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comune. Credo che l’onestà e la ricerca della verità e del- la capacità di comunicarla siano due aspetti imprescindibili della competenza.

Papa Francesco invita a promuovere un giornalismo come servizio alle persone, impegnato nella ricerca delle cause dei confl itti per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento tramite processi virtuosi, nella ricerca di soluzioni alternative all’escalation della violenza verbale. Come possiamo promuovere le pratiche del giornalismo di pace?

Serve un giornalismo che favorisca l’intesa invece che la contrapposizione, che ci fa apprezzare l’informazione come un bene comune, come quel modo di avere a cuore il con- vivere pacifi co che trova nella comunicazione un elemento necessario. Le informazioni tendenziose, ideologicamen- te orientate a identifi care un nemico sono deboli, non sono un aiuto a comprendere la realtà nella sua verità più profonda. Non possiamo immaginare che l’informazio- ne coltivata con quei criteri sia da sola capace di cambiare il clima o di favorire dei percorsi. Ritengo che valga la pena avere il senso del limite della propria possibilità di azione: il giornalismo è un contributo che è tanto più signifi cativo quanto più riesce a farsi capire, a passare dall’essere in- formazione all’essere provocazione, nel senso che l’infor- mazione costringe il lettore a prendere posizione di fronte alle ingiustizie che si stanno attuando e alle possibilità di rimedio. Ritengo importante avere l’umiltà della non violen- za: dal gesto simbolico può nascere anche un cambiamento epocale. Dobbiamo avere la modestia di considerare che i nostri mezzi e le nostre possibilità di incidere sono limita-

te. Tuttavia, abbiamo la possibilità di realizzare quel gesto minimo che diventa un messaggio, una provocazione. La non violenza ci impone di agire in questo agorà confu- sionario e complicato come gente capace di non grida- re quando tutti gridano, di non aggredire quando tutti aggrediscono, eppure di essere lì. Dobbiamo scendere in campo sapendo che questa esposizione a favore del bene comune non è gratuita.

Il confronto con il mondo dei social media sarà la grande sfi da del nostro tempo. Come sarà possibile trovare un giornalismo a misura di social, dove le notizie sono diffuse da utenti che condividono post da fonti più o meno con- fermate, autorevoli o false?

Il Sinodo della Chiesa Cattolica sui Giovani ha offerto una panoramica sui giovani di tutto il mondo, sulle loro profonde diversità sociali e culturali. Cosa hanno in comune tutti i gio- vani nel mondo? Il fattore comune è stato individuato nell’a- bitare i social. Questo rende l’idea di come le informazioni raggiungano tutti i posti della terra. Ho fi ducia che il bene fa bene e il bene convince, immaginando che oggi molti sono più attratti dal rispondere alla violenza con la violenza, all’aggressività e all’insulto con l’insulto. Possiamo abitare la carta stampata, la radio, la televisione, i social, propo- nendo la competenza, l’amore per la pace, il desiderio di edifi care il bene comune. Ripongo una fi ducia radicale sul fatto che le persone che fanno il bene contribuiranno a rendere buone anche quelle piazze dove vive la confusione che normalmente constatiamo. C’è inoltre un problema edu- cativo sulle fasce più giovani, questo è un tema più serio. L’e- ducazione si fa con l’adulto in relazione con il giovane, che

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gli consegna la sua testimonianza, esperienza, disciplina, autorità materna e paterna. Ho fi ducia nella possibilità che voi giovani in grado di fare abitare questo mondo sappiate renderlo buono.

Il ruolo del giornalista è scovare la verità, raccontare sia l’aspetto positivo che negativo della società. Credo sia questo il nostro obiettivo e compito principale. In cosa può migliorare la professione del giornalista?

Frequento il giornalismo contemporaneo in modo selettivo, scelgo quello che mi aiuta a capire l’aspetto negativo, po- sitivo, le ragioni di alcune problematiche, le soluzioni pen- sate. Quest’idea di una visione realistica del reale, che non è mai tutta negativa o tutta positiva: approfondendo, ogni storia umana è sorprendente e affascinante. La distinzione tra positivo e negativo è diffi cile perché abbiamo simpatia per l’umano e tutto quello che ci aiuta a capirlo è bello, buono e provocatorio. Le esperienze che sono state alluse visitando alcuni luoghi della città, raccontando le storie, av- vicinando le persone, andando sul campo, non fermandosi alla ricezione di notizie selezionate ai fi ni di smerciare cer- ti sentimenti. Questo mi sembra il punto su cui migliorare: l’idea di spendersi nella relazione. La sfi da non implica soltanto la seria competenza nel produrre una notizia, un’in- chiesta, una lettura della situazione che rispetti la comples- sità, ma include anche il desiderio di stabilire un rapporto con il destinatario dell’informazione. La capacità di inci- dere, contribuire ad avere una visione del reale che non sia selettiva, ideologica, che non sia ispirata da inquietudine e paura immotivata. Mi sembra che questo valga anche per la Chiesa, perché la Chiesa ha un messaggio bellissimo da

