- familismo
- forme di adattamento privatistico - strumentalizzazioni privatistiche dei
movimenti collettivi.
*Città parassitarie - piccola/media dimensione (es. Enna) (scarsamente, - grande dimensione (es. Messina) produttive, marginalizzate) - con qualche episodio
con gonfiamento industriale insufficiente a del terziario improduttivo caratterizzarla in senso produttivo (es. Catania)
* Aree rurali interne
*Aree costiere o pianeggianti con strutture contadino-capitalistiche Aree di pianura con agricoltura capitalistica
Aree di industrializzazione - zone sub-provinciali fuori Intensiva (giganti mono- dall’area del capoluogo Industriali) (es. Gela)
- Poli urbani industrializzati (es. Taranto)
Aree di media-grande industria Aree di economia produttiva periferica Aree a forte specializzazione turistica
*Comuni costieri con economia mista senza specializzazione.
Fonte: Ginatempo (1983), nostra rielaborazione
La società riproduttiva, cioè la forma societaria prevalente e più diffusa nel territorio meridionale, viene definita tenendo in considerazione i diversi livelli della struttura sociale: dagli aspetti riferiti alla dinamica produttiva e al mercato del lavoro, a quelli politici, culturali e della qualità della vita. Messina rappresenta, in questo periodo, un caso esemplare di città medio-grande con una società di tipo riproduttivo e con processi di marginalizzazione accentuati.
* zone in cui il processo di marginalizzazione è più esteso dal punto di vista della popolazione e del territorio.
Bisogna allora chiedersi: è sempre stato così? Quali sono i processi che hanno condotto Messina ad assumere i caratteri tipici del modello della città terziaria meridionale73? Esistono degli aspetti dissimili che distinguono questa realtà urbana dalle altre del Mezzogiorno? Come è cambiata la città dello Stretto negli ultimi decenni? Quali effetti ha prodotto la crisi del sistema politico e la fase di transizione in atto sulla società messinese? Di fronte a quale Messina ci troviamo oggi? Proviamo a dare risposta a queste domande nei paragrafi che seguono.