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Chi (non) partecipa?

3.5 La distanza come (non) partecipazione politica

3.5.1 Chi (non) partecipa?

Sono molte le ricerche esistenti negli studi sociologici e politologici che si occupano di analizzare le ragioni della selettività della partecipazione politica, ovvero di individuare la spiegazione all’origine della presenza o dell’assenza, comunque della qualità e della quantità, dei comportamenti partecipativi dei diversi individui e gruppi sociali. Molti di questi studi hanno individuato nella relazione tra disuguaglianze sociali e partecipazione politica l’oggetto delle loro osservazioni (Cotta, Della Porta, Morlino, 2001).

Possiamo distinguere almeno tre modelli di analisi in grado di offrirci delle possibili ragioni del perché alcuni cittadini sono più vicini ed altri più lontani dalla politica. Il primo modello fa riferimento alla centralità/perifericità degli individui nella società. Un numero rilevante di studi sulla partecipazione politica (Milbrath, 1965; Milbrath e Goel, 1977; Verba, Nie e Kim, 1987) ha osservato che sono le persone collocate ai livelli più alti della scala sociale a partecipare maggiormente e che, al contrario, quelle con status socio-economico più basso e svantaggiato partecipano meno. Tale impostazione viene denominata “tesi della centralità”, o in maniera simile, “modello dello status socio-economico” (“SES”, social economical status). Per i sostenitori di questa tesi, una delle proposizioni maggiormente convalidate nelle scienze sociali è che le persone vicine al centro della società sono più inclini a partecipare in politica delle persone vicine alla periferia. Le prime, infatti, ricevono più stimoli che le allettano a partecipare e ricevono maggiore appoggio dai loro pari quando in effetti partecipano (Milbrath, 1965). I teorici della centralità sostengono che il centro del sistema dal punto di vista dello status socio-economico è rappresentato da quelle persone che hanno un elevato livello di reddito, un buon grado di istruzione, svolgono un lavoro non manuale e appartengono ai settori sociali, linguistici, religiosi ed etnici dominanti. In altre parole gli individui collocati al vertice del sistema di stratificazione sociale. Seguendo la stessa logica, sono gli individui socialmente più centrali dal punto di vista del sesso – cioè i maschi – e dell’età – né troppo giovani e né troppo anziani – ad essere i partecipanti più assidui. Potendo godere di più risorse materiali (innanzi tutto il denaro) e simboliche (il prestigio), oltre che di un vantaggio psicologico proveniente dalla fiducia nei propri mezzi, questi segmenti sociali sarebbero spinti a partecipare maggiormente alla politica dalla volontà di mantenere e conservare la propria posizione privilegiata (Pasquino, 1997). Detto in altri termini, le fasce medio-alte della popolazione sarebbero sostanzialmente più vicine alla politica in virtù del loro desiderio di influenzare l’allocazione del potere e delle risorse del sistema al fine di mantenere le distanze esistenti dagli altri gruppi della società. In questa prospettiva la distanza dalla politica troverebbe una spiegazione nella disuguaglianza sociale, cioè nella distanza

strutturale derivante dalla diseguale distribuzione delle risorse socio-economiche all’interno della società.

La validità dello schema esplicativo della “centralità-perifericità” è stata confermata da un vasto numero di osservazioni empiriche. Non mancano però degli studi che dimostrano come tale schema non sia sempre adeguato all’analisi di alcuni aspetti della partecipazione politica o in quella della partecipazione politica in certi contesti sociali e periodi storici. Ricerche condotte negli anni Settanta in Italia e in altri Paesi Occidentali, ad esempio, hanno mostrato un interesse verso la politica, tradotto spesso in comportamenti partecipativi, soprattutto tra i giovani, e in misura via via decrescente tra gli adulti e gli anziani. Anche rispetto allo status socio-economico, poi, nei Paesi in cui si sono formati storicamente dei gruppi e dei partiti politici che hanno organizzato e mobilitato gli strati della popolazione più svantaggiati, offrendo loro nuovi canali e forme di azione politica, le relazione tra disuguaglianze sociali ed economiche e partecipazione politica è risultata indebolita56 (Barbagli, Maccelli, 1985). A questo proposito, il modello della “coscienza di classe” formulato da Pizzorno (1966) sembra fornire una risposta in parte complementare e in parte alternativa alle tesi della centralità. Per questo autore, la partecipazione politica è tanto maggiore quanto maggiore (più intensa, più chiara, più precisa) è la coscienza di classe, ossia la capacità delle organizzazioni – in primis sindacati e partiti – di creare solidarietà e identità collettive. Secondo molti studiosi, attraverso le risorse organizzative le disuguaglianze di status possono essere colmate e le persone di condizione socio-economica inferiore possono aspirare a ridurre il dislivello nell’accesso al potere politico e nella distribuzione delle risorse. In parte confermata dalle ricerche empiriche – molte delle quali hanno dimostrato come la forza dei partiti politici in Italia e altrove abbia fornito delle fonti di identificazione sociale e di accesso alla politica anche alle classi più disagiate – questa ipotesi, tuttavia, si dimostra solo parzialmente vera. Lo stesso Pizzorno, infatti, sottolinea che l’organizzazione è condizione di solidarietà e partecipazione solo nel suo momento formativo. Comportando necessariamente una stratificazione interna, cioè la formazione di strutture e ruoli subalterni, nella sua fase di consolidamento l’organizzazione stessa finisce con il riprodurre asimmetrie e dislivelli sociali57. Se per un verso, dunque, le organizzazioni possono avere un effetto positivo nel mobilitare le classi inferiori e nel ridurre le disuguaglianze tra fasce della popolazione con differente status

