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Merli e Malvezzi: distanze e rivoluzione cittadina

4.2 Messina: una storia millenaria di luci e ombre

4.2.2 Merli e Malvezzi: distanze e rivoluzione cittadina

Nel XVII secolo Messina è una città dell’impero asburgico spagnolo, già in parte decaduta. Essa, tuttavia, ha ancora un ruolo economico importante e, da un punto di vista politico, mantiene una posizione di autonomia e privilegio rispetto allo Stato spagnolo (Ioli Gigante, 1980). Ampi poteri di

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A questo periodo si riferiscono alcuni leggendari episodi tuttora impressi nella memoria cittadina. Si ricordano, in particolare, le gesta delle due eroine Dina e Clarenza, le quali mentre erano di guardia al Colle della Caperrina videro le truppe francesi che cercavano di assalire di sorpresa la città e diedero l’allarme suonando le campane e scagliando pietre sui nemici. A ricordo di ciò, ancora oggi due statue raffiguranti Dina e Clarenza suonano le campane nel famoso campanile del Duomo di Messina.

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Tra gli altri artisti, filosofi e letterati, basti menzionare Antonello e Costantino Lascaris (La Torre, 2000).

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Alcuni studiosi hanno affermato che il ceto dirigente messinese del Seicento aveva le caratteristiche di una vera e propria “setta” che aveva sviluppato ideali repubblicani (Musi, 2000; Giarrizzo, 1989).

auto-governo sono infatti riconosciuti al Senato cittadino e allo Stratigoto. Inoltre, il potere regio concede il privilegio che obbliga il vicerè a risiedere nella città peloritana per metà del suo periodo di governo. Alcuni osservatori contemporanei non mancano di sottolineare come Messina è, nell’Italia post-rinascimentale, una delle poche città che continuano a godere di una forte autonomia municipale (Galasso, 1974). Altri mettono in rilievo, tra i tratti caratteristici degli abitanti messinesi, lo spirito imprenditoriale e il diffuso orientamento al bene pubblico (Di Castro, cit. in La Torre, 2000).

Bisogna ricordare che fino a questo momento la Sicilia risulta divisa socialmente ed economicamente in due grandi aree: quella occidentale, ad economia agraria, dominata dal latifondo e dai baroni residenti soprattutto a Palermo, e quella orientale, dall’economia incentrata sui traffici commerciali, soprattutto della seta, che esprime una classe mercantile simile alle borghesie nascenti nel Nord Europa, il cui centro è Messina. Queste due Sicilie avevano convissuto pacificamente, almeno fino a quando la crisi commerciale del Mediterraneo non aveva messo in difficoltà la parte borghese. L’economia dell’area occidentale, invece, non era stata toccata dalla crisi, rappresentando una fonte di approvvigionamento di derrate alimentari per l’intera penisola Iberica. Di fronte alla crisi, la Sicilia borghese tenta di accrescere la propria indipendenza e i propri privilegi, per compensare la caduta del volume dei suoi affari con la creazione di monopoli, misure di alleggerimento fiscale e di apertura al mercato internazionale. Il re spagnolo concede così a Messina il monopolio dell’esportazione della seta che si produce nella parte nord-orientale dell’isola, nonché il privilegio, già citato, dell’obbligo di residenza del vicerè per metà del suo mandato nella città dello Stretto e per l’altra metà a Palermo. Ed è proprio Palermo, nel timore di veder ridotto il suo ruolo politico di capitale del Regno di Sicilia e il suo potere economico, ad ostacolare in ogni modo la messa in opera dei privilegi garantiti a Messina. Cosicché, a seguito delle proteste palermitane, molti decreti reali di concessione di privilegi rimangono lettera morta. Questa sorte spetta pure alla concessione regia del porto franco, la cui esecuzione viene ostacolata anche dal Tribunale dell’Inquisizione (con sede a Palermo), che guarda con sospetto all’idea di una zona libera di traffico, non soggetta a controlli doganali e di polizia, che può diventare un luogo di circolazione di idee straniere ed eretiche. A ciò si aggiunge anche la lentezza ed i ritardi con cui Palermo approvvigiona di grano la città dello Stretto, obbligata, per la sua struttura fisica ed economica, a dipendere da altri per le scorte alimentari. In tempi di grande carestia, la minaccia di mancati approvvigionamenti da Palermo costituisce senz’altro un’arma di ricatto contro le ambizioni di sviluppo messinesi.