comunicare, decisivo per la visione buona del mondo, della speranza. Se non riesce a raggiungere la gente, tiene que- sto messaggio per sé?

L’autorevolezza del mestiere è stata intaccata dalla circo- lazione di fake news che forniscono una versione distorta del mondo. Questo mina il rapporto di fi ducia con i let- tori, che percepiscono le notizie come soggettive e non attendibili. Come possiamo convincere il pubblico a se- guirci verso una corretta informazione?

La relazione interpersonale è l’unico tramite per trasmette- re la testimonianza del valore in cui si crede. Aiutare le per- sone a leggere la realtà con un senso critico, con la capacità di apprezzare il buono, il serio, ciò che è argomentato e distinguerlo da ciò che è falso, superfi ciale, banale, pregiu- dicato è una sfi da. Volevo lanciare una sfi da a questo tema della relazione, dell’offrire qualità e favorire che i destinatari la apprezzino. Non si potrebbe inventare un giornalismo Made in Italy, che abbia questo marchio di prestigio? Mi ricordo di quando sono stato a Buenos Aires, mi hanno raccontato della prima scuola di giornalismo di tutto il Sud America, fondata dei membri dell’Opera Cardinal Ferrari di Milano. L’Opera Cardinal Ferrari, un’opera di bene che coinvolge consacrati e laici, ha fondato la prima scuola di giornalismo in Argentina. Da lì mi è venuta questa idea. I giornalisti italiani, le brillanti scuole di giornalismo, gli stu- denti appassionati non potrebbero creare una scuola italia- na di giornalismo? Perché il marchio italiano implica il fare cose belle, un rapporto di appartenenza alla vita. A sentire la passione e l’intelligenza che trasmettete, si può pensare a un Made in Italy anche per il giornalismo. Non so come

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si risolve specifi catamente questo tema del rapporto con il lettore, dell’abilitazione del lettore ad apprezzare la qualità, però gli artigiani italiani hanno saputo farsi apprezzare in tutto il mondo per la cura con cui hanno realizzato prodot- ti di eccellenza. Lancio con determinazione una campagna per un giornalismo Made in Italy.

A volte ci chiediamo se ci sia realmente bisogno della fi - gura del giornalista al giorno d’oggi, in cui chiunque può fare informazione. Secondo me, per questo motivo c’è bi- sogno di fi gure capaci di dare delle risposte, accorciare le distanze ancora presenti. In che modo è possibile creare delle opportunità per i giovani?

L’alta qualità di preparazione e l’impegno profuso nel rag- giungere risultati accademici e professionali di eccellenza di cui il mercato può fare a meno è un dramma dei giovani d’oggi: avere una professionalità che la scuola riconosce, che i giovani stessi sono in grado di apprezzare e accorgersi che il mondo non ne sente il bisogno. I giovani non trova- no nella società quell’attesa di mettere a frutto queste doti, qualità, preparazione. La tentazione di andare altrove, in al- tri paesi non è una tentazione ma una constatazione. Finita la guerra mondiale, l’Italia era disperata, al mio paese (nel Varesotto) c’era miseria e alcuni sono emigrati negli Stati Uniti, in Argentina, in Svizzera. Altri sono rimasti e hanno cominciato a lavorare e sviluppare un’attività produttiva che ha trasfi gurato quella terra. Questo Made in Italy è stato re- alizzato da persone che hanno avuto un’intuizione e hanno investito molto impegno. La politica italiana e le istituzioni devono preoccuparsi di dare lavoro ai giovani, di mettere a frutto le professionalità. Allo stesso tempo, bisogna che i

giovani inizino a darsi da fare personalmente, creando nuo- vi prodotti di qualità da lanciare sul mercato. Questa arte dell’intraprendenza intelligente, onesta, sobria che cre- de nelle sue risorse e cerca di metterle a frutto fa parte dello spirito italiano, soprattutto milanese. Siete giovani, bravi, intelligenti, preparati bene: cercate voi di cambiare questo mondo.

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