56 Ciò è vero per la partecipazione visibile; lo è meno per quella invisibile (Barbagli, Maccelli, 1985).

Vanno poi ricordate quelle ricerche che dimostrano come, soprattutto nei Paesi dell’Europa mediterranea, siano diffuse pratiche informali e clientelari che hanno consentito alle fasce sociali più disagiate di avere contatti continui e costanti, seppure mediati, con i centri del potere politico, e di utilizzare alcune modalità partecipative al pari, se non in maniera maggiore, degli strati più abbienti della popolazione.

57 Esattamente secondo la dinamica descritta dalla “legge ferrea dell’oligarchia” che Michels (1966) trae

socio-economico, per altro verso saranno ancora una volta gli individui con lo status socio- economico relativamente più elevato ad occupare le posizioni di maggior rilievo in ciascuna organizzazione, cosicché la centralità si misurerà non solo rispetto alla società in generale ma anche e soprattutto rispetto ad ogni singolo gruppo sociale.

Benché questo secondo modello precisi meglio quali sono le condizioni di “classe” in grado di incentivare la partecipazione, anch’esso, come quello precedente, offre l’immagine di un tessuto societario che è oggi radicalmente cambiato. Abbiamo già avuto modo di vedere nel nostro lavoro come nelle società contemporanee i cleavages di classe non siano più sufficienti, da soli, ad aggregare le domande sociali e politiche, le quali fondandosi su demarcazioni e fratture sociali più complesse, cercano (ma non sempre trovano) nuovi percorsi di espressione e relazione con la politica. Limitarsi oggi a ritenere le differenze di status come le uniche in grado di spiegare i fenomeni partecipativi non consentirebbe, quindi, di leggere appieno le dinamiche di distanziamento e avvicinamento tra i diversi gruppi sociali – e tra questi e la politica58 (Magatti, 2006). A questo si aggiungano le trasformazioni e la crisi che già da tempo hanno interessato le organizzazioni politiche tradizionali, ossia partiti e sindacati, oggi difficilmente capaci di mediare tra società e politica e di assolvere a molte delle funzioni che in passato le avevano rese connettori insostituibili delle realtà sociali e politiche nazionali. Nel misurare l’aumento o la diminuzione della distanza tra cittadini e politica, allora, bisogna tenere in giusto conto il venir meno dell’azione di organismi che fino a un tempo non troppo lontano hanno rappresentato la via principale attraverso cui ogni strato sociale della popolazione si avvicinava alla politica.

Tutte le osservazioni finora avanzate non devono indurci nell’erronea convinzione che la diseguale distribuzione delle risorse nella società non abbia più alcuna influenza sulla partecipazione politica. Piuttosto, alle distanze sociali di tipo strutturale (disuguaglianze socio- economiche) si affiancano nuove distanze oggettive e soggettive, che si riflettono (e si rapportano in maniera retroattiva) nelle distanze dalla politica. Inoltre, la crisi dei tradizionali partiti di massa, la mancanza di strutture organizzative forti e rappresentative di tutte le fasce sociali, le difficoltà di accesso dei gruppi sociali più deboli a forme alternative di partecipazione ad alto contenuto cognitivo, sembrano aumentare più che diminuire la selettività della partecipazione politica, riducendo fortemente gli spazi di relazione tra gli strati sociali più bassi e la sfera della politica (Millefiorini, 2002).