Al boicottaggio di Palermo, soprattutto dopo la mancata realizzazione del decreto sul porto franco, Messina risponde abolendo alcune tasse doganali che erano state fino ad allora

un’importante fonte di reddito per la casse della Monarchia spagnola78. È con questi provvedimenti, poco graditi agli Spagnoli, che ha inizio la crisi che sfocerà nella rivoluzione79. Nel 1669 un inviato della corte Spagnola, mandato per convincere il Senato messinese a ritirare i suoi provvedimenti, viene accolto da proteste fragorose e costretto ad allontanarsi immediatamente dalla città. La Spagna si convince che è arrivato il momento di cambiare strategia, ma vista la sua posizione internazionale80 e la presenza della flotta francese nel Mediterraneo, decide che è più prudente dividere la città dall’interno e provocare lotte di fazioni. Durante il 1671 e il 1672 una grande carestia affligge tutta la popolazione messinese, ed in particolar modo le classi più povere. Questo diventa il punto di tensione su cui giocano le forze spagnole. Messina ha un tessuto sociale diviso, in cui la distribuzione delle ricchezze è iniqua e forti sono le disuguaglianze sociali. Lo stratigoto di nomina Spagnola approfitta di questa situazione per istigare i settori più poveri della società messinese contro il Senato cittadino, composto dai rappresentanti della ricca aristocrazia cittadina. I Merli, sostenitori dello stratigoto e del centralismo spagnolo, addossano al Senato la colpa della scarsità di derrate alimentari, sollevando le armi contro i Malvezzi, sostenitori del Senato e delle prerogative cittadine. Scoppiano violenti tumulti, la città è letteralmente divisa in due. Dapprima il conflitto ha una connotazione sociale: una guerra delle classi povere e della piccola e media borghesia contro la grande borghesia e la nobiltà rappresentata dai Senatori. In un secondo momento, il conflitto tra classi diventa lotta politica, nella quale i gruppi sociali si ricompongono sulla base di strategie e alleanze politiche. La guerra sociale diventa allora guerra civile e taglia trasversalmente famiglie e classi sociali. Nel 1674, i timori di un imminente colpo di mano dei Merli spingono verso l’insurrezione cittadina contro il regno Spagnolo. I Malvezzi sconfiggono ripetutamente i Merli e le truppe Spagnole e approfittano della congiuntura internazionale per chiamare in città i Francesi di Luigi XIV. Nel 1675, dunque, si insedia a Messina il nuovo vicerè, questa volta francese. Da questo momento la rivolta di Messina si converte in una guerra per la conquista dell’intera Sicilia, la quale diventa, in tal modo, il fronte di un più vasto conflitto europeo. La guerra va avanti con crescenti recrudescenze fino al 1678, quando la pace tra Francia e Spagna sancisce il ritiro francese dal territorio siciliano. La pace, però, si conclude senza prevedere alcuna clausola che garantisca immunità a Messina. La Monarchia Spagnola tornata a governare su tutto il Regno di Sicilia e può così vendicarsi del tradimento messinese, saccheggiando la città, abbattendo il

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Per attirare il commercio estero, inoltre, Messina richiama un antico privilegio in base al quale si concede la cittadinanza a chiunque risieda ininterrottamente nella città per un anno, un mese, una settimana e un giorno. Con la cittadinanza quindi si riconosce anche l’esenzione da molti tributi fiscali. 79

Sulla rivolta di Messina si veda Di Bella (1979) e ancora Giarrizzo (1989). 80

palazzo del Senato, esiliando i senatori e tutta la borghesia mercantile peloritana, abolendo ogni autonomia politica e privilegio, chiudendo l’Università e l’Accademia della Fucina e degli Abbarbicati, trasferendo la Zecca a Palermo e gli archivi cittadini in Spagna.

Tale epilogo rappresenta, per molti studiosi, la sconfitta politica decisiva per la città: da questo momento Messina sarà domata e il suo ruolo politico completamente ridimensionato (La Torre, 2000). Tanti hanno discusso sulle cause e il senso da attribuire alla rivolta anti-spagnola di Messina. Da un lato c’è chi vede in essa il risultato di una contrapposizione tra la Sicilia agraria di Palermo e quella mercantile e borghese di Messina, in cui un enorme peso assume la lotta per diventare centro economico, politico e culturale del Regno di Sicilia. Una lotta, quindi, per stabilire le distanze politiche che avrebbero fatto delle due città il centro e la periferia del potere. Dall’altro lato c’è chi, invece, vede la rivoluzione messinese come una sorta di lotta di classe che proietta in ambito politico il conflitto originato dalle disuguaglianze sociali. Distanze sociali (strutturali) dunque, che originano e/o si tramutano in distanze politiche.

Più in generale, la vicenda messinese viene ricondotta agli sviluppi storici che vedono tutte le repubbliche cittadine doversi arrendere di fronte alla potente ascesa dell’assolutismo e degli Stati nazionali. Un destino comune a tutte le città con poteri o ambizioni municipali, il cui ruolo si ridimensiona e muta in virtù di un più ampio mutamento delle distanze spaziali e sociali attraverso cui si articola il potere politico nella modernità.