Di recente, alcuni studiosi hanno elaborato un modello di analisi della partecipazione politica che arricchisce e complica il modello della centralità, tenendo in considerazione sia le trasformazioni

58 Queste osservazioni valgano pure come commento a quella specifica forma di distanza dallo Stato che

sociali sia quelle del fenomeno partecipativo. Si tratta del “modello del volontariato civico” (civic voluntarism, Brady, Verba e Schlozman, 1995), da altri definito come “modello delle risorse della partecipazione politica”59. Gli autori di questo approccio partono col domandarsi perché gli individui non partecipano alla politica e forniscono tre principali risposte – non possono, non vogliono e/o nessuno li ha coinvolti – a cui associano tre tipi di ragioni o cause che tengono i cittadini lontani dalla politica: la mancanza di risorse, l’assenza di interesse, e la carenza di reti relazionali che li mobilitano. Si osservi bene come i tre tipi di fattori, ritenuti ugualmente utili a spiegare la partecipazione politica, richiamino perfettamente gli elementi strutturali, psicologici e relazionali della distanza sociale. A partire dall’individuazione di questi fattori, Brady, Verba e Schlozman riconoscono la necessità di superare il modello dello status socio-economico della partecipazione politica (SES). Tralasciando l’analisi degli elementi psicologici e relazionali, essi scelgono di concentrare l’attenzione sul tipo di risorse che facilitano e incoraggiano la partecipazione politica: il tempo, il denaro e le competenze civiche. Ognuna di queste risorse è più o meno strettamente interrelata con le principali componenti dello status socio-economico – reddito, istruzione e occupazione – e con le diverse forme di attività politica. Secondo questi studiosi, l’effettivo impegno dei cittadini nell’azione politica dipende dal controllo di queste risorse, le quali sono distribuite in maniera diseguale tra i diversi segmenti della società. Si riconfermerebbe in tal modo, l’esistenza di distanze dalla politica differenziate a seconda dei gruppi sociali di una determinata popolazione. L’elemento innovativo e più interessante introdotto dal modello proposto da Brady, Verba e Schlozman ha senza dubbio a che fare con la rilevanza che in esso si attribuisce alle competenze civiche (civic skills) ossia all’insieme di capacità comunicative ed organizzative essenziali per l’attività politica. Tali capacità si acquisiscono non solo negli stadi iniziali della vita, attraverso le agenzie di socializzazione primaria (famiglia e scuola), ma soprattutto nelle fasi adulte, nel contesto delle istituzioni sociali secondarie (ambienti di lavoro, associazioni, chiese, partiti, ecc.). La partecipazione civica, allora, diventa propedeutica alla partecipazione politica vera e propria. In questa direzione andavano d’altra parte gli studi di Tocqueville sulla democrazia americana, e, seppur con un diverso focus di analisi, sempre sull’importanza delle virtù civiche in relazione alla politica si sono soffermate anche le ricerche di Almond e Verba (1963) e di Putnam (1993, 2000)60.

59 Questo modello viene in molte sue parti assimilato dagli autori stessi a quello della “mobilitazione delle

risorse” elaborato all’interno delle teorie sociologiche sui movimenti collettivi. Si veda in proposito McCarthy e Zald (1977).

60 Negli anni Sessanta, Almond e Verba (1963) avevano mostrato come i membri di associazioni manifestino un più alto livello di informazione, di impegno politico e di fiducia sociale. La ricerca di Putnam (1993) nelle diverse regioni italiane ha poi dimostrato come vi sia una correlazione positiva tra cultura civica di un territorio – collegata alla densità della presenza associativa – e performance

Considerare il modello del volontarismo civico dunque ci permette per un verso di precisare le tesi della centralità – specificando quali risorse derivanti direttamente dallo status socio- economico incidono sulla distanza dalla politica (tempo e denaro) – e per altro verso di andare oltre quelle tesi, volgendo l’attenzione a quelle risorse che non sono strettamente dipendenti dalla stratificazione sociale ed economica (esperienze di associazionismo religioso o partecipazione in organizzazioni non politiche) e che pure sono fondamentali nel determinare la partecipazione dei cittadini alla politica.

Rispetto ai precedenti, questo modello appare senz’altro più adeguato a leggere il fenomeno partecipativo contemporaneo. Ciò nonostante, l’osservazione della realtà, così come i numerosi studi a riguardo, non ci esimono dal constatare che seppure attraverso la partecipazione civica (o associativa) un individuo sviluppi una serie di competenze e, soprattutto, di relazioni sociali che ne rafforzano la capacità di agire politicamente e ne formano gli orientamenti anche in periodi successivi (Diani, 2000), questo tipo di partecipazione può altresì svolgere una funzione sostitutiva61 della partecipazione politica vera e propria. Infatti, “la sfiducia verso il sistema politico può alimentare il coinvolgimento in attività associative come forma di rifiuto della politica e di protesta” (Loera e Ferrero Camoletto, 2004, p. 26). Risulta in tal modo fondamentale comprendere quali trasformazioni hanno subito le forme e le modalità della partecipazione politica, tali per cui il fenomeno contemporaneo assume configurazioni differenti da quelle presentate dai modelli partecipativi tradizionali.